domenica 30 dicembre 2018

IL MEGLIO DEL 2018: la lista delle liste


Liste liste liste… a fine anno tutti compilano la propria. Tutte sono incomplete, specie ora che stare dietro a tutti i programmi è diventato impossibile, e tutte sono parziali. Eppure le ho sempre trovate utili, un faro per orientarsi nel mare magnum delle proposte. Se un titolo comincia a comparire molte volte vuole dire che probabilmente vale davvero la pena, e se un critico che stimo e con cui sono in sintonia segnala una chicca poco nota, magari un’occhiata la do.

Come ha acutamente osservato Tim Goodman dell’Hollywood Reporter in un pezzo che medita sul compito in via di cambiamento del critico televisivo nel mutevole paesaggio visuale contemporaneo, sempre più ricco di opzioni, il ruolo di questa figura è sempre più quello di diventare dei “curatori”, segnalando quello che merita di essere preso in considerazione, e le liste in questo senso hanno un peso sempre più rilevante.

Di solito ne leggo e ne segnalo diverse. Quest’anno invece segnalo solo una lista delle liste, compilata da Metacritic, che raccoglie quelle dei maggiori punti di riferimento del settore (già 104  liste individuali al momento del mio scrivere) e che sulla base di un sistema di attribuzione di punti a seconda della posizione in graduatoria rivela i preferiti assoluti.

La lista viene modificata fino a tutto gennaio, per cui vi invito a seguire il link e verificare voi stessi le posizioni, ma per ora, per il 2018 i migliori sono stati valutati i seguenti:

  1. Atlanta
  2. Killing Eve
  3. The Americans
  4. The Good Place
  5. Barry
  6. Pose
  7. Better Call Saul
  8. Sharp Objects
  9. Succession
  10. The Good Fight
  11.  GLOW
  12.  Homecoming
  13.  BoJack Horseman
  14.  The Haunting of Hill House
  15.  The Marvelous Mrs Maisel
  16. The Assasination of Gianni Versace
  17. Lodge 49
  18. Queer Eye
  19. Big Mouth
  20. One day at a time

sabato 22 dicembre 2018

I MIGLIORI NUOVI PROGRAMMI del 2018, secondo me


Come sempre, scegliere i programmi migliori dell’anno è un’impresa e mi limito solamente, come mia tradizione, a segnalare quelli che ritengo essere i debutti più interessanti. Quest’anno ne segnalo davvero parecchi, e senza un ordine particolare. Naturalmente mi limito alla fiction, alla narrativa cioè (a scanso di equivoci visto che in Italia c’è la tendenza a interpretare il termine come riferito alle produzioni nostrane). C’è una piccola incursione di un programma di tipo diverso, ma per il resto rimango fedele alle serie. Come i migliori romanzi sono “menzogne” che raccontano la verità meglio di quanto non farebbe un programma che formalmente vuole raccontare il vero, e sono forme di “design esperienziale”, “luoghi in invenzione di forme di esperienza”, per  usare le parole di Maria Pia Pozzato (in Mondi Seriali - Percorsi semiotici nella fiction, da lei co-curato insieme a Giorgio Grignaffini - Link Ricerca - RTI, 2008) . Riescono davvero a essere arte.

I migliori nuovi programmi del 2018 per me sono:

Counterpart: tecnicamente ha debuttato nel 2017, ma gran parte della prima stagione è comunque andata in onda nel 2018, quindi la facciamo entrare. Ne ho parlato qui.

Succession: il racconto delle vicende della famiglia Roy, magnati dei media, nei suoi risvolti personali e di lotte intestine per il potere, è cresciuto progressivamente fra feroce dramma e humor tagliente.

L’amica geniale: trasmette alla perfezione le atmosfere del libro di Elena Ferrante. Se lo avete amato, non rimarrete delusi dalla trasposizione su schermo.

