mercoledì 28 giugno 2017

HUMANS: la seconda stagione


La seconda stagione di Humans continua a deludere lì dove ancora si vedono contatti con l’originale Ӓkta Människor, brilla invece dove se ne affranca, pur proponendo una visione del rapporto uomo-macchina molto più tetro della serie madre.

Alfa e omega di questo arco sono stati all’esordio il risveglio di alcuni synth che acquisiscono coscienza  e in chiusura l’awakening di tutti grazie all’inserimento di un codice da parte di Mattie (Lucy Carless) con il mondo che di fatto cambia completamente volto in un istante, e lascia alla terza (confermata) stagione il compito di affrontarne le conseguenze. Risvegliarsi, che cosa significhi avere coscienza e che rapporto c’è fra robot e umani sono stati il grande nucleo di riflessione: Hester (Sonya Cassidy), un’operaia ora cosciente, è arrabbiata e violenta e vuole uccidere gli esseri umani; dall’altro lato dello spettro, c’è Anita/Mia (Gemma Chan) -  tradita da Ed (Sam Paladio, Nashville) che, pur agli esordi di un rapporto d’amore con lei, la vende per denaro -  che non esita a rinunciare alla propria vita se questo significa salvare quella dell’umana Laura (Katherine Parkinson). Chi si è appena risvegliato è come una bambino e parte del problema è capire come educare qualcuno che ha appena preso coscienza di sé, come trasmettergli dei valori. Nella finale (2.08) si cita Gandhi e si riflette sul ruolo della violenza nei cambiamenti e su che valore abbiano le vite degli uni per gli altri, nella loro intrinseca diversità.

Da Real Humans, è stata tratta la storyline che vede un synth chiedere il riconoscimento del loro stato di coscienza e, sulla base di quello, di diritti pari a quelli degli esseri umani. Che cosa ci rende umani? Se lì la vicenda si è chiusa con successo, ed è stata argomentata da un punto di vista filosofico in modo molto accorato, qui non ha avuto molto senso. Niska (Emily Berrington) chiede di essere valutata per capire se sia cosciente, ma la sua motivazione, immolarsi per i suoi simili, non convince, considerato che l’unica conseguenza personale che le avrebbe portato sarebbe stata quella di venir giudicata come umana in un caso di omicidio. In gioco c’era anche una storia d’amore con una donna, Astrid (Bella Dayne), che l’aveva fatta innamorare per la prima volta, ma la scelta di lei come personaggio e le sue motivazioni stavano poco in piedi. L’hanno sottoposta a test per valutare le sue reazioni e risposte, misurarne l’empatia, la capacità di reagire a immagini, musica, ricordi… Per quanto dichiari che la sua vita è sempre stata essere spaventata, ferita e arrabbiata, di come si sia sentita stuprata e si parli di etica e di Hegel, alla fine i tentativi di dimostrazione, pur sensati, nella loro costruzione sono stati piuttosto inutili e privi di consistenza. E completamente inefficace Laura nel suo ruolo di avvocato.

Pure dall’originale svedese arriva l’idea di esseri umani che cercano di comportarsi come sintetici. Se lì veniva trattato come una sorta di cosplay di simpatizzanti per la causa dei postumani, qui si patologizza la questione mettendo in campo un ipotetico Disturbo Giovanile di Indentificazione con i Sintentici – e ne soffre tanto la piccola della famiglia Hawkins, Sophie (Pixie Davis), quanto Renie (Laetitia  Wright, Cucumber e Banana), una compagna di classe di Toby (Theo Stevenson). Il taglio dato alle vicende ha avuto del merito, e anche dei momenti riusciti – in 2.06, ad esempio, c’è stato il primo food fight, una lotta con il cibo fra i membri della famiglia Hawkins, che per me abbia avuto un senso positivo che non facesse rimpiangere l’inutile spreco di alimenti - anche se nel trattare l’aspetto psicologico non ci si è impegnati troppo. Ma forse questo risente di quella enorme cappella fatta in 2.01, dove Laura e Joe (Tom Goodman-Hill), nel richiedere aiuto per la propria relazione, finiscono per avere come psicoterapeuta di coppia, pronta a sputare statistiche e ricavare “suggerimenti” dal suo ampio catalogo digitale, una sintetica. Se mettono una macchina in una delle professioni che probabilmente più di ogni altra richiede intuito e finezza umana nel cogliere le sottigliezze, e che è molto poco “meccanica”, è evidente che la si dice lunga sulla scarsezza dell’impostazione psicologica degli autori.

