giovedì 24 agosto 2017

DOWNWARD DOG: saggezze quotidiane di un cane parlante


Spero trovi presto una nuova cuccia la serie Downward Dog, cancellata dalla ABC dopo una prima stagione di 8 episodi, e in cerca di un nuovo network che continui a mandarla in onda.

Devo fare due premesse: l’idea di una sit-com concentrata su un cane parlante mi avrebbe fatto scappare a gambe levate alla sola idea, prima di provare io stessa che cosa significhi avere un cane;  non riuscivo e non riesco a dimenticare che in Episodes, una serie con un cane parlante è indicata come la quintessenza di TV spazzatura. Poco importa, questa incarnazione dell’idea è adorabile, non iper-esilarante, ma dolce e di cuore.  

Protagonista principale è un cane meticcio, Martin (interpretato da Ned, preso da un canile, con degli occhioni molto espressivi) che è un po’ giù di corda – spesso descrive le sue giornate come le peggiori della sua vita – e riflette con una vena filosofico-umoristica sui fatti della vita, che naturalmente interpreta a modo suo. Quando la sua umana lo porta al lavoro con sé, ad esempio, non è perché ha una impegnativa scadenza di lavoro e finirebbe per lasciarlo troppo da solo, ma perché un serial killer, Pepper, il gatto che lui non sopporta che vive loro vicino, che ha “lame retrattili, nelle mani”, aveva lasciato una minaccia di morte psicotica, un uccellino morto, davanti alla porta di casa.   
   
Siamo a Pittsburgh - in un ambiente che sembra preservare una dimensione umana, cittadina, ma a pochi passi anche bucolica - e Nan (la meravigliosa Allison Tolman, Fargo) ha una relazione a intermittenza con Jason (Lucas Neff) e lavora nel settore creativo-aziendale di una serie di negozi d’abbigliamento in stile Urban Outfitters, la Clark + Bow, dove può contare su Jenn (Kirby Howell Baptiste) come amica, ma è soggetta ai guizzi temperamentali del suo capo, Kevin (Barry Rothbart)  incompetente,  egocentrico e pieno di sé. Lei è veramente brava nel suo lavoro e quando agli inizi di stagione il cane le rovina completamente una presentazione, questo si rivela strumentale per una brillante idea in cui si impegnerà per l’arco della stagione: far sì che la gente si veda bella, così come il suo cane vede sempre lei.

Ideata da Samm Hodges (che in americano dà la voce al cane) e Michael Killen, sulla base di una loro web series, questa produzione brilla perché riesce a mostrare la solitudine, i dubbi e le insicurezze della vita, ma anche le piccole vittorie e saggezze quotidiane, attraverso un peloso che riflette di fronte a una telecamera, con la bocca mossa con gli effetti speciali in modo che sembra che parli davvero, in stile confessional-documentaristico, dicendo cose che vanno al cuore della verità umana, come quando realizza che, con i propri difetti, scegliere di amarsi è un grande atto di coraggio. Si ride di quei momenti introspettivi che venendo da cane hanno dell’assurdo nella giustapposizione fra realtà canina e verità umana, come quando pondera il fatto che la cultura canina coltivi troppo l’anti-intellettualismo.

Se avessi una coda scodinzolerei.

mercoledì 16 agosto 2017

HARLOTS: prostitute nel diciottesimo secolo


È stata un’inaspettata bella sorpresa Harlots (Meretrici), la serie di ITV Encore / Hulu ambientata nel 1763, nell’Inghilterra georgiana che vedeva gli uomini imparruccarsi e imbellettarsi come e più delle donne, e basata sul libro del 2005 The Covent Garden Ladies della storica Hallie Rubenhold, che analizza la guida alle prostitute di Londra conosciuta come “Harris’s List”, pubblicata fra il 1757 e il 1759. La serie esordisce proprio scrivendo in apertura un fatto per noi sorprendente: un quinto delle donne dell’epoca lavoravano come prostitute.

Mi aspettavo qualcosa sulla scia di Maison Close (ne ho parlato qui),  E invece Moira Buffini ed Alison Newman sono riuscite a stupire con un programma vibrante, esplicitamente più ispirato a The Wire, The Sopranos e Braking Bad che ai drammi in costume: hanno preso a modello quei titoli “e altri drama sulla società contemporanea, e sul crimine e i fuorilegge nella società contemporanea. Abbiamo pensato che quello era ciò che le nostre donne sono. Sono fuorilegge”. (Bustle)

