sabato 25 novembre 2023

THE BEAR: la seconda stagione supera la prima

Dopo una grandiosa prima stagione, The Bear (Disney+) ha superato sé stessa con una seconda decisamente entusiasmante. E il caos e il ritmo frenetico a cui ci aveva abituati hanno fatto posto a un arco più riflessivo, quieto – lo osservano perfino loro nella diegesi! - di approfondimento dei singoli personaggi che hanno momenti introspettivi che ci insegnano a conoscerli meglio. Con il ristorante chiuso per rinnovo locali, la tensione è stata assicurata in ogni caso settimana dopo settimana, marcata dal conto alla rovescia all’apertura del nuovo locale. Lo zio Cicero (Oliver Platt) presta loro il denaro, ma ce la faranno ad aprire in tempo? Devono abbattere muri, compilare numerose scartoffie burocratiche, combattere l’onnipresente muffa, superare la prova anti-incendio, scegliere nuovi arredi, studiare un nuovo menù…Con la season finale si è tornati al ritmo incalzante, con un montaggio serrato giocato sul leit motiv della stagione: “ogni secondo conta”: un tour de force ansiogeno, ma appagante. 

Il focus è ancora una volta su Carmen "Carmy" Berzatto (Jeremy Allen White) che apre il nuovo ristorante che chiama proprio “The Bear”, nomignolo di famiglia, e comincia in questa stagione una relazione (2.05) con una vecchia compagna delle scuole superiori, Claire (Molly Gordon); sulla giovane talentuosa chef Sydney Adamu (Ayo Edebiri), desiderosa di rendere orgoglioso il padre (Robert Townsend) che ha difficoltà ad accettare la carriera scelta dalla figlia; e su Richard "Richie" Jerimovich (Ebon Moss-Bachrach), manager del locale che con la puntata “Forks” (2.07) riesce a cogliere quello che il cugino vuole creare e cambia la sua prospettiva in modo da massimizzare l’esperienza del cliente. Viene mandato in un ristorante di prestigio, l’Ever, dove per prima cosa lo mettono solo ad asciugare forchette (da cui il titolo della puntata). Si sente umiliato e sminuito inizialmente, ma quando coglie il valore di quello che fanno, anche grazie a una conversazione con la Chef Terry (Olivia Colman come guest star) se ne sente rienergizzato. La sceneggiatura ha reso credibile la trasformazione, e la recitazione è stata superba, come è sempre con questi tre interpreti. Ayo Edebiri mi colpisce in modo particolare, ma tutti e tre sono ai massimi livelli, capaci anche di reggere intensi primissimi piani.

Sono supportati ottimamente anche dai comprimari. L’entusiasmo di Tina Marrero (Liza Colón-Zayas), che durante la chiusura della precedente tavola calda viene inviata a raffinare la propria preparazione alla Culinary Arts School, è perfino commovente. In “Honeydew” (2.04) Marcus Brooks (Lionel Boyce) è a Copenaghen per approfondire le proprie capacità di pasticcere, sotto la guida di Luca (Will Poulter). C’è qui la regia di Ramy Youssef (Ramy) e sapendolo si vede l’impronta di un episodio in cui ci si sofferma anche sul senso ultimo di una professione come la loro, e potremmo dire dell’arte in senso ampio, che valorizza non unicamente la tecnica, ma diventa vitale e creativa anche grazie all’esposizione al mondo, alle persone di cui ci si circonda. Natalie "Sugar" (Abby Elliott), la sorella di Carmy, che si scopre incinta (2.04), fa da buon collante fra i personaggi, in una serie che mostra l’essenzialità di un autentico gioco di squadra in cui per riuscire tutti devo aiutarsi l’un l’altro e, anche se si è una stella, si deve imparare a mettere l’ego da parte. Su questo aspetto spicca l’insegnamento di Carmy (2.02) che mostra come fare il segno “scusa – mi dispiace” in lingua dei segni, come modo di far capire che non si vuole lo scontro nonostante l’apparenza aggressiva dettata dalle frenetiche circostanze: lo usano quando non ci si può prendere il tempo di tener conto dei sentimenti altrui, ma li si riconosce, per poi chiarirsi in un secondo momento di maggiore calma.