The End of the F***ing World: una gemma di cui ho parlato qui. Nonostante il finale è prevista una seconda stagione. Anche questa serie tecnicamente ha debuttato in Inghilterra nel 2017, ma per l’Italia su Netflix è stata resa disponibile solo del 2018, quindi la inserisco volentieri comunque.

Patrick Melrose: qui.

Sharp Objects: qui.

Pose: ne ho scritto qui. Sono stata indecisa se inserirlo nella lista o no, perché ha una narrazione molto di “conforto”, molto anni ’80  - periodo in cui di per sé è ambientata, quindi è come se in un certo senso dicesse che una certa epoca va anche ricordata con l’estetica che le apparteneva - e di buoni sentimenti. Stilisticamente e contenutisticamente è superata, si direbbe. Eppure, mostra il valore di un simile modo di raccontare, parla di un argomento attualissimo e rilevante ovvero dell’essere transessuali e di identità personale. E l’ho apprezzata anche perché conosco nella vita reale persone che afferiscono in senso ampio a quel mondo e ci ritrovo le realtà umane ed emozionali che mi sono state raccontate e in questa prospettiva lo trovo molto vero. Qui davvero si ha quel “design esperienziale” di cui sopra.

Homecoming: del thriller psicologico di Amazon Prime con Julia Roberts e la regia di Sam Esamil (Mr Robot) spero di parlare prossimamente.

Sorry for your loss: qui.

Kidding: qui.


The Haunting of Hill House: una dramma familiare mascherato da “storia di fantasmi”. Quelli autentici sono quelli personali. 

E sebbene non sia una serie, assolutamente imperdibile è pure Nanette, lo spettacolo di stand-up della comica lesbica originaria della Tasmania Hannah Gadsby (su Netflix) che, arrabbiata con gli uomini eterosessuali bianchi (e con motivo, come sentirete, non prendetevela se appartenete alla categoria), parla dell’essere gay, di identità, di bullismo, di omofobia, dell’essere donne, del significato di fare comicità e di raccontare storie, di arte (non vedrò più Van Gogh e Picasso senza pensarla)… Ci sono esilaranti battute e dolorosa rabbia, si ride di gusto e ci si commuove. Un must-see.


Poi, sono stata indecisa, non le inserirei probabilmente fra le migliori dell’anno, ma sicuramente meritano per me una menzione onorevole le seguenti serie, sulle quali spero di avere occasione di scrivere qualcosa in un futuro prossimo, se non l'ho già fatto. So che forse pure mi pentirò di non averle inserite nella lista principale. Sono:

The Kominsky Method
Wanderlust
Vida: qui.
The Assasination of Gianni Versacequi

Purtroppo non sono ancora riuscita a vedere titoli molto apprezzati e inseriti nelle liste dei migliori di molti come Barry (il pilot mi è piaciuto molto), Forever (anche qui il pilot mi è piaciuto molto)Killing EveEscape at Dannemora, Lodge 49, A very English Scandal, Schitt’s Creek… prossimamente magari… e vi saprò dire che ne penso.

Voi? Quali nuovi programmi del 2018 avete preferito?


sabato 15 dicembre 2018

MANIAC: un trial fallito


In Maniac un gruppo di scienziati ha messo a punto e sperimentano su cavie umane volontarie tre pillole (A, B e C) che hanno l’obiettivo di risolvere i problemi mentali che li affliggono: la prima espone il problema, la seconda propone scenari alternativi per affrontarlo, la terza permette di trovare una soluzione e superare il problema. Ingerendole, attraverso l’analisi di un megacomputer “umanizzato”, il GRTA, in cui il progettista ha infuso la personalità della madre psicoterapeuta, e attraverso situazioni di realtà virtuale che i protagonisti vivono nella propria mente,  si “guarisce”.

