martedì 28 gennaio 2020

RAMY (1.02): realistico, sottile, complesso


Ho trovato  affascinante quello che la puntata “Princess Diana” (1.02) di  Ramy (ne ho parlato qui), scritta da Leah Nanako Winkler, e diretta da Christopher Storer, è riuscita a trasmettere.

La premessa è abbastanza semplice: Ramy (Ramy Youssef) perde il proprio impiego e i genitori invitano a cena lo zio Naseem (Laith Nakli) perché il giovane prenda in considerazione di lavorare per lui. Quello che è affascinante è il modo realistico, sottile e complesso in cui riescono a costruire attraverso la figura dello zio, non solo la sua persona ma una serie di relazioni umane, e a farlo diventare il catalizzatore di un evento significativo. 

Questo zio è razzista, antisemita, omofobo e misogino e i figli non mancano di farlo notare ai genitori, che però insistono per l’incontro e perché siano tutti presenti. Si ritrae bene il disagio di tutta la famiglia di fronte alle dichiarazioni del parente, da far accapponare la pelle, e ci si ritrova facilmente in quell’imbarazzo di dover aver a che fare con una persona di cui si trova aberrante il pensiero, ma che per convenienza, per affetto, per rispetto e per dovere non si vogliono contrastare apertamente, pur ritenendole inaccettabili, le cose che dice.

Prima di ogni cosa la serie riesce sia a mostrare il fastidio e la sopportazione, sia a ridere delle posizioni discriminatorie e delle sue assurdità. Quando la sorella di Ramy, Dena (May Calamawy) viene criticata per il suo comportamento, lei coglie la palla al balzo e usa la misoginia a suo favore, dando la colpa al ciclo e ottiene, in virtù dello stato fragile in cui si trova per questa situazione, di uscire, cosa che i genitori non volevano che facesse. Si ride della sua abilità, e la ben calibrata recitazione fa sì che si noti lo scacco in cui i genitori sono stati messi, consapevoli delle assurdità retrograde di Naseem, ma nella posizione di non poterlo contestare. 

Si riesce attivamente a ridere delle dichiarazioni antisemite e misogine, cosa rischiosa da riuscire a fare senza risultare a propria volta antisemiti e misogini. Ma se si irride la mentalità del personaggio, si riesce contemporaneamente a non degradare lui. Mentre escono in macchina insieme, lo zio impone al nipote di accostare la macchina per accorre in aiuto di una donna che è in pericolo di essere aggredita dal fidanzato con cui stava litigando, e c’è una zuffa. La ragazza va via con il suo uomo ugualmente, ma loro hanno scongiurato il peggio e comunque hanno fatto un’azione nobile. Il motivo che ha spinto Naseem ad andare in soccorso della donna è comunque di un sessismo molto usuale (quante volte l’ho sentito io stessa nella vita) ovvero che le donne vanno protette non perché non ci si fida di loro, ma perché non ci si fida degli uomini. In questo modo si umanizza un personaggio che si vede come cerchi di fare la cosa giusta, pur nei limiti del proprio bigottismo e di come, di fatto, lui con le sue idee discriminatorie e la sua attenzione ai soldi si sia dato da fare a favore di un altro essere umano, anche rischiando in prima persona, più di quanto non avrebbe fatto Ramy, che è ostile alla discriminazioni e si vede animato di passione, ma non si sarebbe fermato. Vuole fare un’attività che abbia un valore per lui, non solo lavorare per guadagnare. Nella zuffa, in cui era stato coinvolto anche lui, perde una scarpa. Quando la regia gli fa guardare al termine di tutto il suo piede col solo calzino, c’è condensata tutta la ragione che lo fa accettare di andare a lavorare con lo zio a dispetto della sua ignoranza e dei suoi pregiudizi. Capisce che ha da imparare da lui. Che ci sono cose a cui tiene, che c’è comunque un certo idealismo in lui.

Tutta la puntata riflette sull’etica del lavoro - la passione è per i bianchi, gli ricorda il padre, loro lavorano e lavorano duramente - e sulla mascolinità, su che cosa consista essere un vero uomo - e fra le connessioni fra i due aspetti della vita. E interessanti sono sia le diverse aspettative generazionali sia quelle sociali: come ad esempio goda di considerazione un uomo con soldi che però ha delle idee fortemente insultanti nei confronti di suoi simili, e al contempo un ragazzetto di nobili principi, ma senza un’occupazione, non venga visto come un uomo la cui mascolinità sia apprezzabile. È un’osservazione pregnante rispetto alla realtà proprio nell’accostamento, e contemporaneamente appunto si spinge a far riflettere Ramy sull’importanza del guadagnare e di avere denaro proprio, e a non svilire del tutto l’umanità di chi mostra poca considerazione per gli altri. 

