lunedì 26 novembre 2018

A DISCOVERY OF WITCHES: anemico e privo di magia



È anemico e privo di magia A Discovery of Witches, descrizioni non proprio incoraggianti considerato che si tratta di una serie con vampiri e streghe. Già dal pilot sembrava un trippone a tinte rosa alla maniera dei film per la TV basati sui libri di Rosamunde Pilcher o affini, ma alcune recensioni dicevano che la narrazione cominciava a prendere quota al terzo episodio (sarà che c’è il primo bacio fra i protagonisti) e ho tenuto duro e continuato la visione. Talvolta programmi claudicanti all’inizio svelano il proprio potenziale in corso di via, a darci un’opportunità. Non in questo caso.

Basata sulla trilogia All Souls di Deborah Harkness  - la prima stagione corrisponde al primo libro, “Il libro della Vita e della Morte” in italiano - questa produzione britannica vede come protagonisti una potente strega riluttante ad usare i propri poteri, Diana Bishop (Teresa Palmer), professoressa di storia a Yale che studia alchimia ad Oxford, e Matthew Clairmont (Matthew Goode), vampiro ultracentenario e professore di biochimica. Diana, inconsapevolmente, facendo ricerca alla Biblioteca Bodleiana, riesce a riesumare un antico testo magico che tutti vogliono, Ashmore 782, e finisce per attirare l’attenzione di Matthew. I due, travolti dall’attrazione e dalla passione, si innamorano perdutamente, nonostante ci sia uno specifico divieto a che streghe e vampiri, fra cui ci sono contrasti che si perdono nella notte dei tempi, intreccino legami.   

La narrazione e i dialoghi sono scialbi e tediosi, e a dispetto degli studi della protagonista, non c’è alcuna alchimia fra lei e la sua controparte maschile, un vero peccato mortale lì dove quella è in fondo la vera raison d’être che giustifica le intricate vicende di demoni assortiti e le preoccupazioni della potente “congregazione”.  Quando fanno l’amore per la prima volta è tutto molto tiepido e dimenticabile. Ci si rifà un pochino nel settimo episodio, dove la regia di Sara Walker mette un po’ più di passione e verve nel rapporto intimo fra i due. La puntata tutta si eleva un poco dalle precedenti, con Diana che, insieme alle zie, “rivede” i suoi genitori, tragicamente scomparsi, e fa delle scoperte sul suo passato.

In apparenza la serie è patinata, con gloriosi setting scenografici, a partire dall’italianissima Venezia, ma non si può nemmeno dire che la cinematografia riesca ad elevarli al di là di un banale sfondo descrittivo di servizio. La recitazione è dignitosa per non dire proprio buona (penso alle zie in particolare), ma l’unico a spiccare è solo Matthew Goode che non solo è attraente e affascinante, ma mostra un maggiore investimento nel personaggio. Diana in proporzione è spenta. Non credo sia solo una mia  risposta ormonale giudicare più convincente lui di lei.
    
C’è poco da cercare metafore e sottotesto qui - si potrebbe facilmente parlare di “miscegenation”, mescolanza razziale cioè, amicizia, potere – perché è il testo proprio ad essere manchevole. La trama c’è, ma non c’è molto di più che si possa dire. La prima stagione termina con un grosso cliffhanger destinato a risolversi con la seconda stagione, che però personalmente non sarò così masochista da guardare.

Per utilizzare un termine davvero tecnico: una lagna.   

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