mercoledì 28 giugno 2023

BLACK MIRROR: la sesta stagione diventa "Red Mirror"

Le ipotesi distopiche di Black Mirror, che hanno di regola come punto focale la tecnologia e i media, sono riprese dopo quattro anni di assenza con una sesta stagione che comincia con un debutto molto solido, ma poi vira indubbiamente verso un Red Mirror. Ovvero, se tradizionalmente la serie fa riferimento al display nero di quando spegniamo gli schermi (siano della TV, del PC, del tablet, del cellulare o quant’altro) in cui vediamo riflessi come in uno specchio noi stessi, nella gran parte degli episodi di questa tranche, si vira invece decisamente verso l’horror, un orrore che non fa veramente paura, ma che è decisamente truculento, rosso sangue, appunto un Red Mirror. ATTENZIONE SPOILER

La prima delle nuove puntate, “Joan is awful – Joan è terribile” (6.01), si concentra su una giovane donna, la Joan del titolo (Annie Murphy, Schitt’s Creek) che si rende conto che, a stretto giro, la sua vita viene mandata in onda dal servizio Streamberry – Netflix che si prende con autoironia - ricostruita da un quamcomputer (un computer quantistico), solo in modo tale da accentuare il più possibile i suoi tratti in modo da farla sembrare davvero una persona orribile. Ad interpretarla nella finzione è Salma Hayek. Alla nausea e allo shock momentanei prende posto il senso si rivalsa e giustizia. Oltre alla riflessione sull’”orrore mesmerizzante” che attira il pubblico, e che almeno da tre delle puntate sembra un leit motiv della stagione, si riflette su ciò che è reale e ciò che non lo è, e sullo sfruttamento dell’immagine delle persone: Joan è una persona qualunque, ma qualcuno a cui la gente può relazionarsi. C’è più di un colpo di scena inaspettato, anche in considerazione del fatto che queste anime simulate dal computer si considerano reali, e la tensione è sempre al massimo. Non voglio rivelare di più se non dicendo che diventa un concettuale mise-en-abyme. La migliore delle puntate di questo gruppo.

La seconda delle proposte, “Loch Henry” (6.02), vede una giovane coppia, Davis (Samuel Blenkin) e Pia (Myhala Herrold, Industry) recarsi in Scozia per girare un documentario. Volevano farlo su un guardiano di uova rare, ma finiscono per farlo su un locale serial killer torturatore, Iain Adair. Ne esce una sorta di horror anche piuttosto prevedibile, ma la riflessione è su quello che attiva lo spettatore, su quello che la gente guarda (non un protettore di uova, ma un torturatore) e su come l’industria premi questo genere di operazioni, spacciandole per arte, e curandole come tale, ma con totale disinteresse nei confronti della realtà umana che ci sta sotto. E nel corso di una fittizia diegetica premiazione ai BAFTA (premio TV britannico) si fa anche una strizzatina d’occhio a puntate precedenti della serie, menzionando fra i documentari un certo “The Callow Years”, dove Callow era il sindaco protagonista della primissima puntata di Black Mirror, e un certo “Junipero Dreaming” riferimento all’amato episodio di San Junipero (3.04). Per gli Easter egg della stagione, si veda questo articolo di Entertainment Weekly.

Una fine horror, che lascia francamente sconcertati, è anche quella di “Beyond the Sea” (6.03), dove due astronauti Cliff (Aaron Paul, Breaking Bad) e David (Josh Hartnett), bloccati nello spazio per anni, riescono a tornare sulla terra con le proprie famiglie grazie a repliche meccaniche dei loro corpi. Quando degli estremisti contrari a questa tecnologia uccidono la famiglia di David e gli distruggono il corpo meccanico, il compagno Cliff gli offre generosamente di usare il link al proprio corpo meccanico per avere un po’ di tregua dal lavoro. Così conosce la moglie di lui, Lana (Kate Mara). Prevedibilmente la situazione prende una brutta piega, ma con una conclusione diversa da quella che ci sia sarebbe aspettati, o che almeno io mi sarei aspettata.

