venerdì 22 novembre 2013

DOWNTON ABBEY: una perfetta quarta stagione

 
Attenzione SPOILER. Manca ancora lo speciale natalizio per chiudere la quarta stagione di Downton Abbey, ma si può già certo dire che è stata eccellente, al pari se non addirittura migliore della prima, dopo le più deboli seconda e terza.
Teso, intenso, sobrio, senza sbavature o cedimenti eccessivamente melodrammatici, e con un saggio uso dell’ellissi, questo arco è cominciato nel dolore per il lutto della morte di Matthew (Dan Stevens), con Lady Mary (Michelle Dockery) e Isobel (Penelope Wilton) che hanno perduto rispettivamente il marito e il figlio circa sei mesi prima. La prima puntata si è soffermata anche sul significato dell’essere madri dato che lo sono entrambe. Mary, ora vedova, rifugge nuovi legami sentimentali - ma attira le attenzioni sia del vecchio amico d’infanzia Lord Gillingham (Tom Cullen) che di Charles Blake (Julian Ovenden), capo di Evelyn Napier (Brendan Patricks), pure fra i spasimanti di Mary - e si dedica alla gestione attiva delle proprietà che il marito le ha interamente lasciato in una lettera-testamento. Isobel viene risvegliata invece alla vita da una bella amicizia con nonna Violet (Maggie Smith). È una gradita boccata d’aria fresca vedere una storia di amicizia fra due donne anziane. E alle fine le coppie non-sentimentali sono probabilmente le più belle qui: Carson e Lady Mary, ad esempio, son stati spettacolosi come e più di sempre.

Lady Edith (Laura Carmichael) finisce sempre per fare il brutto anatroccolo della situazione: in questa stagione viene apparentemente abbandonata senza spiegazioni del suo pretendente, e si scopre incinta. La serie ha flirtato con la possibilità di farla abortire, e in questo caso avrei voluto fosse un po’ più coraggiosa nel raccontare una storia scomoda, mentre è ricaduta nel solito trito cliché di arrivare fino alla porta del medico e poi all’ultimo di ritirarsi. Non è stonato, ma è stata la soluzione più banale a cui potessero arrivare. È stato molto vero però il modo in cui in sala d’attesa ha fugacemente accennato a come avrebbe reagito al posto suo la sorella Sybill, ora morta, parlando a cuore aperto con zia Rosamund (Samantha Bond) che le è stata vicina.

Nonostante sia nata una controversia in proposito, con proteste indirizzate alla rete, la storia di stupro di Anna (Joanne Froggatt) da parte del valletto di Lord Gillingham, Mr Green (Nigel Harman), è stata trattata con tatto e destrezza, in tutta la costruzione narrativa e nella impeccabile recitazione di tutti i coinvolti – Bates (Brendan Coyle), Mrs. Hughes (Phyllis Logan), Mary e la stessa Anna in primis, naturalmente. Storie di stupro ne ho viste anche troppe, ed inizialmente ero insoddisfatta che avessero scelto di raccontare un simile evento, ma ripensandoci ho pensato fosse una storia importante per il periodo storico in cui è avvenuto e per il diverso atteggiamento allora nei confronti di questo genere di crimini. In realtà doveva essere una situazione abbastanza comune.

Il flirt della giovane cugina Rose (Lily James) con il musicista jazz nero Jack Ross (Garu Carr) – forse ispirata dalla serie Dancing on the edge, come giustamente ha osservato qualcuno  - ha sollevato la questione razziale: si è ritratto un mondo con pochissime pennellate e sguardi ben diretti – i giochi di sguardi sono stati un punto di forza notevole in questa stagione anche altrove. La vicenda si è conclusa in modo sia coerente con i mores dell’epoca – siamo nel 1922 – che in modo umanamente soddisfacente.

Anche i rapporti di classe e di casta sono stati un tema ricorrente: un giovane giardiniere sospettato di furto; i dubbi di Tom (Allen Leech) sul proprio posto nella famiglia; le esilaranti vicende legate alla caduta professionale di Molesley (Kevin Doyle). Il triangolo di amori non corrisposti Daisy (Sophie McShera)- Alfred (Matt MIlne) - Ivy (Cara Theobold) e le piccole rivalità fra le due ragazze, così come le aspirazioni da cuoco di lui, l’esasperazione di Mrs Patmore (Lesley Nicol) e i saggi consigli del padre di William, pure sono stati un riuscito sub-plot. E sempre uno spasso è poi vedere le innovazioni tecnologiche di allora (il frigorifero, la macchina da cucire Singer).