Se ci sono persone che vogliono essere macchine, ci sono macchie che anelano ad essere umane, e il filo narrativo della poliziotta Karen (Ruth Bradley) e il suo amore per Pete (Neil Maskell), con il suo tragico epilogo, è stata un vero punto di forza. Meglio ingegnata e riuscita dell’originale, oltre che più realistica, è stata anche la tematica del trasferimento di coscienza. Se Real Humans vedeva in questo caso vicende al limite del ridicolo con una messa in scena quasi casalinga, qui si è immaginata una scienziata, la dottoressa Athena Morrow (Carrie-Anne Moss, Jessica Jones), che ha dedicato la vita a quest’obiettivo ed è riuscita a creare una intelligenza artificiale, che chiama “V”, per conservare l’identità della figlia Virginia (prima in coma, poi morta), ed è alla ricerca di un corpo in cui poterla installare. Viene lavorativamente corteggiata da una grande corporation tecnologica, la Qualia – un nome che denota una certa finezza filosofica, con riferimento al pensiero di Frank Jackson, le cui speculazioni riecheggiano nella serie -, guidata da Milo (Marshall Allman), che prevede macchine senzienti bambino/a il cui corpo viene aggiornato ogni anno per simularne la crescita fisica. Qui pure si riesce ad offrire una nuova stimolante prospettiva rispetto alla fonte primigenia.

Molti altri sono i quesiti messi in campo: si possono risolvere i problemi dell’umanità con la tecnologia? Qual è il modo di trovare un proposito e un significato alla propria vita? Che peso hanno i nostri sentimenti, il piacere, la gioia? Che rapporto c’è fra mente e corpo? Anche nella seconda stagione perciò, la serie risulta intellettualmente gravida di spunti, ma ancora una volta nonostante tutto non riesce a trascinare come potrebbe. Forse, come già osservavo per la prima stagione, la mia visione è ancora troppo offuscata dall’ombra dell’antenato. 

martedì 20 giugno 2017

TCA AWARDS: le nomination


Sono uscite le nomination per i premi della TCA, l’associazione dei critici televisivi americani e canadesi, che verranno consegnati il 5 agosto prossimo. Qui sotto i nominati per le varie categorie. La fonte della notizie, dove è possibile avere altri dettagli, è questa.

Miglior performance in un drama

Sterling K. Brown, “This Is Us,” NBC
Carrie Coon, “The Leftovers” & “Fargo,” HBO & FX
Claire Foy, “The Crown,” Netflix
Nicole Kidman, “Big Little Lies,” HBO
Jessica Lange, “Feud: Bette And Joan,” FX
Elisabeth Moss, “The Handmaid’s Tale,” Hulu
Susan Sarandon, “Feud: Bette And Joan,” FX

Miglior performance in una comedy

Pamela Adlon, “Better Things,” FX
Aziz Ansari, “Master of None,” Netflix
Kristen Bell, “The Good Place,” NBC
Donald Glover, “Atlanta,” FX
Julia Louis-Dreyfus, “Veep,” HBO
Issa Rae, “Insecure,” HBO
Phoebe Waller-Bridge, “Fleabag,” Amazon

Miglior programma di news e informazione

“Full Frontal With Samantha Bee,” TBS (2016 Winner in Category)
“Last Week Tonight With John Oliver,” HBO
“The Lead With Jake Tapper,” CNN
“O.J.: Made in America,” ESPN
“Planet Earth II,” BBC America
“Weiner,” Showtime

Miglior reality

“The Circus,” Showtime
“The Great British Baking Show,” PBS
“The Keepers,” Netflix
“Leah Remini: Scientology and the Aftermath,” A&E
“Shark Tank,” ABC
“Survivor: Game Changers,” CBS

Miglior programma per ragazzi

“Daniel Tiger’s Neighborhood,” PBS (2016 Winner in Category)
“Doc McStuffins,” Disney Junior
“Elena of Avalor,” Disney Channel
“Odd Squad,” PBS
“Sesame Street,” HBO
“Speechless,” ABC


