sabato 30 maggio 2015

UPFRONTS 2015-2016: NBC



Oltre al varietà Best Time Ever With Neil Patrick Harris, la NBC ha presentato agli upfronts 2015-2016 i seguenti programmi:
Blindspot: una Jane Doe (Jaimie Alexander), ovvero una donna di cui non si conosce l’identità, si risveglia priva di memoria, nuda e completamente ricoperta di tatuaggi. Uno di questi è il nome di un agente dell’FBI, Kurt Weller (Sullivan Stapleton), che viene perciò contattato. Ne segue un thriller cospiratorio in cui i due cercano di scoprire chi è la giovane e ogni tatuaggio è legato a un crimine da risolvere. Dal produttore Greg Berlanti (The Flash, Arrow) e lo sceneggiatore Martin Gero (The L.A. Complex). Si è notato che la premessa ricorda molto The After, un pilot di Chris Carter(The X-Files) che era stato scelto da Amazon Prime, ma poi quietamente messo da parte. Qui il trailer.

Heartbreaker: è un drama ideato da Jill Gordon (The Wonder Years, My So-Called Life) dove protagonista è la dottoressa Alex Panttiere (Melissa George, The Slap, Grey’s Anatomy), una cardiologa di fama mondiale molto determinata e schietta, che pretende il meglio dai suoi interni e cerca di portare la medicina a nuovi elevati livelli anche di fronte allo scetticismo dei colleghi. Basato sulla vera storia della dottoressa Kathy Magliato, mescola vicende mediche e storie d’amore. Nel cast c’è anche Dave Annable (Brothers and Sisters). Originariamente il titolo doveva essere Heart Matters.  Trailer.

The Player: ideato da John Rogers (Leverage, The Librarians), è un thriller d’azione ambientato a Las Vegas su una sinistra organizzazione di uomini danarosi che, attraverso i servigi di Mr Johnson (Wesley Snipes), arruolano un ex-militare esperto in questioni di sicurezza, Alex Kane (Philip Winchester), per evitare che vangano compiuti dei crimini, scommettondo sulla sua riuscita. Lui cerca anche vendetta per la morte di sua moglie. La serie, che doveva intitolarsi Endgame, è stato paragonata a Person of Interest. Qui un primo sguardo.

Heores Reborn: il revival di Heroes, ideato da Tim Kring, era già stato annunciato per la scorsa stagione. Finalmente dovrebbe tornare sul serio con 13 episodi. I personaggi confermati dalla serie originaria sono stati Noah Bennet (Jack Coleman), Hiro Nakamura (Masi Oka) e “l’Haitiano” (Jimmy Jean-Louis). Qui qualche fugace immagine.



People Are Talking: la sola nuova sit-com della NBC a debuttare in autunno è ideata da DJ Nash (Up All Night) e ha come protagoniste due coppie di vicini di casa e amici a cui piace parlare apertamente di sesso e questioni razziali. Nel cast ci sono Mark-Paul Gosselaar, Tone Bell e Bresha Webb, mentre Meaghan Rath, che compare in un’altra serie della Fox, verrà sostituita.  Qui un primo sguardo.

Per mid-season, oltre al varietà di Ellen Degeneres Little Big Shots, in cui protagonisti sono i bambini, sono previsti:
Chicago Med: dopo Chicago Fire e Chicago PD, completa la tripletta questa serie, sempre dalla penna di Dick Wolf.
Coach: Graig T. Nelson (Parenthood) riprende per 13 puntate il ruolo di Hayden Fox, che gli è valso l’Emmy, nel revival della serie ideata da Barry Kemp. Il nuovo programma è ambientato a 18 anni di distanza dal precedente. Fox è in pensione a lavora come assistente per suo figlio, allenatore in una scuola della Ivy league, dove lo sport non è una priorità.
Crowded: in questa sit-com multi-camera ideata da Suzanne Martin (Hot in Cleveland) Mike (Patrick Warburton) e Martina (Carrie Preston, The Good Wife, True Blood) sono una coppia che finalmente si gode il “nido vuoto” finché le due figlie adulte e i genitori di lui non decidono di andare a vivere da loro. Nel cast anche Stacy Keach.