Alla sperimentazione della Naberdine Pharmaceutical Biotech (NPB) partecipano Annie Landsberg (Emma Stone), che ha una diagnosi di disturbo di personalità borderline e ha perso la sorella in un grave incidente d’auto e non riesce a superare il lutto, e Owen Milgrim (Jonah Hill), a cui è stata diagnosticata una schizofrenia, poco apprezzato dalla ricca famiglia e in particolare dal padre Porter (Gabriel Byrne), che ritiene di avere nella vita una grande missione di salvare il mondo. A seguire i loro progressi sono gli scienziati Azumi Fujita (Sonoya Mizuno), che sente una forte pressione dai superiori a fare un buon lavoro, e James Mantleray (Justin Theroux, The Leftovers), che ha sempre avuto un complesso di inferiorità nei confronti della famosa madre Greta (Sally Field) e che finisce per innamorarsi della macchina che ha costruito.

Remake di un’omonima serie norvegese di Espen PA Lervaag, questa proposta targata Netflix era molto attesa perché a co-scriverla insieme a Patrick Somerville è stato Cary Fukunaga, qui pure regista di tutte le puntate così come per la prima celebrata stagione di True Detective. La reazione generale è stata uno scarso apprezzamento del contenuto, stringi stringi abbastanza vacuo e nemmeno troppo originale, ma un godimento a livello estetico dell’aspetto visivo. Personalmente non ho apprezzato nessuno dei due elementi e l’ho considerato solo una grande perdita di tempo. 
 
Certo, c’è irrisione dei generi parodistici e bizzarria negli scenari virtuali immaginati, c’è empatia nei confronti del dolore psichico provato, c’è motteggio delle soluzioni semplici della pillola risovi-tutto e valorizzazione dei rapporti umani. Il tono si tiene in un buon equilibrio fra canzonatura e dolore e solitudine, in un intento comunque chiaramente comico: questo si vede. Gli attori svolgono un lavoro eccellente e Justin Theroux in particolare, dopo il ruolo iperdrammatico di The Leftovers, dimostra una notevole verve comica. Sia sul piano della forma che nel contenuto però non c’è niente che Legion non abbia già detto e meglio – incluse le scelte scenografiche e più genericamente di look di una ambientazione futuristico-vintage. Certo, quest’ultimo si prende forse troppo sul serio in proporzione, e fa voli pindarici psichedelici in cui è molto più facile perdersi, ma è allo stesso tempo molto più appagante.   

Se il trial clinico della finzione, a dispetto di tutto, ha portato a qualche risultato, non lo stesso mi sento di dire del trial televisivo.

lunedì 10 dicembre 2018

I programmi dell'anno secondo l'AMERICAN FILM INSTITUTE



Ogni anno l’American Film Institute sceglie 10 programmi che ritiene siano stati significativi da un punto di vista artistico o culturale.

Per il 2018, i premiati dall’AFI Awards sono stati:

THE AMERICANS
THE ASSASSINATION OF GIANNI VERSACE: AMERICAN CRIME STORY
ATLANTA
BARRY
BETTER CALL SAUL
THE KOMINSKY METHOD
THE MARVELOUS MRS. MAISEL
POSE
SUCCESSION
THIS IS US

Per i premiati nel cinema, e per il premio speciale, si veda a questo link.

giovedì 6 dicembre 2018

KIDDING: dolente e dolce



Kidding (dell’americana Showtime), che in italiano (su Sky Atlantic) ha preso il sottotitolo de “Il fantastico mondo di Mr Pickles”, mostra un Jim Carrey, che interpreta il protagonista principale, in quello che è il suo aspetto drammatico migliore: vulnerabile, amabile, addolorato, ingenuo.  