Miglior nuovo programma

“Atlanta,” FX
“The Crown,” Netflix
“The Good Place,” NBC
“The Handmaid’s Tale,” Hulu
“Stranger Things,” Netflix
“This Is Us,” NBC

Miglior film, miniserie o speciale

“Big Little Lies,” HBO
“Fargo,” FX
“Feud: Bette and Joan,” FX
“Gilmore Girls: A Year in the Life,” Netflix
“The Night Of,” HBO
“Wizard of Lies,” HBO

Miglior drama

“Better Call Saul,” AMC
“Stranger Things,” Netflix
“The Americans,” FX (2015 & 2016 Winner in Category)
“The Crown,” Netflix
“The Handmaid’s Tale,” Hulu
“This Is Us,” NBC

Miglior comedy

“Atlanta,” FX
“black-ish,” ABC (2016 Winner in Category)
“Fleabag,” Amazon
“Master of None,” Netflix
“The Good Place,” NBC
“Veep,” HBO

Programma dell’anno

“Atlanta,” FX
“Big Little Lies,” HBO
“Stranger Things,” Netflix
“The Handmaid’s Tale,” Hulu
“The Leftovers,” HBO
“This Is Us,” NBC

domenica 18 giugno 2017

AMERICAN CRIME: la terza stagione sulla schiavitù moderna


Sempre potente e appassionante nella sua dolorosità, American Crime ha terminato la terza stagione come aveva chiuso la seconda, con una sospensione, con alcuni dei personaggi di fronte a un giudice in un'aula di tribunale. Il grande tema di questo segmento è stato la schiavitù moderna: dei lavoratori agricoli, dei lavoratori del sesso, dei lavoratori domestici. La serie ha fornito aridi dati con lucidità, ma poi li ha soprattutto incarnati in vicende umane fatte di disperazione. E alla fine, ha mostrato come gli ingranaggi del sistema distruggano tutti, non solo le presunte vittime, ma come anche i più idealisti alla fine cedano sotto la pressione di una realtà che non lascia scampo a nessuno.

ATTENZIONE SPOILER

Luis Salazar (Benito Martinez) viene dal Messico in cerca del figlio scomparso e finisce per farsi assumere per raccogliere pomodori, in una fattoria dove gli operai sono costretti a lavorare in condizioni estreme per quasi nulla, fra ricatti, violenze e abusi di ogni sorta. Scoprirà che lì il figlio è morto, la stessa sorte che tocca al giovane Coy Henson (Connor Jessup), che reclutato da Issac Castilo (Richard Cabral), viene spinto a far uso di quella droga da cui cerca di liberarsi, malato e sfruttato. Vengono in mente le vicende dei neri negli anni successivi alla fine della schiavitù, vengono in mente passaggi di “Furore” di Steinbeck. Quando scopre che le morti che avvengono nella fattoria di proprietà della sua famiglia acquisita non vengono nemmeno riportate dai giornali, e si rende conto delle condizioni in cui sono costretti a vivere gli operai, Jeannette (Felicity Huffman) si impegna perché vuole cambiare le cose.  
La diciassettenne Shae (Ana Mulvoy-Ten) è esplicita. “mi scopo uomini nei vicoli perché è meglio di quello da cui vengo” (3.04) – finisce prima incinta, poi ammazzata per uno screzio insulso, il suo cadavere buttato nel fiume. L’assistente sociale Kimara Walters (Regina King), che disperatamente vuole un bambino ma non ha il denaro per i trattamenti di fertilità necessari, si fa in quattro rispondendo anche alle chiamate notturne degli adolescenti che vivono allo sbando, cercando loro un tetto temporaneo, e aiutandoli e indirizzandoli come può.
Clair Coates (Lili Taylor) è apparentemente una donna agiata, ma è costantemente vittima dell’abuso verbale, emotivo e psicologico, del marito Nicholas (Timothy Hutton), divorato dalle preoccupazioni di un’azienda che sta fallendo, che le dice che non vale nulla e che la tratta come una parassita. Assume una tata di Haiti, Gabrielle Durand (Mickaële X. Bizet), perché viva con loro in modo che il figlio possa imparare il francese da una parlante nativa. Dice a tutti che la donna è un’autolesionista, quando è lei (si scopre in chiusura, ma i segnali c’erano) che le procura ferite e bruciature di ogni tipo.