Le persone, le relazioni, le situazioni, vengono davvero mostrate con notevoli chiaroscuri, e con un realismo anche sgradevole, ma decisamente umano. 

lunedì 20 gennaio 2020

Termina MR ROBOT: addio, amico


In che modo possiamo cambiare il mondo? Essendoci, essendo presenti e facendo del nostro meglio. Questo sembra il messaggio ultimo dell’intera serie di Mr Robot che torna nella quarta stagione alla tematica principe già introdotta nella prima.

Ho scritto un saggio per “Osservatorio TV” del 2018 su questa serie, concentrandomi sulle prime tre stagioni e su come sia stata una metanoia che ha fatto ampio uso dell’agnizione, cosa che ritorna anche in questo ultimo segmento, e su come abbia usato un’originalissima estetica visuale con un framing che potenzia spazio negativo e shortsighting. Se il secondo e il terzo arco però sono stati in calo rispetto all’esordio, non questo quarto, che ci ha riportato agli antichi splendori narrativi, sia nella trama orizzontale che nell’approfondimento verticale di ciascun episodio singolo: non sono quelle che si chiamano puntate autoconclusive, ma hanno una forte identità singola piuttosto pregnante, non si confondono l’una nell’altra. 

Si è esordito con due morti, una delle quali del protagonista, “temporanea”, con un cameo dell’ideatore Sam Esmail che dice “Goodbye friend”; c’è stata una puntata praticamente senza dialogo (4.05), un episodio di rivelazione di che cosa sia davvero accaduto nell’infanzia di Elliot (4.07), un catartico abbraccio (4.08) fra il protagonista e Mr Robot (Christian Slater), l’intensa memorabile scena in 4.11 (qui) fra Elliot e Whiterose (BD Wong), la realtà alternativa del sottofinale e la rivelazione in chiusura di chi è veramente Eliot, al tempo stesso sensata e anticlimatica. Più intima anche, come si è sentito giusto che fosse. SPOILER: in realtà l’Elliot che abbiamo conosciuto non è altro che un’altra personalità che ha preso in ostaggio il vero Elliot, uno che noi non abbiamo mai conosciuto e che si trova alla fine in un letto d’ospedale, con la sorella Darlene (Carly Chaikin) a prendersene cura.  Anche se tutto quello che si è verificato è accaduto veramente, ci tiene a sottolineare lei.

I titoli delle puntate, sempre attinenti al mondo dei computer, in questa stagione hanno preso il nome dei codici di errore del protocollo di rete http.  

Si è parlato di cambiare il mondo, ma anche di problemi psichiatrici, solitudine, potere, ricchezza, equità, rivoluzione, abuso su minore, amore, amicizia, famiglia, felicità, opportunità, tecnologia, virtuale e reale… una serie che non è diventata una must a caso.

Addio, amico. 

sabato 18 gennaio 2020

HIS DARK MATERIALS: una serie senza "daimon"


Tratto dal’omonima trilogia di Philip Pullman, in His Dark MaterialsQueste Oscure Materie (su Sky Atlantic, in Italia) siamo in una realtà parallela in cui ogni essere umano è accompagnato da un “daemon – daimon”, l’anima della persona che assume fattezze di animale e che non le si allontana fisicamente mai di molto. Se qualcosa succede all’una si riflette sull’altra, e viceversa. In ogni caso, finché una persona non diventa adulta, il suo daemon può cambiare fattezze.