Una nota di leggerezza la regala il tuttofare Neil Fak, amico di infanzia dei Berzatto, interpretato dal canadese Matty Matheson, uno chef nella vita reale, con apprezzati libri di cucina al suo attivo. A proposito di libri, alla fine della prima stagione Eater ha compilato una lista di tutti quelli apparsi. E su Food & Wine hanno cercato di capire come hanno ideato il menu di apertura del The Bear decodificando gli scaffali dei libri di cucina. Io in apertura della nuova stagione ho subito notato “Culinaria Spain” che io stessa ho nella mia libreria. Ora, pare evidente che urge un cookbook della serie. Nell’ultima puntata della seconda stagione hanno detto talmente tante di quelle volte “focaccia” che non posso non sapere come viene fatta la loro versione.

L’apice della stagione in ogni caso è stato il flashback a circa cinque anni prima, con la cena natalizia, quando c’era ancora tutta la famiglia riunita intorno a un tavolo (“Fishes”, 2.06), apoteosi della disfunzionalità, presenti anche la cugina Michelle (Sarah Paulson) e il fidanzato di lei Stevie (John Mulaney). Lo “zio” Lee (Bob Odenkirk, Better Call Saul), fidanzato a intermittenza della madre, ripete “non sei niente” a Mikey (Jon Bernthal), il fratello di Carmen che sappiamo essersi suicidato anni dopo (alcuni mesi prima delle vicende che danno il via alla serie), e mamma Donna (una incredibile Jamie Lee Curtis) alcolista triggerata da un semplice “come stai?” che la figlia sembra non riuscire a non domandarle, come ogni anno fa un puntiglio del preparare la per loro tradizionale Festa dei Sette Pesci, che finisce in una scenata in cui poi schianta la propria auto nella sala da pranzo. La distruttività dei rapporti messi in scena qui dà spessore e ragione del presente. La tensione drammatica è incredibile. E a far caso ai nomi delle guest star, si vede che la serie ha una reputazione di prestige drama: meritata e sostenuta.

In The Bear si parla di ristorazione, e se ne capisce il senso, ma ancora di più si parla di essersi umani con le proprie ispirazioni, aspirazioni, passioni, demoni e punti deboli: ci sono rigore e professionalità, etica del lavoro, passione per quello che si realizza, arte volendo, ma ci sono le cicatrici, fisiche ed emotive, con cui ciascuno deve fare i conti. È un pasto che lascia sazi.

mercoledì 15 novembre 2023

PLATONIC: deludente

Volevo tanto che Platonic (Apple TV+) mi piacesse: in fondo non sono molte le commedie con un uomo e una donna adulti e allosessuali (persone che provano attrazione sessuali insomma, non asessuali) che hanno un’amicizia sincera e disinteressata, senza che ci sia la componente dell’attrazione fisica. Questo mi faceva desiderare che questa commedia ideata da Francesca Delbanco e Nicholas Stoller riuscisse, ma al di là di qualche occasionale pagliuzza dorata qui e lì, mi sono propria trascinata a finirlo. So che sono una voce fuori dal coro, in questo caso.

Sylvia (Rose Byrne, Damages) è una ex-avvocata che ha deciso di stare a casa a fare la mamma ai tre figli avuti con il marito Charlie (Luke Macfarlane, Brothers and Sisters), pure avvocato. Will (Seth Rogen, Freaks and Geeks) lavora in un birrificio/birreria, il Lucky Penny, e ha da poco divorziato. I due erano migliori amici, ma non si erano più sentiti dopo che lei aveva detto apertamente che non le piaceva la moglie di lui. Ora, recuperano la vecchia amicizia e si confidano l’un l’altra: lei è in crisi perché le manca il lavoro fuori casa, e vorrebbe più stimoli che non sia chiacchierare fuori dalla scuola dei figli con l’amica Katie (Carla Gallo);  lui ha lo spirito di un bambinone insicuro che non vuole crescere, cerca relazioni con donne più giovani che poi non funzionano e ritiene di non venire apprezzato sul posto di lavoro, dall’amico e partner Andy (Tre Hale) e dal maggior investitore nel birrificio, Reggie (Andrew Lopez), che vuole fare i soldi ed è meno interessato ai prodotti di nicchia, e che è pure il fratellastro della sua ex.