Game of Silence: è un drama in 10 puntate scritto da David Hudgins (Parenthood, Friday Night Lights) e adattato dalla serie turca Suskunlar, a sua volta ispirata al romanzo Sleepers (che in passato ha già avuto un adattamento da parte di Barry Levinson). La carriera di un giovane promettente avvocato (David Lyons, Revolution) di Atlanta, in Georgia, viene improvvisamente minacciata dal ritorno di alcuni suoi amici d’infanzia che non vedeva da tempo e con loro di un oscuro segreto che credevano sepolto per sempre. Insieme vogliono riparare gli errori del passato e questo metterà alla prova la loro lealtà e li spingerà a soddisfare la propria sete di vendetta.  Prodotta da Carol Mendelsohn (CSI) si prospetta come una serie dark, nello stile di quelle della TV via cavo.
Hot and Bothered: questa comedy di cui sono stati già ordinati 13 episodi ha come protagonista Eva Longoria nel ruolo di una star di una telenovela (la serie era in precedenza proprio conosciuta come Telenovela) la cui vita personale è molto più folle di quella della finzione. Ideata da Chrissy Pietrosh e Jessica Goldstein (Cougar Town) da un’idea della Longoria, ha come produttori Josh Bycel e Jonathan Fener (Happy Endings).
Shades of Blue: Jennifer Lopez interpreta Harlee Santos, una detective della polizia costretta dall’FBI a un’investigazione sottocopertura per individuare i poliziotti corrotti all’interno della sua stessa squadra. È anche una madre single che vuole assicurare un futuro alla figlia, tenendosi in un delicato equilibrio fra amore, lealtà, onore e tradimento. Nel cast ci sono anche Ray Liotta e Drea de Matteo. È ideata da Adi Hasak e fra i produttori esecutivi c’è Barry Levinson.

Superstore: ambientata in un ipermercato, questa commedia single-camera è scritta da Justin Spitzer (un ex-produttore di The Office) e ha come interpreti principali America Ferrera (Ugly Betty) e Ben Feldman (A to Z), che sono parte di una “famiglia di dipendenti” del negozio.
You, Me and the End of the World: già considerata come promettente, questa co-produzione di Sky1 andrà probabilmente in onda prima nel Regno Unito, con il titolo Apocalypse Slough. È un dramedy di 10 puntate ambientato nei giorni successivi alla rivelazione che una enorme cometa sta per schiantarsi sulla terra e ne distruggerà gran parte della popolazione. Un gruppo di persone – fra cui un prete sboccato (Rob Lowe, Parks and Recreations), una supremazista bianca con qualche rotella fuori posto (Megan Mullally, Will & Grace), il manager di una banca (Jenna Fischer, The Office), un generale americano, un cyber-terrorista germofobico… - cercano protezione in un bunker a est di Londra per aspettare e guardare la fine del mondo in TV e preparare una nuova società. La serie è ideata da Iain Hollands (Beaver Falls).



lunedì 25 maggio 2015

HUMANS: il promo


Ecco sotto il trailer della serie Humans, remake in otto puntate dello svedese Ӓkta Mӓnniskor noto anche come Real Humans, realizzato per l’americana AMC e la britannica Channel 4. Il debutto è previsto per il 28 giugno.  

Ambientata a Londra, la serie mostra un tempo presente parallelo in cui gli umani possono avvalersi di robot umanoidi molto sofisticati, chiamati Synth (nell’originale svedese erano Hubots), che entrano nelle loro vite come servitori e in qualche caso qualcosa di più.

La serie è scritta da Sam Vincent e Jonathan Brackley.  


Avendo visto l’originale svedese, ammetto che il promo del remake mi delude un po’, ma si sa che i rifacimenti difficilmente soddisfano. Aspetto di vedere il prodotto completo. 

venerdì 22 maggio 2015

QUEENS OF DRAMA: squallido


Avendo un passato di grande appassionata di soap opera non ho potuto resistere alla tentazione di guardare il reality Queens of Drama, dove alcune ex-star di questo genere, per la maggior parte provenienti dal daytime, decidono di filmarsi mentre fanno gruppo per creare un programma TV da poi proporre a un network. L'idea di fondo è quella di essere solo donne che pensano e realizzano un progetto secondo i propri termini, senza che nessuno debba loro dire che cosa va bene e che cosa no. Ebbene, il risultato l'ho trovato disgustoso, su più livelli.
 

Le attrici in questione sono Donna Mills (KL, Melrore Place), Vanessa Marcil (GH, Vegas), Hunter Tylo (B&B), Lindsay Hartley (AMC, Passions), Crystal Hunt (GL, OLTL) e Chrystee Parris (Passions, GH), più qualche comparsata di altri nomi. Ho familiarità con tutte loro e in particolare adoro la Marcil che mi ha davvero conquistata nel suo ruolo di Brenda in General Hospital. Alcuni dei momenti più memorabili delle soap coinvolgono lei (chi si dimentica la famosissima scena del "wire", del filo indossato per fare una soffiata alle forze dell'ordine su Sonny?). Ma veniamo al programma...
 

