Brilla in tutta a sua
vis attoriale Benedict Cumberbatch nel ruolo di Patrick Melrose, nell’omonima miniserie della rete Showtime ideata
da David Nicholls sulla base del ciclo di romanzi di Edward St. Aubyn noto come
“I Melrose” – io avevo letto il primo dei romanzi, ma non mi era piaciuto,
forse per questione di aspettative inadeguate. Il programma TV diversamente me
ne ha fatto vivere in modo molto più intenso la disperazione venata qui e lì di
una nota di irrisione.
Tutta la prima puntata è
quasi un grande solo act di
strepitosa bravura del protagonista, in un tour
de force di virtuosismo emozionale a cui fanno da contrappunto solo brevi
flash del personaggio bambino. Esistono altri personaggi, ma sono poco più di
comparse. Due elementi si palesano dalla prima scena: è appena morto il padre
del protagonista (e lui dovrà andare a reclamarne il cadavere a New York), e
lui è strafatto di droga – e si farà di altri numerosi tipi di sostanze lungo
tutto il corso della prima puntata. Noi attraversiamo con lui ogni momento di
questo alterato stato di coscienza per arrivare solo a fine episodio ad un
catartico pianto, in sospeso dall’inizio.
Nella seconda puntata,
di converso, Cumberbatch è quasi assente. Si esplora l’infanzia del
personaggio, il sadismo e l’inflessibilità del padre David (Hugo Weaving) di
cui subisce gli abusi, anche sessuali, la distrazione della madre Eleanor (Jennifer
Jason Lee) succube – con la famosa scena dei fichi che in realtà in questo caso
ricordavo molto più disturbante dal testo scritto. E si esaminano poi (1.03)
l’ostilità nei rapporti umani, la sbadataggine nei confronti dei bambini in
particolare, e la grande disperazione delle vite di molti. La puntata
successiva (1.04) lo vede adulto con figli, ma non meno arrabbiato, ferito con
ferocia dalla delusione e della disillusione della madre che ancora una volta
gli volta le spalle, in questo caso lasciando la loro casa nel Sud della Francia
non a lui e al nipote, ma a uno scrittore estraneo. Lui vuole un’infanzia
diversa per suo figlio. Nel capitolo di chiusura (1.05), concentrato sul
funerale della madre per eutanasia volontaria, è ancora un nervo scoperto, dove
a stento ironia e distacco cercano di mascherare una cocente infelicità che lo
rende autodistruttivo. La perdita dei genitori e l’impatto delle loro vite
sulle nostre è uno dei grandi temi della puntata e della serie tutta. Basta una
frase dà come chiave di lettura. “La vita è la storia delle cose a cui
prestiamo attenzione”.
Disperato e graffiante.