sabato 20 aprile 2013

TREME: la terza stagione

 
È sempre la musica la grande star di Treme, che nella sua terza stagione è ambientata fra l’autunno del 2007 e la primavera del 2008: le follie musicali di Davis (Steve Zahn), la nascita della carriera di Annie (Lucia Micarelli), le ambizioni del trombettista Jazz Delmond (Rob Brown), i numerosi intermezzi solo musicali…
È diventata una serie più sociale però. Conservando il ritmo lento e apparentemente casuale che la contraddistingue e un tono sempre misurato, ha denunciato la corruzione e il malfunzionamento di molte istituzioni, mostrando quanto è difficile cambiarle anche con molte buone intenzioni: c’è la storia degli abusi da parte della polizia, con Toni Bernette (Melissa Leo) che mette a disposizione la sua competenza di avvocato e addirittura pubblica un annuncio su un giornale per cercare gente disposta a contattarla per raccontare quello che ha visto, e che per questo si vede la figlia ricevere qualche attenzione professionale un po’ troppo sollecita da parte degli uomini in divisa – anche grazie alle indagini di un nuovo giovane giornalista, L.P. Everett (Chris Coy), con la quale ha stretto amicizia, alla fine riescono a provare la responsabilità delle forze dell’ordine nella morte di un uomo; il poliziotto Terry Colson (David Morse) denuncia la corruzione dei colleghi e ne paga le conseguenze; ci sono le vicende delle speculazioni edilizie fatte a seguito della distruzione portata da Katrina: case rimesse a nuovo con il solo scopo di demolirle, o comunque buttate giù anche lì dove non è necessario, nella storia che ha visto coinvolto il costruttore Nelson Hildago (Jon Seda); Antoine comincia a prendere gusto del suo ruolo di insegnate di musica alle medie e cerca di far appassionare gli studenti, rendendosi conto che alcuni di loro non sanno nemmeno leggere, e al sistema non importa; LaDonna (Khandi Alexander) viene sottilmente minacciata e si vede andar a fuoco il locale per aver denunciato il suo stupratore che poi, nonostante lei abbia resistito alle intimidazioni perché ritirasse la denuncia, viene assolto…
Ci sono state intense storie personali, come quella di Albert che deve fare la chemio per il cancro, o Sonny che abbandona parzialmente la musica e comincia a lavorare come pescatore di aragoste, per allontanarsi dall’ambiente che lo portava all’alcolismo, e inizia un corteggiamento e storia d’amore con una ragazza vietnamita il cui padre è molto all’antica. 
Non c’è mai nemmeno un pizzico di melodrammaticità in Treme, e in momenti intimi, come quelli fra Toni e Terry, o fra La Donna e Albert che stringono una lieve, ma toccante amicizia, sono delicatissimi, fatti di una bottiglia di birra sorseggiata al buio sul prato antistante una roulotte e chiacchiere sulla giornata, o di una presenza silenziosa seduta accanto alla propria sedia, nel momento in cui goccia a goccia il medicinale entra in circolo nel corpo per guarire ma, nel mentre, devastare. Momenti comuni, semplici, veri, di una carica e di un calore ineffabili, ma intensi.
E la storia dello chef Janette Desautel, che torna a New Orleans da New York con l’apertura di un ristorante che porta il suo nome, ma finanziato da un investitore danaroso, scava su un altro dei temi della serie (toccato molto anche con Davies): il rapporto fra denaro e attività creativa, fra l’esigenza di mantenere una certa integrità professionale e le pressioni e i desideri di un ritorno economico commerciale.  Un tema importante della serie è anche quello di cercare di fare qualcosa di originale (che sia nella musica, nella cucina, nel confezionamento dei costumi per Mardi Gras), legato alla tradizione e desideroso di rendevi onore, ma intenzionato anche a rinnovarla e ad arricchirla. In fondo, è quello che fa la serie stessa.
Davvero, come ben sottolinea un articolo di Vulture che val la pena leggere, questa creazione di David Simon e  Eric Overmyer è come una coperta a patchwork di vita urbana moderna “che non teme l’interludio lirico, la pausa pregnante e l’emozione irrisolta” e che crede che la consapevolezza più profonda non si raggiunga al momento dei grandi accadimenti, ma i cambiamenti spesso accadono nei momenti minimi, e nella mente delle persone.  Peccato davvero che la serie sia stata riconfermata solo per una quarta e ultima stagione di soli 5 episodi.

mercoledì 17 aprile 2013

Il trailer della rinnovata ONE LIFE TO LIVE

 
Sotto, il trailer della rinnovata ONE LIFE TO LIVE che parte, come AMC, il 29 aprile su Hulu e iTunes. Anche in questo coso, come scrivevamo per l’altra soap, è prevista una puntata settimanale riassuntiva con scene da dietro le quinte.