Protagonista è una ragazzina, Lyra Belacqua (Dafne Keen), sempre credutasi orfana, cresciuta nel prestigioso Jordan College di Oxford – e il suo daimon si chiama Pantalaimon, “Pan”. Si ritiene che la sua vita sia legata a un’antica profezia: è destinata a liberare l’umanità dal potere repressivo del Magisterium, la più alta autorità religiosa del suo mondo – questa è un’informazione che leggo su IMDB, nella serie in sé si è molto più vaghi. Qualsiasi scoperta che abbia un'attinenza con le dottrine della Chiesa deve essere annunciata attraverso questo potente organo clericale, che è anche censore, per evitare che si sviluppino eresie. Lyra è l’unica persona in grado di leggere senza dei libri che aiutano a decifrarlo un prezioso strumento chiamato aletiometro, un misuratore di verità. Lyra vorrebbe unirsi a quello che pensa essere suo zio, il brillante studioso ed esploratore Asriel (James McAvoy), ma finisce per andare lei stessa in un viaggio avventuroso alla ricerca, insieme al popolo dei gyziani, di bambini, fra cui il suo più caro amico Roger (Lewin Lloyd), rapiti dai temibili “ingoiatori”, e poi alla scoperta del misterioso fenomeno della Polvere. Nella sua vita entra presto Mrs Coulter (Ruth Wilson, The Affair), una donna molto potente, le cui intenzioni non sono troppo chiare. Alla ragazzina si affianca anche un avventuriero, Lee Scoresby (Lin-Manuel Miranda).

Nonostante una trama e una mitologia molto ben definita e intrigante, la serie è un polpettone lento e pesante. Le prime due puntate intrigano, poi si affloscia, e si riprende un po’ con la sesta puntata. Sebbene non manchino continui eventi, non c’è verve, manca il dinamismo. Scene lunghe per dire nulla, per cercare di creare una suspense che non c’è. E ci sono stati momenti, specie in una sottotrama,  in cui sembrava di essere capitati in una puntata di A Discovery of Witches. Lo stesso destino di Lyra non è mai chiarito. Si capisce che ha un qualche ruolo da svolgere, ma è tutto così inconsistente e vago che non si sa perché dovrebbe importarci.

Non ho letto i libri, ed evidentemente la storia sulla carta stampata aveva un fascino che qui semplicemente sfugge. Sembra una buona idea sprecata da una cattiva costruzione narrativa. Tutti fanno un lavoro più che dignitoso,  ma il look è spento, sa già di vecchio, nonostante effetti speciali buoni e credibili. Dovrebbe essere una fantasia epica con mondi paralleli, streghe e orsi guerrieri. Non dico che condivido la posizione dello Spectator che arriva a scrivere che sembra una produzione scolastica realizzata con un alto budget – il più alto mai speso dalla BBC per una produzione, riportano – ma quando leggo che la giudicano goffa e deludentemente piatta con posso che concordare.

Poco vale che l’autore che ha adattato la saga per lo schermo, Jack Thorne, veda un parallelismo fra il Magisterium e il governo britannico e fra Lyra e Greta Thunberg, quando non si è nemmeno riusciti a trasmettere le basi del sottotesto intellettuale che rendeva ricchi i romanzi. Se c’è un elemento che mi è chiaro dal successo dei libri è che sono intrisi di considerazioni morali e teologiche, che ci si interroga sulla natura dell’anima, sul valore della religione organizzata e dell’autorità, sull’ambiguità della verità anche. Tutto questo nella diegesi televisiva è completamente obliterato. Se si è fortunati, verso la fine se ne può intravedere qualche spiraglio, ma proprio aiutati da tanta, tanta buona volontà.  Chi ha seguito la prima stagione – ce ne sarà anche una confermata seconda - capirà al volo perché mi esprimo così, ma è come se la serie stessa avesse un suo  daimon, e avessero fatto l’esperimento di taglierglielo via.

sabato 11 gennaio 2020

ZOEY'S EXTRAORDINARY PLAYLIST: l'erede di "Crazy ex-girlfriend"


Nella nuova serie della NBC Zoey’s Extraordinary Playlist – ha debuttato negli USA il 7 gennaio – Zoey (Jane Levy, Suburgatory) è una codificatrice, la migliore, a sentire la sua boss, Joan (Lauren Graham, Gilmore Gilrs, Parenthood), per una azienda di San Francisco che si occupa di app e smart device, la SPRQ Point. Il padre Mitch (Peter Gallagher, The OC) soffre di paralisi sopranucleare progressiva, una rara malattia neurologica degenerativa che lo lascia immobile e incapace di parlare o nutrirsi da solo – a prendersene cura sono la madre Maggie (Mary Steenburgen) e il fratello David (Andrew Leeds).