Ancora la nostra ossessione per le celebrità e i dettagli più scabrosi e torbidi delle loro vite è davanti all’obiettivo in “Mazey Day”, dove l’attrice che porta il nome che dà il titolo all’episodio (Clara Rugaard), dopo un omicidio stradale non confessato, sparisce dalla scena pubblica e un gruppo di amorali paparazzi fanno di tutto per scattare la foto scoop. E se le ultime inquadrature sono l’essenza delle serie e di quell’orrore mesmerizzante che si menziona in apertura, con la fotografa Bo (Zazie Beetz) che scatta qualcosa che sta alla nostra immaginazione vedere quel che ben intuisce, il twist qui c’è nello svolgimento all’insegna dell’horror sovrannaturale, con la diva che si dimostra essere una licantropa, scelta che non sono sicura di gradire in questo contesto.

L’apice di questa tendenza lo abbiamo nella conclusiva “Demon 79”, dove un simpatico demone (Paapa Essiedu), che deve completare la sua iniziazione e “mettere le ali”, e che si manifesta attraverso una tessera del domino, convince una commessa indiana, Nida (Aniana Vasan), che nella vita quotidiana subisce costanti micro-aggressioni, a uccidere 3 persone per scongiurare la fine del mondo, che, colpo di scena, visto che lei non porta a termine il suo compito, arriva davvero. L’episodio, l’unico che non sia stato scritto solo dall’autore Charlie Brooker, ma anche da Bisha K. Ali, che affronta tematiche di razzismo, xenofobia e atteggiamenti fascisti ostili alle minoranze, è pieno di rabbia e tende decisamente allo splatter. Ambientata nel 1979, ha proprio negli opening credits l’indicazione che si tratta di un episodio Red Mirror.


Ispirata a The Twilight Zone - Ai Confini della Realtà, Black Mirror ha sempre indagato il lato oscuro della tecnologia, abitando il confine “fra piacere e disagio” come ha detto a suo tempo l’ideatore a The Guardian (qui). Sebbene continui ad offrire in ogni caso spunti di riflessione attuali e pregnanti anche con questa tangente “rossa”, un approccio più “tradizionale” lo preferisco

domenica 18 giugno 2023

THE POWER: ragazze elettriche

Premetto che ho letto, e mi è piaciuto molto, il libro The Power – Ragazze Elettriche di Naomi Alderman, da cui è tratta l’omonima serie TV di Amazon Prime, in cui all’improvviso tutte le ragazze adolescenti del mondo sviluppano un nuovo organo chiamato skein in originale, e anche EOD (Electric Organ Discharge), alle clavicole che permette loro, un po’ come le anguille, di rilasciare scariche elettriche a piacimento attraverso la punta delle dita. Acquisiscono perciò un grande potere che possono trasferire anche ad altre donne già più mature. Ricordo poco della lettura, che aveva riscosso notevole successo negli Stati Uniti e poco in Italia ma, rilevante ai fini della serie sviluppata dalla stessa Alderman insieme a Raelle Tucker, Sarah Quintrell e Claire Wilson, perché la questione è identica, è che lì dove il libro non è piaciuto la critica più comune era che le donne alla fine, ottenuto il potere, si comportavano come e peggio degli uomini. Non vedo perché dovrebbe essere diverso, le donne sono persone come gli uomini, ma secondo me è un’interpretazione fuorviante nel senso che la conclusione da trarre per me non è “le donne al potere sono come gli uomini”, ma “gli uomini si comportano così ora, non in un ipotetico mondo distopico”: il romanzo, e ora la serie, in linea di massima ci mostra la realtà, solo cambiando il genere sessuale di chi ha il potere. Ci ricorda di continuo che la realtà è una società patriarcale che troppo spesso fa sentire le donne insignificanti e in pericolo.

“Non avevamo mai osato immaginarlo. Un mondo che era stato creato per noi. Dove eravamo noi a dettare le regole. Dove potevamo prendere quello che volevamo. Un mondo dove Dio aveva le nostre sembianze. Dove non avevamo paura. Dove eravamo noi quelle da temere. Quel mondo era sempre stato a portata di mano per tutto questo tempo. Non dovevamo far altro che bruciare il mondo che conoscevamo”. (1.01 – traduzione mia dalla versione originale in cui l’ho guardato. Quella ufficiale potrebbe essere diversa).

