Che Masters
of Sex abbia chiuso dopo la quarta stagione non sorprende né dispiace,
perché, come è stato evidente proprio dall’ultimo segmento, ha detto ormai
tutto quello che aveva da dire.
L’arco conclusivo si è aperto con William (Michael Sheen)
e Virginia (Lizzy Caplan) che non riescono a stare insieme, ma nemmeno separati,
e professionalmente assumono un’altra coppia, tale anche nella vita anche se
all’inizio lo tengono nascosto, Nancy Leveau (Betty Gilpin) e Art Dreesen
(Jeremy Strong), per riuscire a portare avanti il sodalizio almeno nel lavoro
d’ufficio e verso il mondo esterno - perché sono un brand, uno “stile di vita”.
Virginia si propone per una rubrica su Playboy (4.01), ma la vogliono solo in
coppia con lui, lui arrestato ubriaco viene costretto a seguire degli incontri
dell’AA, dove lo prende sotto la sua ala protettiva Louise (Niecy Nash). L’arco
si è chiuso poi con i due protagonisti che si ritrovano da un punto di vista
emozionale e che si sposano. Si è riusciti, cosa che temevo non facessero, e
che suona finto ma è verissimo rispetto alla verità biografica del vero
Masters, a introdurre una vecchia fiamma di lui, Dody (Keli O’Hara): da
adolescente le si era dichiarato chiedendo di sposarlo mandandole dei fiori in
ospedale, dove lei era ricoverata. Lei non li aveva mai ricevuti, lui aveva
creduto che lei non fosse interessata, lei che lui l’avesse lasciata: non si
sono più rivisti e ciascuno è andato per la propria strada. Nella vita reale, i
due, in tarda età, finiscono per sposarsi, e nella finzione se non altro hanno
modo di chiarirsi. Si è mostrata così una di quelle situazioni ambigue in cui
talvolta ci si ritrova nella vita vissuta: le vicissitudini si sono svolte in
un certo modo senza che si riesca veramente a spiegare il perché, anche se a
posteriori sembra assurdo e insensato. Provi a dare una spiegazione, ma non ne
esce nulla che non sia fumoso e inconcludente. Questo è stato reso bene.
Per il resto questa stagione ha toccato temi anche
importanti che poteva approfondire e invece ha trascurato: il rischio che compiere
atti intimi dietro a un vetro possa farlo diventare una performance (4.08), il
rapporto fra terapeuti e pazienti, tematiche sessuali varie che come
professionisti i personaggi incontrano, come può essere il rapporto fra
violenza e desiderio (4.03) o i limiti e le aspettative sessuali all’interno
delle coppie - quest’ultima affrontata
davvero solo con la coppia di collaboratori Nancy ed Art, in una bella, triste
storia di ambizione, manipolazione e insicurezza, e forse un po’ con i genitori
di lei. Accenni in queste direzioni per il resto sono diventate occasioni
mancate. Alla fine, perfino la necessità da parte dei due sessuologi di
proteggere la propria eredità scientifico-culturale è giocata più come un
tentativo da parte di Ginny di riavvicinarsi a Bill che come un’autentica
esigenza intellettuale.
La serie per il resto si è spesa su temi che già in
passato le erano stati cari, ovvero l’emancipazione femminile e la questione
omosessuale. La prima è stata affrontata soprattutto attraverso Libby (Caitlin
FitzGerald), che partecipa con altre donne a un gruppo di consapevolezza e
scopre il senso del “bruciare i reggiseni”, trova il coraggio di chiedere a
Bill di gratificarla con del sesso orale come mai avevano fatto durante il loro
matrimonio, sempre troppo formale e convenzione, cosa di cui si rammarica, intraprende
una relazione con l’avvocato di Bill e si sperimenta anche come figlia dei
fiori e come naturista / nudista, decidendo
di tornare all’università per perseguire una carriera giuridica. Il suo
personaggio rimane però sempre troppo isolato e le sue esperienze faticano ad
avere la risonanza che avrebbero potuto con lei come emblema di un’epoca.
Il tema dell’omosessualità si mostrato
prismaticamente con l’editore dei libri della coppia incapace di ammettere la
propria tendenza, ma soprattutto con la gravidanza e la successiva morte per
parto di Helen (Sarah Silverman), ripudiata dai genitori perché lesbica, e le
acrobazie legali messe atto da Betty (Annaleigh Ashford) per riuscire a
crescerne il bebè. Dove la serie si è impegnata è nel cercare di rendere
credibile una passaggio della vita reale che ha lasciato tutti perplessi e sconcertati.
William è sempre stato fortemente convinto che non esistono “devianti
sessuali”: lo siamo tutti, dal momento che non c’è una norma. (4.05). Eppure in
seguito lui proporrà la terapia di conversione per gli omosessuali, come
modalità per “curarli”. Il passaggio fra una posizione e l’altra, che rimane un
po’ come una macchia sul suo lavoro, non è mai stato del tutto chiaro come si
sia verificato nella vita e la serie ha provato ad abbozzare una sorta di
spiegazione di come questo potrebbe essere avvenuto.
Nei punti oscuri o grigi di vite di persone che
hanno tenuto molto alla segretezza, la serie riesce a costruire delle ipotesi
credibili. Quello che non è riuscita a fare, fuori dalla prima stagione, è
stato riuscire ad essere pregnante e rilevante quanto avrebbe potuto. In
definitiva sono stati personaggi e storie con cui si è trascorso con piacere il
proprio tempo, ma che non dispiace lasciar andare.
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