Il trailer del rinnovato ALL MY CHILDREN


Sotto, il trailer del rinnovato ALL MY CHILDREN, che parte il 29 aprile su Hulu e iTunes. In base a quanto scrive l'Hollywood Reporter è in previsione anche una puntata settimanale di riassunto, con anche scene da dietro le quinte.


lunedì 15 aprile 2013

Atei come "disbili del cuore" al TG1: si protesta

 
Segnalo questo articolo che parla della giusta protesta fatta all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) per un servizio andato in onda al TG1 che ha inserito l’opinione di un intervistato, a cui il giornalista annuisce, che definisce gli atei come “disabili del cuore”.
Non chiediamo, a mo’ di riparazione, che la Rai veicoli uno stereotipo negativo che purtroppo circola anche nel mondo ateo, e che mandi quindi in onda, senza contraddittorio, un disabile che definisce i credenti “disabili della mente”. Abbiamo invece chiesto al Tg1, all’Unar e alla commissione vigilanza Rai che la testata prenda pubblicamente ed esplicitamente le distanze dal servizio di Marco Clementi, e che episodi del genere non si ripetano più in futuro”.

venerdì 12 aprile 2013

THE GOOD WIFE: la terza stagione

 
“They did a bad bad thing” suona sotto l’incipit della terza stagione di The Good Wife, con Alicia (Julianna Margulies) felice della sua relazione con Will (Josh Cherles), che tengono segreta a tutti e che si interrompe al giro di boa di metà stagione per vedere Alicia nella season finale guardare la vecchia casa abitata dall’ex-marito (Chris Noth) e dai figli che lì ha cresciuto. La sua vita viene vista in un cerchio completo, potremmo dire, ed è scritta da maestri, con tanta tensione erotica ed emozionale, ma tirata perfetta, senza sbavature, o melodrammaticità. Impeccabile davvero.
La terza è stata ancora una volta una stagione molto forte, con forse il solo anello debole della vicenda del marito di Kalinda. Nessun altro programma riesce a rendere altrettanto bene i complessi meccanismi con cui interagiscono legge, lavoro e politica, e le manipolazioni a cui si prestano, mantenendo ambivalenze, ambiguità, spessore. La storia di Will che viene sospeso dalla professione ne è un esempio perfetto. Anche l’apparenza di quello che accade in contrasto alla sostanza è un tema molto forte, che fa riflettere sulla realtà. La partecipazione come guest-star di Matthew Perry nel ruolo  di Mike Kresteva depone a favore di questo.  E anche quando la serie propone personaggi un po’ sopra le righe, come può essere con gli avvocati Patti Nyholm (Martha Plimpton), Louis Canning (Michael J. Fox) o Elsbeth Tascioni (Carrie Preston), non perde mai il controllo delle redini. 
 In questo arco le cause si sono globalizzate, potremmo dire, concentrandosi su questioni in cui coinvolti erano Paesi esteri: China  (3.06), Afghanistan (3.07), Siria (3.15)… E ancora una  volta tanto peso ha la tecnologia. Così come un tema caro alla serie rimane quello dell’educazione dei figli e in particolare l’argomento della religiosità, di  come i genitori siano spesso a disagio o impreparati o qualche volta semplicemente troppo impegnati per  affrontare l’argomento in modo convincente.
Sono rimasta poi quasi sbalordita di come la serie riesca a trattare la questione del femminismo. È il sottotesto di tutte le vicende, quindi è una nota di fondo che c’è sempre, ma letteralmente con due battute è riuscita in questa stagione a fare la sintesi di tanto dibattito femminista. Caitlin D’arcy (Anna Camp), giovane associata nipote di David Lee assunta in studio e di cui Alicia è mentore, rimane incinta e decide di lasciare la professione per fare la mamma a tempo pieno (3.17). Diane (Christine Baranski) chiede ad Alicia di dire alla ragazza che non è necessario fare una scelta di questo tipo, ma Caitlin la rassicura dicendo che è effettivamente ciò che vuole, e non le serve avere tutto per sentirsi realizzata. Quando Alicia lo riporta a Diane le si domanda se è per questo che hanno rotto il soffitto di cristallo, e Alicia le risponde che forse sì, forse è proprio per quello. In poche scene e poi letteralmente in due frasi è incapsulato il dibattito sulla vecchia e nuova generazione di femministe.
Sotto numerosi aspetti The Good Wife è televisione al suo meglio. Potrà sfuggire nella visione di un singolo episodio, che facilmente si sottovaluta magari, ma è una serie che costruisce la sua complessità sulla narrazione lunga. Da non perdere.