Margaret Wells (Samantha Morton) e Lydia Quigley (Lesley Manville) sono a capo di due bordelli rivali. La prima, che gestisce quello più modesto ed è stata in precedenza alle dipendenze della seconda, ha due figlie: la più grande, Charlotte (Jessica Brown Findlay, la Lady Sybil  di Downton Abbey), è diventa l’amante fissa di sir George Howard, follemente invaghito di lei e pronto a soddisfare ogni suo capriccio a patto che lei non si conceda ad altri; la più giovane, Lucy (Eloise Smyth) è ancora vergine quando la conosciamo, e anche quando viene avviata alla carriera non dimostra alcun talento per la professione. Margaret vive con uno dei rari uomini neri nati liberi, William (Danny Sapani). Lydia ha un bordello d’alta classe, che gestisce con il vago aiuto del figlio, Charles (Douggie McMeekin), in realtà spesso più un ostacolo che altro, che perde presto la testa per Emily Lacey (Holli Dempsey), che diserta Margaret andando da lei in cerca di migliori prospettive. Lydia cerca di fare di tutto per mettere i bastoni fra le ruote di Margaret, compreso cercare di aizzarle contro una donna cieca e molto religiosa, Florence Scanwell (Dorothy Atkinson),  che si sgola contro i peccati di queste donne, che ha una figlia,  Amelia (Jordon Stevens), che si prende cura di lei ed è un’anima buona che presto comincia a provare attrazione per una delle cortigiane.

La novità qui non è solo che si trattano i personaggi come scaltre imprenditrici, ma anche che, forse complice il fatto che è una della rare produzioni completamente scritta e girata da persone di sesso femminile, pure sullo schermo le donne non sono manipolate dagli uomini e oggetto del famigerato male gaze (lo sguardo maschile). Il punto di vista è proprio quello delle “puttane”.

Uno dei temi fondanti è quello del denaro e del pericolo che comporta non avere libertà economica. Charlotte amaramente ritiene che la lezione fondamentale che la madre le ha insegnato sia che “Il denaro è il solo potere di una donna a questo mondo” (1.08) Un altro è quello del diritto che ciascuna donna ha al proprio corpo, e questo è affrontato attraverso numerosi personaggi (Charlotte, Lucy, Emily). La serie non si tira indietro da chiamare uno stupro come tale (tanto che viene da chiedersi anche se sia realistico per l’epoca). E una delle storyline migliori è quella di Lucy. Troppo spesso si vede l’ingenua di turno che, brutalizzata dalla situazione che deve vivere, diventa scaltra e più brava delle altre nelle sue acrobazie sotto le lenzuola. Non qui. Lucy vive come un’aggressione il sesso per cui non è pronta e continua a vivere con disagio e difficoltà successivi incontri, e rimane terribilmente imbranata e inadeguata nel lavoro che le viene richiesto. Il rapporto madre/prole, il perbenismo, la connivenza fra potere e criminalità, l’attrazione, il ruolo sociale, l’amicizia, abolizionismo, l’industria del sesso, ambizione, potere…i temi che si intrecciano  sono molti e  le osservazioni rilevanti ora come allora.    

martedì 8 agosto 2017

TCA AWARDS: i vincitori


Sotto, i vincitori dei TCA Awards, i premi della Television Critics Association, associazione di oltre 220 giornalisti critici televisivi professionisti di Stati Uniti e Canada. Per ulteriori informazioni, si legga qui.



Miglior performance in un drama

Carrie Coon, “The Leftovers” & “Fargo,” HBO & FX


Miglior performance in una comedy

Donald Glover, “Atlanta,” FX


Miglior programma di news e informazione

 “O.J.: Made in America,” ESPN


Miglior reality

 “Leah Remini: Scientology and the Aftermath,” A&E


Miglior programma per ragazzi

 “Speechless,” ABC


Miglior nuovo programma

 “This Is Us,” NBC



Miglior film, miniserie o speciale

“Big Little Lies,” HBO


Miglior drama

 “The Handmaid’s Tale,” Hulu


Miglior comedy

“Atlanta,” FX


Programma dell’anno

 “The Handmaid’s Tale,” Hulu


Premio alla carriera

Ken Burns


Heritage award

“Seinfeld”



lunedì 7 agosto 2017

CHIAMATEMI ANNA: spiritualmente luminosa


Anne with and E, Chiamatemi Anna in italiano (Netflix), è il più recente adattamento per il piccolo schermo dell’amato romanzo di letteratura per l’infanzia di Lucy Maud Montgomery Anna dai capelli rossi, anche nota con il titolo originale di Anne of Green Glables  - Green Gables è il nome della fattoria dove va a vivere la protagonista, così chiamata perché  l’elemento architettonico del timpano (“gable” in inglese) è colorato di verde (“green”).