American Crime ci dice che nella sola North Carolina il 39% dei 150.000 contadini dello Stato riportano di essere stati oggetto di traffico illegale o di aver ricevuto abusi di altro tipo: fisici, sessuali, minacce di morte, furto salariale, esposizione a sostanze chimiche e pesticidi dannosi…In un buisiness che porta all’economia americana 200 miliardi di dollari. (3.02)  E ammonisce che il cibo sulle nostre tavole viene a un prezzo che non possiamo vedere. Lo stesso gli abiti e gli oggetti. Qual è il costo che si paga per vivere come facciamo? Chi lo paga? Possiamo decidere di ignorarlo. Tutti facciamo finta di non saperlo a volte, ma non possiamo essere ignoranti (3.03) Dopo quello che la serie ha mostrato attraverso le sue storie, ovvero come per molti non ci sia una vera scelta e che sia solo fra morire di fame o vendersi, fra vivere o morire, si sgonfiano da sole nella loro insignificante cecità di fronte alla realtà del mondo le dichiarazioni di due uomini bianchi che, a un party di beneficenza, si lamentano del fatto che il cosiddetto “privilegio del maschio bianco” sarebbe un mito, a loro modo di vedere, e che quella che chiamiamo “moderna schiavitù” il resto del mondo lo chiama “lavoro o “impiego”.

E se la schiavitù moderna è una crisi urgente, la serie non ha soluzioni facili.  Kimara viene messa davanti a una scelta da una collega, Abby Tanaka (Sandra Oh, Grey’s Anatomy): mentire, dicendo che alla sua fondazione lei invia perché abbiano un letto un certo numero di persone che di fatto non raggiunge. (3.06) Abby le spiega che non ricevono il denaro se non raggiungono un certo numero di invii, ma non possono accettare quel numero di invii se non ricevono il denaro. Che cosa fare?

In conclusione,  i personaggi che più hanno lottato cedono. Kimana, dopo che Dustin (Kurt Krause) confessa quello che è accaduto a Shae, alla fine accetta una proposta di lavoro di Abby chiedendo una somma di denaro molto maggiore di quella che le era stata proposta per andare a lavorare con lei: quel denaro così non andrà a quei giovani di strada per cui si è sempre battuta, ma almeno lei potrà permettersi di pagarsi quei trattamenti che le daranno la possibilità di rimanere incinta. Jeannette, che aveva lasciato il marito Carson (Dallas Roberts) e denunciato le pratiche nella fattoria, rimane senza via d’uscita economica; per poter chieder l’affidamento dei figli della sorella Raelyn (Janel Moloney), finita in carcere per problemi di droga, decide di “tornare all’ovile” e di sostenere la famiglia da cui si era allontanata.

La serie, ricca di dettagli e sfumature, brilla aprendo le menti, ma spezzando il cuore perché mostra un mondo spietato dove la giustizia ci prova anche, ma troppo spesso fallisce e distinguere i “buoni” dai “cattivi” a volte è davvero impossibile.  

venerdì 9 giugno 2017

MASTERS OF SEX: la quarta stagione


Che Masters of Sex abbia chiuso dopo la quarta stagione non sorprende né dispiace, perché, come è stato evidente proprio dall’ultimo segmento, ha detto ormai tutto quello che aveva da dire.