Sulla carta funziona, il ritmo della narrazione è adeguato, e i due attori principali, indubbiamente bravi, hanno una buona intesa e sono convincenti, sia nelle litigate, che nell’affetto reciproco senza ambiguità sessuali. Quando nell’ultima puntata (1.10) sono in un locale e lui sta valutando di trasferirsi per una nuova occasione di lavoro e si dicono che in fondo non c’è niente che lo trattenga dov’è, e il sottointeso è che in realtà c’è la loro amicizia, li ho amati: grandiosi nel trasmettere il non detto. E per una volta con una sceneggiatura che non ha avuto necessità di spiegarcelo poi apertis verbis. Qui la serie è stata ottima. Per il resto non l’ho trovata particolarmente illuminante, coinvolgente, pungente o psicologicamente acuta.

Il marito di lei è ragionevolmente un po’ geloso e per me anche un po’ troppo poco, specie in considerazione del fatto che i due per tanto tempo non si erano sentiti e all’improvviso passano tantissimo tempo insieme. Rose Byrne mi ha reso irritante Sylvia: ha sempre avuto un tono di voce così acuto da sembrare sempre falsa? Molte delle situazioni le ho trovate poco credibili, e poco divertenti. È stato poi insultante sentire (1.06) che diceva ai propri figli che tornava a lavorare fuori casa perché voleva dimostrare che anche una donna può contribuire alla società. Perché, si contribuisce alla società solo lavorando fuori casa? Che vergognoso messaggio da far passare. E quando torna al lavoro, se è credibile che dopo tredici anni di assenza sia arrugginita e non più abituata ai ritmi che comporta, lei che comunque era una avvocata, non è plausibile che si comporti come una ragazzetta appena uscita dall’università. Quello che ho visto è stato patetico. Fa una serie di passi falsi. La scusa per licenziarla è che si addormenta, danneggia per errore il dipinto del titolare dello studio, cerca di farlo riparare nottetempo con l’aiuto di Will, l’ho rimette al suo posto con esito disastroso: l’artista ha disegnato un pene al posto del naso, lei finge di non saperne nulla, ma ci sono i filmati che la inchiodano - la sospensione dell’incredulità ha i suoi limiti, in un contesto che comunque aspira ad una qualche realisticità. Ridicolo. E parliamo di avvocati americani: è verosimile che un’avvocata, dopo essere stata licenziata così, dopo nemmeno 24 ore, non pensi almeno di far causa? Capisco che non la faccia, se non altro per non danneggiare la carriera del marito, ma due principi del foro in famiglia e a nessuno dei due non passa nemmeno per la testa l’idea di poter trovare un appiglio per far causa? In un Paese giuridicamente litigioso come gli USA? Non ci credo. Questo genere di storie svaluta tutto.

Poi è troppo evidente che è un film espanso. Poteva funzionare con semplice commedia di due ore, gradevole ma nulla più, ma la si è rimpolpata nei punti giusti per cavarne una serie che da come è terminata si direbbe conclusa. Si può sempre trovare un escamotage per continuare, ma a tutti gli effetti l’intenzione non sembra quella. Se mai ci sarà, io non sarò lì a seguirla.  

domenica 5 novembre 2023

PICARD - terza stagione: operazione nostalgia

Dopo una stimolante prima stagione, di cui avevo parlato qui, e una deludente seconda, di cui non avevo scritto e che mi aveva fatto dubitare di voler continuare, la terza stagione di Picard (Amazon Prime, Paramount+), che ha avuto Terry Matalas come showrunner, è stata un omaggio a Star Trek: The Next Generation. Sta bene che sia l’ultima: ha costruito un plot, quasi per gradini successivi ed incrementali identificabili, facilmente fruibili anche da chi non fosse stato fan della serie TNG (come me, che ne avevo seguito una stagione e sapevo chi era chi, ma non di più), ma indubbiamente ha voluto coccolare coloro che ne sentivano la mancanza. E se i personaggi sono orami vecchi e si notava, si è riusciti comunque a far brillare questi veterani in un’occasione che li ha visti tutti riuniti per un’ultima (presumibilmente) volta. E quando dico che tutti sono venuti a dare sostegno al loro vecchio capitano ora ammiraglio Jean-Luc Picard (Patrick Stewart) intendo proprio tutti (ad esclusione di Wesley, e Tasha ad essere rigorosi): William T. Riker (Jonathan Frakes), Beverly Crusher (Gates McFadden) Worf (Michael Dorn), Geordi La Forge (LeVar Burton), Data (Brent Spiner) e Deanna Troi (Marina Sirti).