Jos Cleary-Lopez (Auliʻi Cravalho, che è la voce della protagonista nel film della Disney Oceania nella sua versione originale), una delle prima a sviluppare questo potere, è la figlia della sindaca di Seattle, Margot (Toni Collette), che presto farà campagna elettorale proprio sul tema dell’EOD, contro Daniel Dandon (Josh Charles, The Good Wife), governatore dello Stato suo rivale, ed è uno dei maggiori fulcri attraverso cui si costruisce la narrazione. È sposata con il dottor Rob (John Leguizamo) che ne ha sempre sostenuto la carriera e le ambizioni. Oltre a Jos, la coppia ha due figli, una bambina, Izzy (Pietra Castro) e un ragazzo adolescente, Matt (Gerrison Machado), che sente la propria mascolinità molto minacciata dallo sviluppo di questo potere da parte delle donne, tanto da sostenere frange estremiste misogine. Ryan (Nico Hiraga), il ragazzo di Jos, pure rivelerà un inaspettato lato di sé.

Roxy Monke (Ria Zmitrowicz) è la figlia illegittima di un ganster, Bernie (Eddie Marsan). Dopo che la madre viene assassinata, lei segue le orme del padre, di cui diventa l’enforcer grazie al proprio potere, nonostante questo non stia troppo bene al fratello maggiore Ricky (Jacob Fortune-Lloyd). Allie (Halle Bush), una giovane donna che sente le voci che attribuisce alla Dea e che in seguito si fa chiamare Eve, grazie alla nuova capacità uccide il padre adottivo che abusava di lei e scappa rifugiandosi in un convento per ragazze che non hanno altrove dove andare. Ad accoglierla è sorella Maria Ignacia (Daniela Vega), suora transgender che a sua volta era stata accolta da Sorella Veronica (Emily Kuroda), madre superiora scomunicata delle Sorelle di Cristo. Tatiana Moskalev (Zrinka Cvitešić), ex-ginnasta e moglie del presidente moldavo, riesce ad avere il potere per trasmissione, e si trova in contrapposizione alla leader di un gruppo di ribelli, Zoia (Ana Ularu), che altri non è se non sua sorella. Tunde (Toheeb Jimoh, Ted Lasso) è un videogiornalista nigeriano che, dopo che l’amica Ndudi (Heather Agyepong) rimane coinvolta in un incidente “elettrico”, decide di lavorare raccontando il mondo che cambia a seguito di questo evento.

“Ogni rivoluzione comincia con una scintilla” (1.01). Sentire Jos che racconta di essersi trovata per caso, per aver perso la cognizione del tempo, fuori di notte da sola, e di non aver avuto paura (1.05), da donna è stato davvero, oso dirlo, elettrizzante. Pensa davvero poter vivere in un mondo in cui non hai paura ad usciere di notte da sola, mi sono detta: che sogno. Questo la serie riesce a fare, che ha di entusiasmante: immaginare un mondo in cui non si viene prevaricate per essere donne e questa è la parte positiva e propositiva, che ricorre attraverso le parole di Tunde che da uomo assiste al riscatto di donne oppresse che si liberano. Un'ondata di manifestanti femmine in Arabia Saudita passa davanti a soldati maschi terrorizzati, un gruppo di schiave del sesso riesce finalmente a fuggire e a correre fuori verso la libertà… Parte della visione utopistica rappresentata viene dal fatto che giovani che hanno questa dote – possiamo vederla come una acquisita consapevolezza, in termini allegorici – la possono trasferire alle più mature. Oltre alla riflessione sul potere e le sue dinamiche, evidentemente, c’è la constatazione di come effettivamente la forza fisica definisca chi può dettare le regole nella società, c’è la metafora narrativa della autodeterminazione, dell’autonomia decisionale e dei limiti al corpo delle donne, dove la proposta rimozione dell’EOD si presta come facile metafora per l’aborto e la contraccezione.

La parte più difficile da digerire è vedere sia la legittima paura nel volto maschile, che è specchio della paura delle donne nella realtà, che la fragilità degli uomini che si sentono intimoriti dall’idea che qualcun altro abbia per una volta quello che loro hanno sempre avuto, amplificazione di quello che succede costantemente nel quotidiano di maschi che si ribellano ogni volta che qualcun altro che non è loro rivendica un ruolo paritario, come se “passare il microfono”, come si dice, come se dare voce ad altri (minoranze sul palcoscenico sociale di ogni genere) minacciasse il loro primato. Questo la serie lo mette in scena molto adeguatamente. Lascia anche a disagio vedere quelle situazioni in cui le donne prevaricano gli uomini con stilemi classici che gli uomini usano costantemente con le donne (come non sussultare quando si vede Roxy che chiede a un uomo grande e grosso di sorridere?). Notevole anche che si intersechino questioni di genere non limitandosi alla binarietà, ma con personaggi trans e intersex, anche se per ora sono per la gran parte visti in prospettiva cisgender, molto poco dalla loro.