Parto dal look delle professioniste in questione. Non è qualcosa a cui io, di mio, tenda di solito a dare molto peso, ma qui ne ha - "I don't do ugly" sentenzia la Mills, con un'espressione che diventa il titolo della prima puntata e che mi è difficile tradurre in italiano, ma ha il senso di dire che non partecipa a programmi in cui appaia brutta o in cui c’è del brutto. Se è così falliscono in partenza. Tutte loro, purtroppo, chi più chi meno, mi sono sembrate degli spaventapasseri, un po' per gli eccessi di cattiva chirurgia plastica (e qui puntare il dito verso Hunter Tylo è fin troppo facile, e la questione viene pure sollevata in episodi successivi al primo, che ho visto io), un po' per diete dimagranti che le fanno sembrare emaciate e scarnificate, un po' per le scelte d'acconciatura (se le farfallone sui capelli della Parris sono un vezzo kitsch che posso anche condonare, e che in fondo nemmeno mi dispiace, i lunghi capelli della Marcil, pur belli, mescolati a disordinati accessori e abbigliamento, mi davano l'orticaria. Ma basta criticare il loro aspetto fisico.
 
 
L'immagine delle donne e delle relazioni che esce dal programma è terrificante. Intanto appaiono fatue, vapide, e volatili,  e se la prendono l'una con l'altra per osservazioni innocue e innocenti, fanno grandi scenate per cretinate e sono sempre sulla difensiva, non si sanno ascoltare e rispettare. E poi si dimostrano completamente incompetenti. Giocano a fare le signore arrivate con grandi idee che non si capisce nemmeno quali siano e men che meno in che modo vogliano realizzarle. Ed è chiaro che il programma amplifica questi aspetti volontariamente per creare dramma, apparentemente, ma primo è fatto male, secondo lascia addosso una sensazione di schifo verso le protagoniste, quando singolarmente non farebbero magari nemmeno una cattiva figura. Che magro e patetico esempio di relazioni umane.
 

Si direbbe un programma anti-donne. Le attrici in questione fanno tanto il ruolo di galline del pollaio (sarà per questo che la Marcil ci mostra il suo nella prima puntata? Voleva essere metaforica?). Sono sicura che gli uomini sappiamo essere stronzi e impreparati come e peggio di loro, e dietro le quinte magari si comportano in modo altrettanto simile al triste spettacolo messo in scena qui. Quello che è avvilente è che queste qui puntano proprio a farsi valere sulla premessa che sono donne. Per quel che mi riguarda, non c'è differenza di genere sessuale di appartenenza, penso in termini di persone. Proprio per questo voglio che emergano le donne, spesso trascurate. Ma voglio che emergano donne che hanno talento e competenza, e che abbiamo successo per queste loro qualità. Ce ne sono tante, e non devono essere messe da parte solo perché femmine. È sessista. Allo stesso modo non voglio che si dia spazio a quelle donne che talento e competenza non ne hanno, solo perché femmine. È altrettanto sessista. E qui, queste donne, non dimostrano né talento né competenza in quello che stanno cercando di realizzare. Fanno sol una figura meschina. Squallido.  

 

martedì 12 maggio 2015

THE GOOD WIFE: la sesta stagione


The Good Wife è sempre così denso e articolato che tante volte non ne scrivo proprio per una sorta di timore reverenziale. Ogni puntata meriterebbe una complessa analisi. Anche con la sesta stagione si è confermata una delle migliori serie in circolazione. Con la scesa in campagna elettorale di Alicia in lizza come Procuratore dello Stato la serie si è fatta ancora più politica di quanto non fosse già e ha ben esaminato i labili, porosi confini fra il mondo della gestione della cosa pubblica e quello della legge, fra giustizia e criminalità  - anche con la prima metà della stagione che ha visto Cary Agos (Matt Czuchry) ingiustamente dietro le sbarre, o nel rapporto di tutti i personaggi con lo scomodo Bishop (Mike Colter) -, fra ruoli personali e pubblici. Mi sono molto interrogata, ad esempio, su che cosa intendessero realmente dire in “Read Meat” (1.16) quando Alicia (Julianna Margulies) e Finn (Matthew Goode), dopo la vittoria di lei, uccidono vari nemici in un videogioco, mentre Diane (Christine Baranski), riluttantemente in compagnia repubblicana a seguito del marito Kurt (Gary Cole), si unisce a una battuta di caccia con il potente Gil Berridge (Oliver Platt). Sembra quasi che il senso sia che la politica vera è in fondo un gioco e che la vera politica “accade” spesso altrove, nelle occasioni sociali.

