mercoledì 8 agosto 2018

AMERICAN CRIME STORY: L'assassinio di Gianni Versace


La seconda stagione di American Crime Story, dedicata a The assassination of Gianni Versace, l’assassinio di Gianni Versace (Édgar Ramírez), della rete FX, si poggia su quattro elementi fondamentali: l’esaminazione degli elementi che fanno di un giovane ragazzo un criminale, l’omofobia, il senso estetico e la mobilità temporale.

La storia è nota: un giovane ragazzo di origine filippina, Andrew Cunanan (Darren Criss, Glee), si presenta in Florida davanti alla casa del noto stilista italiano Gianni Versace, da cui era ossessionato, e gli spara uccidendolo. Non era il primo assassinato di questo killer che in chiusura, prima che lo prendano, decide di togliersi la vita. Fra le sue vittime si incontrano altre sfortunate persone che hanno incrociato la sua strada, o come amici o come amanti più o meno occasionali. La serie indaga la vita e le motivazioni di Andrew, e ci fa scendere nella sua follia, non scusandolo per questo, ma elicitando una cum-patio che lo rende comunque umano.

Il padre, Modesto “Pete” (Jon Jon Briones), un imbroglione tormentato dall’idea fissa del successo, lo trattava con smaccato favore rispetto ai fratelli (quando comprano casa nuova al figlioletto spetta la camera matrimoniale), alla stregua un principino a cui tutto è concesso, ma abusava sessualmente di lui. Gli viene inculcato fin da piccolo che lui è speciale, e si merita tutto ciò che desidera. Crescendo però il ragazzo riesce a crearsi delle opportunità solo mentendo e assumendo ogni volta un’identità inventata diversa. Sa come deve apparire per essere al centro dell’attenzione, ma non riesce mai a essere se stesso. E non riesce a farsi amare. Come non percepire la sua tragica tristezza quando si stende vicino al cadavere di un giovane architetto che diceva di amare, David Madson (Cody Fern), ma che lo respingeva, e lo abbraccia dopo avergli sparato alle spalle? Criss è eccellente nella parte, a momenti narciso potente ed esaltato dalle stesse illusioni che crea, a momenti ragazzino deluso e fragile di fronte all’aridità della propria realtà.  

Intrecciato a tutta la narrazione c’è il grande tema dell’omofobia, pervasiva nelle vite di tutti i personaggi, che sia il giovane Gianni Versace che i compagni di scuola prendono in giro e le insegnanti qualificano come “pervertito” perché disegna abiti femminili e che deve imparare il mestiere dalla madre di nascosto; che sia il giovane militare Jeff Trail (Finn Wittrock), che in caserma vive sotto l’opprimente regola del “don’t ask, don’t tell” (2.05); che sia l’uomo d’affari che di nascosto dalla moglie cerca piacere con altri uomini; che sia il compagno di una vita di Versace, Antonio D’Amico (Ricky Martin), il cui dolore al momento del funerale non viene nemmeno riconosciuto, come se non esistente, e a cui il prete ritrae la mano sdegnato, non permettendogli di baciargliela, come ha consentito a tutto il resto della famiglia – a lui non spetta nulla; che sia infine Andrew stesso.  Non sono passati così tanti anni, ma era un mondo diverso, fatto di omertà e vergogna, spesso interiorizzata.

Della cultura omosessuale e non solo, Versace era un’icona, con una visione e un’estetica dirompente e precisa, fatta di sensazioni e percezioni, ma anche di amore e passione, e legame per la famiglia e la sorella Donatella (Penélope Cruz) in particolare. È stato un uomo con un talento vivo che ha portato in vita un sogno, da vero artista, e una persona che pur provenendo da un ambiente povero, ha saputo creare un impero. La serie, stilisticamente e cromaticamente, soprattutto in alcuni passaggi, abbraccia questa estetica.

La narrazione non segue un percorso cronologico. Si parte da quel luglio 1997 per rimbalzare indietro nel tempo, dedicando una puntata all’omicidio di Lee Miglin (2.03), nel maggio precedente,  e all’ex-ufficiale di marina Jeff Trail (2.04)  ancora prima e poi aventi e poi ancora indietro in percorso da pallina di flipper che non è mai stato lineare. Non crea confusione, ma necessariamente richiede una visione attenta e d’insieme.

La serie, basata sul libro di Maureen Orth intitolato “Vulgar Favors: Andrew Cunanan, Gianni Versace, e the Largest Failed Manhunt in US History”, è stata criticata dalla famiglia Versace che ne ha preso le distanze dichiarandola non autorizzata e da considerarsi un’opera di fantasia. Di rimando Ryan Murphy, produttore esecutivo e regista del pilot, pur ammettendo che ovviamente non si tratta di una serie documentaristica, respinge l’idea di considerarla pura finzione narrativa perché basata appunto su fonti saggistiche.

La serie, scritta da Tom Rob Smith, riesce a mescolare e far conflagrare in una visione appagante grandeur e glamour con squallore e disperazione.

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