Che la serie sia rilevante e ben costruita è indubbio – e almeno durante questa prima stagione, le storie sono in gran parte scollegate - ma non riesce ad avere quella eleganza di “The Handmaid’s Tale” (nonostante qualche tocco ben riuscito come l’immagine di Eve stile “Ultima Cena” di Leonardo) o quella imprescindibilità di visione che la renderebbe più appetibile. Poi, ammetto che come sempre in queste situazioni mi chiedo: quanti uomini la guarderanno? Se è in parte inevitabile che si crei una “guerra fra sessi”, non c’è niente di più distruttivo, tanto più se la si legge come una interpretazione del presente e vorrei assistere almeno a uno sforzo nel costruire un’alternativa che non veda il più forte prevaricare il più debole. Usare violenza o meno è una scelta, e su questo riflette anche la serie, e parte del processo educativo di sé stessi è saperla usare o trattenersi dal farlo (in questo senso c’è un bel colpo di scena nella season finale dal quale ci si domanda come si possa uscirne). Non credo che la finzione debba per forza avere un mandato educativo, ma certo non può sfuggire alla riflessione l’interrogarsi su possibili alternative costruttive. Dopotutto, come ben si intende, il futuro è nelle nostre mani.

giovedì 8 giugno 2023

TED LASSO: una terza e ultima stagione sottotono

Comincia con Ted Lasso (Jason Sudeikis) in aeroporto la terza e ultima stagione dell’omonima comedy (Apple TV+) che ha saputo conquistare il pubblico, e finisce ad arco quasi allo stesso modo con lui che ha deciso di rientrare negli Stati Uniti per stare vicino al figlio. Una fine scontata, e va bene in questo modo, così come sarebbe stato un tradimento dello spirito dello show se non avessimo avuto un lieto fine generale. Le puntate sono state più lunghe in questa tranche. Non è dispiaciuto in sé, ma c’è stata la sensazione che si sia persa la focalizzazione, in una stagione che ha regalato sorrisi e cuore come sempre, ma che non è stata di certo al pari delle altre, con alcune storie di cui si poteva fare volentieri a meno e altre che non avevano senso.

La prima puntata si apre e chiude con Ted piuttosto giù di corda. Il figlio Henry (Gus Turner), stato in visita da lui per sei settimane è tornato a casa dalla madre a Kansas City, e si rende conto che la sua ex ha un nuovo amore nella sua vita. In generale si chiede che senso abbia per lui rimanere in Inghilterra. La AFC Richmond, che allena, tutti si aspettano che arrivi ventesima; solo perché non c’è un ventunesimo, maligna Nathan “Nate” Shelley (Nick Mohammed), l’ex tuttofare diventato l’allenatore prodigio (Wonder Kid) e assunto dalla favorita West Ham, di proprietà di Rupert (Anthony Head, che se rimane nel cuore come l’osservatore di Buffy, qui sa essere odioso a sufficienza), l’ex della attuale proprietaria della AFC Richmond, Rebecca (Hannah Waddingham, Sex Education). In modo fin troppo evidentemente metaforico, Ted porta la squadra a visitare le fogne della città.

Da subito si mettono in parallelo due stili umani e professionali. Nate già dalla fine della scorsa stagione è ufficialmente il cattivo della situazione e nel suo nuovo ruolo si comporta come un bullo. Non risponde ai saluti, si aliena gli altri comportandosi da superiore, demolisce i propri giocatori mettendoli sulla "linea del cretino" quando sbagliano, chiede a un assistente che deve temporaneamente sostituirlo di farli correre finché non crollano. Ridicolizza un giornalista che gli pone una domanda. Ted al contrario li incoraggia e invita loro a trarre forza ciascuno dalle qualità che fanno brillare i compagni, e fa i complimenti a una giornalista che gli fa una domanda, e anche quando gli chiedono di commentare gli insulti di Nate nei suoi confronti, la butta sul ridere, lo loda e gli augura il meglio.