Nella serie siamo alla fine dell’Ottocento, sull’isola di Prince Edwards, in Canada, in un ambiente naturalisticamente stupendo. Marilla (Geraldine James) e Matthew Cuthbert (R.H. Thomson) sono una sorella e un fratello che, ormai in età matura, decidono di adottare un bambino nella prospettiva che li aiuti nei lavori della proprietà, perché il giovane lavorante che hanno assunto, Jerry (Aymeric Jett Montaz), non basta. L’orfanatrofio, invece di mandar loro un maschio, come avevano chiesto, invia Anne Shirley (AmyBeth McNulty, scelta fra oltre 1800 contendenti), che priva di legami significativi, agogna una famiglia tutta sua. La giovane, che nella sua vita ha subito angherie e bullismo perché orfana, ed è abituata a lavorar sodo nelle famiglie dove di solito la impiegavano, ha un fervidissima immaginazione, e la usa per far risplendere la realtà che la circonda di magia gravida di possibilità. È vivace, sveglia, entusiasta, meravigliata dalla bellezza della natura e piena di trasporti emotivi, e ha un linguaggio forbito e una notevole parlantina. Conquista immediatamente Matthew e poi anche la severa Marilla, e decidono di farla diventare parte della loro famiglia, nonostante le perplessità dei vicini, in particolare della più cara amica di Marilla, la signora Rachel Lynde (Korinne Kolso). Anne lega presto con Diana Barry (Dalila Bela), che diventa la sua migliore amica, e frequenta la scuola, dove conosce Gilbert Blythe (Lucas Jade Zumann), il più bravo della classe, con il quale c’è un reciproco rispetto e una nascente mutua attrazione.

Ideata da Moira Walley-Beckett (Flesh and Bone, con la quale si può notare qualche contatto tematico, e Breaking Bad), la vicenda televisiva scava nel passato della protagonista creando una backstory che nelle vicende originali non c’era, a quanto pare (io non ho letto il libro). Sebbene qualcuno lo abbia criticato perché appesantirebbe le sue vicende biografiche, in realtà funziona alla perfezione spiegando molto della psicologia del personaggio, della sua voglia di casa e delle necessità di creare mondi alternativi con la sua fantasia. In generale, in consonanza anche con tanta letteratura dell’infanzia (specie di un tempo, ma in realtà si pensi anche ad Harry Potter), ci sia tiene ben in equilibrio fra quegli elementi tetri delle ingiustizie subite perché inermi e impossibilitati a difendersi e il riscatto che si ha dalla realizzazione di desideri insperati. Qui un classico esempio di questo tipo c’è quando Marilla perde la sua spilla e accusa Anne di averla rubata, la manda via sebbene lei neghi il furto, per poi doverla richiamare indietro e scusarsi, quando la ritrova; oppure quando la madre di Diana le impedisce di frequentare la figlia perché la ritiene una cattiva influenza, e poi deve ricredersi quando Anne salva la vita della sorella minore di Diana che sarebbe diversamente morta, perché il medico non sarebbe arrivato in tempo e solo Anne sapeva come agire prontamente. Sono situazioni da classica fantasia infantile, in cui si ha il riscatto voluto diventando le eroine del momento. Si riesce ad utilizzare questa dinamica con molto garbo.

I personaggi, sia i ragazzi che gli adulti, sono tridimensionali. Se all’inizio la pettegola signora Lynde sembra la guastafeste di turno, ci sia accorge presto che è più di così. E degli stessi Marilla e Matthew si spiegano le vite, gli errori, le scelte (per entrambi un fratello maggiore morto troppo presto e la necessità di dedicarsi alla casa e alla famiglia che aveva bisogno di loro, e per entrambi un amore a cui hanno rinunciato). C’è molta sensibilità nel realizzarlo, quasi un pudore verrebbe da dire, che in parte io associo anche all’epoca ritratta. E gli attori sono spettacolosi. AmyBeth McNulty in particolare incarna a pieno Anne e stupisce perfino che a soli 15 anni dimostri una tale maturità interpretativa.

Non avevo familiarità con versioni precedenti della vicenda, nemmeno con il popolare cartone animato andato in onda quando io ero bimba, ma non si fatica a vedere l’attualità del messaggio che trasmette che pone sulla scena una giovane donna coraggiosa, piena di idee e senza timore di esprimerle. E si riesce a introdurre in modo realistico un femminismo ante litteram, parlando di educazione delle donne  - un gruppo di mamme, ad esempio, invita Marilla a unirsi a loro perché sono convinte che anche per le femmine sia necessaria un’istruzione e come una novità viene proprio pronunciata la parola “femminismo” - e di ruolo sociale da scegliere: non solo mogli, ma con varie opzioni a seconda delle proprie capacità e desideri. Si è anche stati molto scaltri a presentare un personaggio lesbico, l’anziana zia di Diana che ha appena perso la compagna di una vita, senza definirlo tale, in consonanza con l’epoca. Noi al giorno d’oggi capiamo, ed è sufficiente. 
              
Proprio una serie luminosa. Spiritualmente luminosa. 

Sulla poetica sigla, basata su quadri di Brad Kunkle, che rappresentano il passaggio delle stagioni e l’evoluzione di Anne, ed incorporano vari elementi simbolici (il passero senza occhi, i rami di legno con incise frasi dal libro da cui è tratta la serie, la volpe, il gufo, il colibrì…), si legga qui