Se c’è una e una sola lezione che mi porto dietro da questa stagione è che non c’è spazio in politica per l’ironia, quel “sorriso della ragione” che tanto mi sta a cuore. Alicia ha dovuto impararlo in fretta. Sempre di più e in modo sempre più esplicito hanno messo in primo piano il tema delle modalità di costruzione e controllo della narrativa: la costruzione ad uso del pubblico di come i personaggi pubblici vengono costruiti per essere percepiti in un modo piuttosto che in un altro e la manipolazione a proprio vantaggio della prospettiva in cui una “storia” (personale, politica, sociale) va raccontata per veicolare il messaggio voluto. Tutto è narrativa e come la costruisci fa la differenza fra vincere e perdere, fra persuadere o dissuadere. Come ci si gioca il rapporto fra sostanza e apparenza può essere tutto. Nella rivalità elettorale fra Alicia e Frank Prady (David Hyde Pierce), che cercano di essere corretti l’uno nei confronti dell’altra, e attraverso i consigli professionali di Johnny (Steven Pasquale), si ritorna con insistenza su questo punto, così come emerge nel rapporto con la stampa, in particolare con Petra Moritz (Lily Rabe) che intervista Alicia dopo la vittoria. Ma puntare il dito su un dettaglio specifico è superfluo, perché tutta la serie, davvero, esplora questa tematica in modo intenso. E affidandola spesso alle esagerate preoccupazioni di Eli (Alan Cumming) si fanno notare strategie e tattiche in modo estremamente umoristico. Le scene con lui, così come quelle con David Lee (Zach Grenier), sono dosate con il contagocce, ma forse anche per questo sempre attese e godibilissime.

Si fa notare anche la concezione per cui la legge deve essere equa, non impersonale. È sempre personale, altrimenti sarebbe senza significato, per parafrasare quanto detto da Diane Lockhart (6.18). Ed è interessante anche notare come il praticarla porti Alicia a non considerarla più come una cosa buona, ma neutrale, anche consapevoli che ciò che è giusto e ciò che è legale non sempre vanno a braccetto (6.21). 

Continua poi il forte interesse per il collegamento fra legge e tecnologia. Un esempio è stato quello sul malfunzionamento di un arma realizzata in casa con una stampante 3D con le istruzioni trovate online (1.15). E, anche se solo accennato, è affascinante il rapporto con la religione. Non si può non notare che, mutatis mutandis, The Good Wife e The Americans affrontano la stessa tematica di giovani adolescenti che si avvicinano alla fede lì dove i genitori sono indifferenti o contrari. Grace, la figlia di Alicia, ha una crisi di fede poi nel corso di questa stagione, ma la tematica è rimasta aperta.
L’attesa uscita di scena di Kalinda (6.20) è stata costruita in modo certosino e credibile, e non è mancato un momento di commozione quando, apparentemente rivolta a Grace, la figlia di Alicia, si è rivolta in camera e ha detto al pubblico il suo “goodbye” definitivo, pur comparendo anche nelle due puntate successive. Ben calibrata poi la “solidificazione” nel cast di Finley “Finn” Polmar, entrato nella scorsa stagione.  


Una stagione avvincente, con un cast sempre superbo, guest star comprese, per un programma pregno che mi lascia sempre ispirata. E una finale che, ancora una volta, sorprende e si apre a mille nuove possibilità. 

martedì 5 maggio 2015

A to Z: inizialmente deliziosa, poi piatta


Non rimpiango che abbiano cancellato A to Z, ideata da Ben Queen, dopo una sola stagione di 13 episodi.
 
Questa rom-com, narrata in originale dalla voce di Katey Segal (Sons of Anarchy), ha come protagonisti Andrew (Ben Feldman), una ragazzo che lavora presso una agenzia di incontri sentimentali chiamata Wallflower, e Zelda (Cristin Milioti), un’avvocatessa che lavora nell’edificio di fronte al suo, tanto che se si telefonano possono guardarsi dalla finestra. In due si innamorano e si frequentano, come si dice nella sigla, per 8 mesi, 3 settimane, 5 giorni e un’ora e il programma è la cronistoria della loro relazione, dalla A alla Z, che peraltro sono anche le iniziali dei nomi dei protagonisti, se non si fosse notato.
 
Ad affiancarli ci sono i rispettivi migliori amici, Stu (Henry Zebrowski) e Stephie (Lenora Crichlow), un tempo una coppia, ma ora ai ferri corti, ma con qualche occasionale residua scintilla fra loro. Completa il cast la temibile Lydia (Christina Kirk) il capo di lui, uno dei suoi personaggi più riusciti della serie, costantemente in bilico fra il desiderio di essere temuta e (segretamente) benvoluta e completamente impreparata nel gestire i suoi dipendenti, fra cui spicca la coppia costituita da Lora (Hong Chau) e Dinesh (Parvesh Cheena), veri esperti di computer sempre appiccicati l’uno all’altra.

La storia era zuccherosa, ma non guastava,  era partita in modo delizioso, piena di romanticismo e lieve umorismo, ma l’entusiasmo si è presto sgonfiato su entrambi i fronti, e nonostante l’occasionale guizzo – come il riferimento al Bechdel Test (1.08) - è sempre rimasta piuttosto piatta.