Sono entrambi due uomini infelici, ma mentre il primo scarica la propria rabbia e le proprie frustrazioni sugli altri, il secondo non lo fa. Essere depressi non è una scusa per trattale male gli altri: è una scelta sulla base del tipo di uomo che vuoi essere, ci dice la serie. Sembra quasi favolistico, ma credo che non lo sia, che sia alla fine anche una questione di credere nel principio che due mali non fanno un bene e abitudine ad agire sulla base di quella convinzione. Questo ottimismo, questo credere al di là delle circostanze nel prossimo e nelle potenzialità di ciascuno, è quello che ha reso amabile il personaggio. Ted Lasso non è un’ingenuità, è una scelta etica. Questo la serie lo reitera in più situazioni, come quando (3.04) la squadra si rende conto che è stato Nate a strappare il loro poster motivazionale, “Believe”. Ted aveva scelto di non dirlo, ma quando Coach Beard (Brendan Hunt) opta per farlo loro reagiscono con rabbia, ma questo non li aiuta: giocare motivati dall’odio non aiuta a vincere è la lezione.

Il rifiuto della cosiddetta mascolinità tossica e il re-inquadrare le ansie legate a successo e fallimento pure sono due pilastri di questa commedia che ha entusiasmato molti da subito, proprio perché ha fatto una scelta radicale diversa dai soliti cinismo e sarcasmo. In questa stagione però forse si è premuto anche troppo l’acceleratore solo su questo insegnare ad essere persone migliori, con una puntata sul razzismo, una puntata sull’omofobia…fastidiosamente interessati a fare la morale più che ha mostrare come l’intelligenza emotiva e l’empatia possano essere più efficaci della più grande competenza tecnica.

In corso di via in ogni caso, la squadra riprende vigore e scala la classifica, grazie anche ad un arco che introduce la carismatica egotica generosa superstar Zava (Maximilian Osinski), un calciatore ispirato in buona parte a Zlatan Ibrahimovic, evidente dal look perfino a me che di calcio non potrei saperne di meno, così come Nate riesce a riscattarsi e a tornare “sulla retta via”, anche grazie all’amore della cameriera del suo locale preferito, Jade (Edyta Budnik).

Il grande altro punto di forza della serie è l’amicizia al femminile: Keeley (Juno Temple) e Rebecca. Qui si passa il Bechdel Test alla grande, si vedono proprio le donne esserci le une per le altre. Questo è rimasto. Rompere la relazione fa Keeley e Roy Kent (Brett Goldstein) poi era stato un errore a cui troppo tardi hanno posto rimedio, e la storia sentimentale di lei con Jack (Jodi Balfour, For All Mankind) fatta solo di love bombing è parsa pretestuosa, propinataci solo per tenere Keeley lontana da Roy e per aggiungere una mini-storyline lesbica che proprio non ci stava: si capiva in partenza che sarebbe naufragata. Roy rimane uno dei personaggi più divertenti con i suoi grugniti monosillabici e il suo cipiglio astioso addolciti dagli incontri con la nipotina Phoebe (Elodie Blomfield) – ma la vicenda senza senso del suo alito pensante ce la potevano anche risparmiare - e il suo nuovo ruolo da allenatore che si prende a cuore la professionalità di Jamie Tartt (Phil Dunster), in passato suo rivale, è stato uno degli highlight della stagione.

La promozione a personaggio di maggior rilievo di Trent Crimm (James Lance), giornalista ora interessato a scriver un libro su di loro ha funzionato bene (anche se preferivo il suo titolo per il libro, “The Lasso Way” a quello in cui poi è stato cambiato, “The Richmond Way”), ma l’uscita di scena della psicologa, la dottoressa Sharon Fieldstone (Sarah Niles), che ha fatto una comparsata solo in apertura e chiusura, è stata uno spreco. 

Non arrivo a scrivere “Battute spazzatura, trama inetta, sceneggiatura debole... dobbiamo continuare? Questo spettacolo incasinato, noioso e a prova di resistenza è diventato molto più importante di quanto meritasse”, come fa Sian Cain nell’Articolo del Guardian, ma se uno vuole capire che cosa ha reso grande Ted Lasso, è alle prime due stagioni che deve guardare, non certo a questa, però come ammonisce Entertainment Weekly, non dobbiamo lasciare che la deludente terza e conclusiva diminuisca l’eredità spirituale della serie.