Forse anche a causa dell’uscita di scena di O’Brien (Siobhan Finneran), che non si è vista in questa stagione ma potrebbe tornare in futuro, Thomas Barrow (Rob James-Collier) è rimasto un po’ sul back burner, così come in secondo piano è rimasta Cora (Elizabeth McGovern), anche se nello speciale natalizio è previsto l’arrivo del fratello Harold, a cui darà il volto Paul Giamatti. Mi unisco al brindisi fatto nell’ultima puntata prima dello speciale, da lei e Lord Grantham (Hugh Bonneville) di ritorno da New York, per congratularmi per una stagione davvero riuscita.  

martedì 12 novembre 2013

MASTERS OF SEX: impeccabile


Masters of sex è la nuova serie dell’americana Showtime, basata sull’omonima biografia scritta da Thomas Maier, che narra le vicende di due pionieri della sessuologia, William Masters (Michael Sheen), ginecologo e ostetrico, e Virginia Johnson (Lizzy Caplan), ex cantante poi segretaria, che crearono un fortunato  sodalizio studiando un argomento ai loro tempi praticamente radioattivo, un suicidio professionale. La trasposizione televisiva sta raccogliendo critiche entusiaste. E la mia si aggiunge al coro. Ho letto il libro e la serie mi pare impeccabile.
Gli assi su cui la serie si costruisce sono cinque, direi. Primo, la costruzione dei personaggi: lui ambizioso, considerato strano, e quasi ossessionato dallo studiare la sessualità umana; lei affabile e libera e altrettanto interessata all’argomento, ma inizialmente impreparata e perennemente “in debito di formazione” rispetto alle certificazioni ufficiali. Lui sposato con Libby (Caitlin Fitzgerald), che fatica a concepire dei figli; lei con due matrimoni falliti alle spalle e due figli piccoli a suo carico. Secondo, il  loro rapporto: intenso, profondo, complicato e a dispetto della buona quantità di materiale, sotto tanti profili ignoto, cosa che permette alla narrazione un margine notevole per raccontare la propria storia. Terzo: i mores dell’epoca, sulla sessualità che è un vero tabù, ma non solo. Quarto, le tematiche che sono messe in luce da libro: la difficoltà della scienza di superare le barriere dei pregiudizi, di fronte alla materia del sesso; l’importanza della donna in questo studio, sotto più profili. Quinto: la rivoluzione che hanno portato i loro studi che hanno rivelato verità biologiche che ora diamo per scontate e investigato e fugato radicati tabù e pregiudizi in materia di sesso.

E l’autrice della serie, Michelle Ashford, ci offre una chiave di lettura interessante. Il punto focale non è il sesso, ma William e Virginia (o Bill e Ginny, se preferite) che guardano il sesso. E noi guardiamo loro. Io, quanto meno, di certo. Da non perdere davvero. 


lunedì 4 novembre 2013

DRACULA: poco dionisiaco

 
Tanto apollineo, ma troppo poco dionisiaco è stato il primo pensiero che ho avuto nel guardare la nuova incarnazione di Dracula , serie della NBC (negli USA) e Sky One (in Inghilterra)  in 10 puntate - ideata da Cole Haddon, e basata molto liberamente sul classico di Bram Stocker, ma poi scritta da Daniel Knauf (Carnivale) anche showrunner -, in cui il volto del più famoso vampiro della storia è interpretato da Jonathan Rhys Meyers (I Tudor).
Siamo alla fine del XIX secolo e Abraham Van Helsing (Thomas Kretschmann, attore che in passato ha interpretato Dracula lui stesso, nella pellicola di Dario Argento Dracula 3D) risveglia il suo nemico, il conte Dracula, per creare con lui un’alleanza diretta a distruggere l’Ordine del Drago. Dracula accetta perché vuole vendicarsi di chi lo ha condannato all’immortalità. Accompagnato dal fido Renfield (Nonso Anozie), si fa passare per Alexander Grayson un ricco imprenditore americano –sembra una sorta di più tenebroso Mr Selfridge – che vuole far scoprire ai londinesi il potere dell’energia elettrica senza fili, possibile grazie al potere del geomagnetismo (in un guizzo di steampunk, come ben nota Barbara Maio). Organizza all’uopo una grande festa nella sua sontuosa dimora Vittoriana – come una sorta di versione non-morta del grande Gatsby, modello esplicito dello scenografo Rob Harris. Qui incontra Mina Murray (Jessica De Gouw), aspirante medico di cui si invaghisce, che pare la reincarnazione della sua defunta moglie (ma vogliono evitare il melodramma),  il fidanzato di lei, il giornalista  Jonathan Arker (Oliver Jackson Cohen), che aspira alla scalata sociale, e la loro amica Lucy Westenra (Katie McGarth).
Girata a Budapest (che passa per Londra), la serie è visivamente mozzafiato, ma manca di mordente da un punto di vista narrativo, e in definitiva annoia. Al di là dell’alleanza fra i due nemici storici, le premesse della rivisitazione non dispiacciono, ma mancano tormento e passione. È esangue.