L’arco conclusivo si è aperto con William (Michael Sheen) e Virginia (Lizzy Caplan) che non riescono a stare insieme, ma nemmeno separati, e professionalmente assumono un’altra coppia, tale anche nella vita anche se all’inizio lo tengono nascosto, Nancy Leveau (Betty Gilpin) e Art Dreesen (Jeremy Strong), per riuscire a portare avanti il sodalizio almeno nel lavoro d’ufficio e verso il mondo esterno - perché sono un brand, uno “stile di vita”. Virginia si propone per una rubrica su Playboy (4.01), ma la vogliono solo in coppia con lui, lui arrestato ubriaco viene costretto a seguire degli incontri dell’AA, dove lo prende sotto la sua ala protettiva Louise (Niecy Nash). L’arco si è chiuso poi con i due protagonisti che si ritrovano da un punto di vista emozionale e che si sposano. Si è riusciti, cosa che temevo non facessero, e che suona finto ma è verissimo rispetto alla verità biografica del vero Masters, a introdurre una vecchia fiamma di lui, Dody (Keli O’Hara): da adolescente le si era dichiarato chiedendo di sposarlo mandandole dei fiori in ospedale, dove lei era ricoverata. Lei non li aveva mai ricevuti, lui aveva creduto che lei non fosse interessata, lei che lui l’avesse lasciata: non si sono più rivisti e ciascuno è andato per la propria strada. Nella vita reale, i due, in tarda età, finiscono per sposarsi, e nella finzione se non altro hanno modo di chiarirsi. Si è mostrata così una di quelle situazioni ambigue in cui talvolta ci si ritrova nella vita vissuta: le vicissitudini si sono svolte in un certo modo senza che si riesca veramente a spiegare il perché, anche se a posteriori sembra assurdo e insensato. Provi a dare una spiegazione, ma non ne esce nulla che non sia fumoso e inconcludente. Questo è stato reso bene.

Per il resto questa stagione ha toccato temi anche importanti che poteva approfondire e invece ha trascurato: il rischio che compiere atti intimi dietro a un vetro possa farlo diventare una performance (4.08), il rapporto fra terapeuti e pazienti, tematiche sessuali varie che come professionisti i personaggi incontrano, come può essere il rapporto fra violenza e desiderio (4.03) o i limiti e le aspettative sessuali all’interno delle coppie  - quest’ultima affrontata davvero solo con la coppia di collaboratori Nancy ed Art, in una bella, triste storia di ambizione, manipolazione e insicurezza, e forse un po’ con i genitori di lei. Accenni in queste direzioni per il resto sono diventate occasioni mancate. Alla fine, perfino la necessità da parte dei due sessuologi di proteggere la propria eredità scientifico-culturale è giocata più come un tentativo da parte di Ginny di riavvicinarsi a Bill che come un’autentica esigenza intellettuale.

La serie per il resto si è spesa su temi che già in passato le erano stati cari, ovvero l’emancipazione femminile e la questione omosessuale. La prima è stata affrontata soprattutto attraverso Libby (Caitlin FitzGerald), che partecipa con altre donne a un gruppo di consapevolezza e scopre il senso del “bruciare i reggiseni”, trova il coraggio di chiedere a Bill di gratificarla con del sesso orale come mai avevano fatto durante il loro matrimonio, sempre troppo formale e convenzione, cosa di cui si rammarica, intraprende una relazione con l’avvocato di Bill e si sperimenta anche come figlia dei fiori e come naturista / nudista,  decidendo di tornare all’università per perseguire una carriera giuridica. Il suo personaggio rimane però sempre troppo isolato e le sue esperienze faticano ad avere la risonanza che avrebbero potuto con lei come emblema di un’epoca.

Il tema dell’omosessualità si mostrato prismaticamente con l’editore dei libri della coppia incapace di ammettere la propria tendenza, ma soprattutto con la gravidanza e la successiva morte per parto di Helen (Sarah Silverman), ripudiata dai genitori perché lesbica, e le acrobazie legali messe atto da Betty (Annaleigh Ashford) per riuscire a crescerne il bebè. Dove la serie si è impegnata è nel cercare di rendere credibile una passaggio della vita reale che ha lasciato tutti perplessi e sconcertati. William è sempre stato fortemente convinto che non esistono “devianti sessuali”: lo siamo tutti, dal momento che non c’è una norma. (4.05). Eppure in seguito lui proporrà la terapia di conversione per gli omosessuali, come modalità per “curarli”. Il passaggio fra una posizione e l’altra, che rimane un po’ come una macchia sul suo lavoro, non è mai stato del tutto chiaro come si sia verificato nella vita e la serie ha provato ad abbozzare una sorta di spiegazione di come questo potrebbe essere avvenuto.

Nei punti oscuri o grigi di vite di persone che hanno tenuto molto alla segretezza, la serie riesce a costruire delle ipotesi credibili. Quello che non è riuscita a fare, fuori dalla prima stagione, è stato riuscire ad essere pregnante e rilevante quanto avrebbe potuto. In definitiva sono stati personaggi e storie con cui si è trascorso con piacere il proprio tempo, ma che non dispiace lasciar andare.