domenica 7 aprile 2013

venerdì 5 aprile 2013

VIKINGS: un "Game of Thrones" wannabe


Non mi capacito che Vikings abbia ricevuto addirittura 70 su Metacritic. La mia reazione dopo il pilot è stata: ha fallito il Bechdel test. Le donne sono solo buchi in questo show (perdonate la volgarità). So che cosa non guarderò… Ma, andiamo per ordine.
L’idea di base è intrigante: costruire una serie TV storica ispirandosi alle leggende nordiche dei Vichinghi del primo medioevo e alla mitologia norrena, fondata su una ricca tradizione orale messa poi per iscritto poi nel XIII secolo. Filmata in Irlanda per il canale canadese History, è stata ideata da Michael Hirst (I Borgia, I Tudor), che ha un gusto da giornale tabloid per la storia, un po’ di verità e un po’ di storie romanzate e vagamente scandalose insomma.
Il protagonista è una figura leggendaria in quella cultura,  l’agricoltore e condottiero Ragnar Lodbrok (Travis Fimmel), sposato con Lagertha (Katheryn Winnick),  una ex-shieldmaiden cioè, secondo la mitologia Scandinava, una donna guerriera, dalla quale ha avuto due figli, il più piccolo dei quali Bjorn (Nathan O’Toole) lo segue nelle sue imprese, mentre la sorella più grande rimane con la madre. Ragnar, contro il volere del loro capo, Earl Haraldson (Gabriel Byrne, In Treatment), intende navigare non solo a est, come sono abituati, ma anche in terre sconosciute a sud e ovest – in questo The American Spectator ha criticato la serie come storicamente inaccurata, poiché alle popolazioni dell’epoca le Isole Inglesi erano ben note e il governo vichingo era all’opposto di come lo si mostra qui: contavano libertà e democrazia, mentre autocrazia e centralizzazione erano concetti nuovi, anche se ci sarebbero altre inaccuratezze. In questo suo progetto Ragnar viene sostenuto dall’amico un po’ svitato, ma abile nel costruire imbarcazioni, Floki (Gustaf Skarsgǻrd) e dal fratello Rollo (Clive Standen), personaggio basato sul Rollo storico, che sarebbe diventato duca di Normandia, che nella finzione della storia concupisce la cognata.  Del cast fanno anche parte Siggy (Jessalyn Gilsig, Glee), la moglie del capo vichingo, e il monaco Athelstan (George Blagden), catturato da Ragnar.
La recitazione è senz’altro buona, i dettagli culturali intrigano, e forse sarà una storia di cui apprezzare i conflitti di potere che si notano sull’arco. Il senso di scoperta c’è. Non ho notato tanto il “ritmo glaciale”, la “regia fiacca” e la verbosità che vengono rimproverati da David Wiegand sul San Francisco Chronicle, ma forse perché la pessima (sotto)rappresentazione delle donne ha catalizzato tutta la mia attenzione. Intanto nel pilot saranno loro concessi solo 5 dei circa 45, e che cosa succede in questo tempo? Lagherta viene minacciata da due uomini che vogliono violentarla, in un paio di occasioni viene mostrata a letto con il marito, la seconda volta delle quali gli dice che vuole cavalcarlo, e poi viene “molestata” dal cognato. Per quanto con il marito le scene siano di piacere reciproco, il solo momento in cui fa qualcosa che non sia essere un oggetto in qualcuno infili o voglia infilare dentro il suo coso è quando dice ai bambini di andare a dormire e lasciare gli uomini parlare. E l’altra figura femminile, Siggy, non ha proferito una sola parola in tutto il tempo. Durante una cerimonia di giuramento di lealtà al loro capo di un paio di ragazzini, durante il quale ricevono dei bracciali (“anelli per le braccia” li chiamano in originale), lei li bacia per segnare il loro passaggio fra gli adulti, e la notte, quando il marito si sveglia di soprassalto per un incubo gli mette una mano sul braccio per rassicurarlo. Direi che la mia opinione, così come l’ho espressa all’inizio, è abbastanza motivata.
Vickings insomma da quel che ho potuto vedere è solo un Game of Thrones wannabe, e non ci arriva vicino nemmeno per sbaglio.