SPOILER PER LA TERZA STAGIONE

Si inizia con un episodio dedicato alla memoria della prematuramente scomparsa Annie Wersching, interprete della Regina Borg nelle precedenti stagioni. Siamo del 2401. Manca poco al "Giorno della Frontiera", una celebrazione a cui intende partecipare l’intera Flotta Stellare. Beverly Crusher, ex-ufficiale medico dell’Enterprise che si trova a bordo della nave scientifica SS Eleos XII attaccata da alieni sconosciuti, si rivolge all’ammiraglio Picard con un messaggio criptato subspaziale per aiuto, chiedendo di non coinvolgere la flotta stellare e di non fidarsi di nessuno. Presto lui riesce a raggiungerla e insieme a Numero Uno e con un espediente, chiamiamolo così, riesce a portarla a bordo della USS Titan, guidata dal capitano Shaw (Todd Stashwick), dove lavora anche Sette di Nove (Jeri Ryan). Insieme a lei c’è anche il giovane Jack Crusher, interpretato dall’attore Ed Speleer, che non ci può dire non sia versatile otre che convincente, visti i ruoli moto diversi in cui lo abbiamo visto in precedenza (Downton Abbey, Outlander), che presto si scopre essere figlio biologico dell’ammiraglio. Gli alieni, che si scopriremo essere dei Cambianti, sono guidati da Vadic (l’apprezzata Amanda Plummer), capitana del vascello Shrike, e vogliono proprio lui. Nel corso delle puntate il loro obiettivo ultimo si fa più chiaro e Picard si trova ancora una volta a fare i conti con il suo passato con i Borg, che continuano ad essere una minaccia per tutta la Federazione. Per salvarla di deve riunire la vecchia squadra e tutti si dimostrano leali. A loro, si unisce ad un certo punto anche Raffaela "Raffi" Musiker (Michelle Hurd), che lavora per i servizi segreti e collabora con Worf.

La stagione fa numerosi riferimenti agli eventi legati all’Enterprise D, alcuni dei quali per me non erano chiari, ma non era rilevate per gustarsi le intricate, ma sensate vicende. A mano a mano che si procedeva si ricostituiva e coinvolgeva sempre più l’equipaggio di quella nave, con un ricercato effetto nostalgia, fino all’immagine finale del vecchio gruppo raccolto intorno a un tavolo a giocare a poker. Ormai avventure in cui devono salvare la galassia sono per loro nel passato e nei ricordi. Sono altri a prendere il testimone – in questa terza stagione compare anche Sidney La Forge (Ashlei Sharpe Chestnut), figlia di Geordi - e spetta alle nuove leve eventualmente affrontarle, e queste sono Sette di Nove, ora capitano della nuova USS Enterprise G, Jack Crusher e Raffi Musiker. Saranno loro i protagonisti dell’annunciata futura Star Trek: Legacy, con ogni probabilità. E se state pensando a nepo baby in salsa Trekkie, non andate molto distante, argomento che viene anche affrontato nel corso della diegesi. Quando contano i nomi? Molto, ci dicono.

Devo ammettere due mie verità. In questa incarnazione il franchise non mi ha mai convinto come nella serie originaria e ora in Strange New Worlds, seppur limitati da un punto di vista narrativo nell’adesione più stringente ad episodi autoconclusivi. In Picard ci sono invece archi orizzontali di ampio respiro che coprono l’intera stagione molto ben architettati. È che sono troppo guerreschi e poco scienziati per i miei gusti. E per qualche ragione i personaggi femminili, ad eccezione in questo caso di Sette di Nove, non riescono a piacermi. Raffi ad esempio, che mi piace in sé come personaggio e come attrice, non riesco a vederla in nessun modo come appartenente a questo universo, e da sempre sia Beverly che Deanna mi sono sembrate troppo “molli” e insipide. Forse non le ho seguite a sufficienza, e questo è il motivo per cui dico così, ma mi hanno sempre indisposta.  

Si dà l’addio alla serie senza rimpianti, ma che funziona a dovere come amorevole omaggio a un passato da molti considerato glorioso.