Jeff Piccirillo (Jim Carrey) è il presentatore di un programma televisivo per bambini in cui interagisce con pupazzi animati, il “Mr Pickles’ Puppet Time”, di grande successo: è adorato dal pubblico ed è un impero multimilionario. Lui, come il suo alter-ego televisivo, Mr Pickles – pickle significa “cetriolino sottaceto” in inglese – è un grande propugnatore di buoni sentimenti, fare la cosa giusta, comportarsi bene, con generosità e gentilezza. Jeff è nella vita reale quello che vende nella finzione dello schermo. Ora però è in crisi: aveva due figli, Will e Phil (Cole Allen), gemelli, e uno dei due è morto in un incidente d’auto un anno prima e lui è ancora in lutto, inoltre è ancora innamorato della sua ex-moglie, Jil (Judy Greer), un’infermiera che si sta rifacendo una vita con un altro uomo. Sebastian Piccirillo (Frank Langella), suo padre, ma anche produttore esecutivo dello show, è preoccupato tanto per lui personalmente, quanto per la sorte del programma se Jeff continua a comportarsi in modo strano, per quella che è un’impresa di famiglia, visto che la sorella di Jeff, Deidre (Catherine Keener), pure ci lavora, realizzando i vari pupazzi. Lei stessa sul fronte di casa non ha una vita facile: la figlia Maddy (Juliet Morris) vede il padre in una situazione sessuale compromettente con un’altra persona e comincia ad averne conseguenze nel comportamento.  

Il cuore di questa serie ideata da Dave Holstein consiste nella distruzione di un uomo buono: cerca di essere sempre al suo meglio, ma la vita gli riserva cocenti batoste. Nonostante le ammaccature, prova a rispondere ugualmente agli eventi con gentilezza – paga perfino le spese dell’uomo che ha ucciso suo figlio -, ma la verità è che dentro di lui si formano pensieri e sentimenti negativi e distruttivi, causati dall’infelicità e dalla rabbia. Non siamo in una storia di supereroi in cui assistiamo alla genesi di un supervillain, ma di fronte a un uomo comune, reale. E un uomo a cui il mondo guarda come a un faro per come bisogna comportarsi per essere brave persone e per essere felici, cose che si crede debbano coincidere, compito che sente come una responsabilità.

Un concetto ricorrente nelle puntate, espresso attraverso il programma per bambini -  in cui Jeff vorrebbe poter parlare di morte, ma dove glielo impediscono per timore di alienare il pubblico dei più piccini -, è che “ogni dolore ha bisogno di un nome”. È importante saper descrivere i propri sentimenti per saperli elaborare e gestire. È legittimo avere un lato oscuro e ammettere di averlo, è umano. Fingere di non avere sentimenti negativi è una finzione distruttiva, e verso l’autodistruzione va infatti, tristemente, il protagonista. Nella season finale ha un tracollo da cui sarà difficile farlo uscire.

Che cosa ci renda umani è un’altra idea reiterata. Jeff viene anche deriso o ignorato o attaccato per il suo essere educato. In più modi gli viene detto che non viene visto realmente come un uomo e lui insiste sul fatto che lo è, solo che è un tipo diverso di uomo. Anche se non è solo in un’unica modalità che viene affrontato questo argomento, un modo importante in cui viene fatto è attraverso il sesso. Di fronte a chi lo vede come un essere asessuato o comunque asessuale, lui ribadisce che invece è un uomo con dei desideri carnali, e non è questo a renderlo meno una brava persona. La serie, che riprende questo tema anche con il figlio del Mr Pickle giapponese (a coloro che lavorano al programma nel Sol Levante viene richiesto il voto di castità), mostra scene di sesso piuttosto esplicite e niente affatto puritane. Essere maschi veri non significa essere cafoni: un bel concetto da far passare.

Ci si sofferma tanto sul dolore: anche attraverso la figura di una donna malata di cancro con cui Jeff intesse una relazione, o con quella di un fan nel braccio della morte (1.08) che richiede la sua presenza al momento della sua esecuzione (in una toccante, commovente puntata contro la pena di morte come raramente se ne vedono).

Alla fine dei conti il programma, dolente e dolce, crede del kintsugi, un concetto che nella diegesi (1.07) entra in modo esplicito dando una evidente chiave di lettura  alla serie intera. Alle 10 puntate della prima stagione ne farà seguito una confermata seconda.