Zoey, visto il padre, per scrupolo decide di andare a fare una risonanza magnetica. Mentre la sta facendo, c’è un terremoto e accade il fattaccio: stava ascoltando una playlist di musica e in qualche modo questo evento le ha fatto sviluppare un superpotere, ovvero quello di percepire pensieri ed emozioni delle persone che le sono vicine, ma sottoforma di canzoni e numeri musicali – o in alternativa sta diventando matta, come confessa intimorita al vicino di casa, Mo (Alex Newell), un DJ gender-ambiguo (l’attore, sulla base del suo profilo su Wikipedia, si identifica come un uomo gay non cisgender, e mi pare di capire che il personaggio rifletta questo – spero che il mio usare il maschile sia appropriato).

Ecco allora che sul lavoro percepisce che l’uomo per cui ha una cotta, Simon (John Clarence Stewart), sta passando un periodo veramente infelice, nonostante l’apparenza contraria, o che il suo collega e miglior amico Max (Skylar Astin, Crazy Ex-Girlfriend) si è innamorato lei, o ancora che quello che le dichiara sostegno in realtà è un rivale interessato solo a posizione e soldi…non una situazione facile da navigare.

La serie raccoglie indubbiamente il testimone da Crazy Ex-Girlfriend, da cui eredita anche l’attore Skylar Astin (che ha interpretato Greg nell’ultima stagione), con un pizzico di The Unbreakable Kimmy Schmidt, soprattutto per il rapporto Zoey-Mo che richiama quello Kimmy-Titus, ed echi di Ally Mcbeal. Il senso ultimo del musical come genere, ovvero quello di portare alla luce sentimenti molto profondi troppo forti perché si possano esprimere solo a parole, viene qui fatto emergere dall’escamotage del superpotere. L’espediente dell’incidente di laboratorio, stile Uomo Ragno, non trasporta però il personaggio nel campo dei supereroi tradizionalmente intesi, ma è inteso al limite come controbilanciamento dell’handicap del padre e come commento alle difficoltà comunicative nelle emozioni e come riflessione sulle ciò che proviamo e maschere che indossiamo, fra lo iato perciò nell’esperienza umana fra essere e mostrare, fra provare e trasmettere.

Il punto debole mi è parso di primo acchito la rappresentazione della patologia paterna, presa un po’ allegramente, mi pare, un po’ troppo pretestuosa con il genitore ridotto ad un bambolotto funzionale alla storia. E il disagio di uno dei colleghi con le donne, pronto a fare commenti sessisti poi smontati dagli altri, non mi è sembrato del tutto a fuoco. Penso ci sia la nobile intenzione di denunciarli, ma che vada rifinito.

Il fatto che le canzoni siano mostrate non interamente, ma in piccoli stralci e che siano genericamente ben note, diversamente da quelle della serie di Rachel Bloom dove erano originali, funziona. In questa creazione di Austin Winsberg potenziale interessante c’è e una certa gradevole leggerezza nell’approccio agli argomenti pure, ci sono dinamismo, vivacità e cuore, senza essere troppo zuccherini, per cui c’è tutto il necessario, o quanto meno a sufficienza, da stare a vedere dove ci conduce. 

lunedì 6 gennaio 2020

GOLDEN GLOBE 2020: i vincitori


Sono stati consegnati ieri sera i Goden Globe, premi della stampa straniera presente ad Hollywood, giunti alla 77esima edizione. Se le nomination mi avevano lasciata un po’ perplessa, mi considero soddisfatta dei vincitori. L’elenco lo trovate sotto:  

Miglior serie TV — Drama: Succession
Miglior serie TV – Comedy: Fleabag
Miglior Limited Series o film TV: Chernobyl

Miglior Performance di un attore in un Drama: Brian Cox, Succession
Miglior Performance di un’attrice in un Drama: Olivia Colman, The Crown

Miglior Performance di un attore in una  Comedy: Ramy Youssef, Ramy
Miglior Performance di un’attrice in una Comedy: Phoebe Waller-Bridge, Fleabag

Miglior  Performance di un attore in una limited series o film: Russell Crowe, The Loudest Voice
Miglior Performance di un’attrice in una  limited seires o film: Michelle Williams, Fosse/Verdon

Miglior Performance di un attore non protagonista in una serie, limites series o film TV: Stellan Skarsgård, Chernobyl
Miglior Performance di un’attrice non protagonista in una serie, limites series o film TV: Patricia Arquette, The Act

I Golden Globe naturalmente premiano anche i film. Per la lista completa dei vincitori si veda qui.