giovedì 25 agosto 2016

PENNY DREADFUL: la terza stagione


La terza, e confermata ultima, stagione di Penny Dreadful, che ha sempre rivolto uno sguardo poetico sulla condizione umana attraverso un filtro gotico e una sensibilità in una certa misura neo-vittoriana (The Victorianist), si è chiusa con Mr Clare (Rory Kinnear) che cita la quarta stanza dell’Ode dell’Immortalità di Wordsworth -  “dove sono ora la gloria e il sogno?” – mentre porge il suo ultimo saluto sulla tomba di Vanessa Ives. John Logan, ideatore della serie, ha dichiarato: “Dal momento che lo show per me ha sempre riguardato la lotta di una donna con Dio e la fede, ho pensato che l’idea di lei che con le unghie ritrovava  la sua via verso Dio e finalmente raggiungeva un qualche tipo di apoteosi fosse la fine appropriata”. (THR)

Questa stagione, partita con i vari personaggi isolati l’uno dall’altro, ciascuno coinvolto in una storia autonoma, è stata vibrante come sempre, con vertici impensati come la straordinaria “A blade of grass – Un filo d’erba” (3.04), interamente imperniata sui due personaggi sopracitati, una volta che lei in psicoterapia con la dottoressa Seward (Patti Lupone) scava nel proprio io e nei propri ricordi.

Nuove entrate sono state Dracula (Christian Camargo), che nella sua veste quotidiana aveva l’identità del dottor Sweet, uno zoologo, e con lui il suo storico “aiutante”  Renfield (Samuel Barnett); Catriona (Perdita Week), una  tanatologa con esperienza di sovrannaturale (e un aspetto quasi fuori dal tempo – ammetto che mi è tanto sembrata una “cacciatrice” alla Buffy-maniera); e il dottor Jeckyll / Hyde (Shazad Latif, un attore poco convincente in un cast di eccelenze), amico di Victor (Harry Treadaway).

In questo arco si sono rincorsi e intrecciati diversi lietmotiv. L’abbracciare il proprio lato oscuro contro il combatterlo per rimanere puri è stato un tema dominante, per Ethan (Josh Hartnett) in bilico fra l’essere il Salvatore o il Lupo (3.05), per il dottor Jeckyll, sebbene non sia stato esplorato attraverso di lui, ma bensì attraverso le ricerche da lui condotte su pazienti di un manicomio che lui cerca di curare, e naturalmente in Vanessa, nella sublime già menzionata 3.04, ma in tutto il suo percorso e nel cedere finale alle lusinghe di Dracula.

Altro fulcro è stata la riflessione su che cosa ci renda dei mostri e specificatamente se siano i nostri ricordi a renderci tali. Qui di nuovo tornano in campo Ethan, e gli esperimenti medici di Jeckyll, ma il tema è stato affrontato moltissimo anche attraverso Lily (Billie Piper). Le vicende di quest’ultima, che ha anche arruolato fra le sue fila la giovane prostituta Justine (Jessica Barden), sono state un’esplicita allegoria del femminismo, contro la cultura patriarcale dominante e contro la chiesa cattolica che vede le donne autonome come streghe (3.07). Il vassoio di mani tranciate via a uomini prepotenti sulla tavola di Dorian Grey che ospita queste tavolate di donne ribelli è un’immagine potente. Le donne che si battono per i diritti propri e delle proprie sorelle sono viste come mostri. Vogliono togliere a Lily legittimi rabbia e dolore per trasformarla un una donna decorosa, appropriata, in una “obbediente mogliettina” (3.08). Justine preferisce la morte. E alla fine Victor rinuncia a rendere tale Lily perché lui stesso, che la ama, cerca di essere umano, quando sarebbe troppo facile essere mostri (3.08). C’è, nel corso delle vicende, una costante rivendicazione al diritto al proprio dolore, alle proprie perdite, alle proprie cicatrici e ferite, alla propria tristezza, da Vanessa che riconosce che questi sentimenti a volte sono tutto ciò che è (3.06), a Lily che nel supplicare Victor di non cercare di cambiarla contro la sua volontà si sviscera emotivamente davanti a lui e dichiara che “ci sono cicatrici che ci rendono chi siamo, e senza di essere non esistiamo” (3.08)

Infine c’è stata la riflessione e la tensione fra una fine necessaria e un’eternità che ci rende meno umani. La Creatura preferisce che il figlioletto malato muoia piuttosto che riportarlo in vita come il mostro che lui stesso è, anche se questo significa rinunciare alla donna amata che lo mette davanti all’ultimatum di ritornare con il piccolo in vita o non tornare affatto; Dorian Grey (3.09) soffre un’immortalità che lo condanna alla solitudine perenne, bellissimo e “morto”, “un perfetto immutabile ritratto” di se stesso e anche nel confronto con Lily si ammette che una vita di passione per quanto porti alla tragedia, sia comunque preferibile a una senza, privati di affetto e interessi, desideri e connessioni umane; Vanessa (3.09) si rassegna alla sua fine e quasi la cerca, pronunciando parole che suonano come un monito anche per noi per la chiusura della serie: “Let it end – lascia che finisca”.

mercoledì 17 agosto 2016

LIFE IN PIECES: godibile commedia familiare


Ideata da Justin Adler, Life in Pieces racconta le vicende della famiglia Short in quattro piccole vignette autonome (ciascuna con un proprio titolo) per ogni puntata, in un buon equilibrio e riuscendo a gestire e far interagire con storie collegate un ampio cast. Questo formato – a quanto apre ispirato ai Looney Tunes - permette agli autori di tagliare tempi morti e compattare gli accadimenti in momenti che sono estremamente frizzanti, senza cadute di tono.  C’è anche la libertà di usare esterni e di muoversi propria delle commedie single-camera.

I nonni sono John (James Brolin) e Joan (Dianne Wiest): lui è un pilota d’aereo in pensione, lei una terapeuta. Hanno tre figli. Heather (Betsy Brandt, Breaking Bad), la figlia più grande, è sposata con un otorinolaringoiatra, Tim (Dan Bakkedahl), da cui ha tre figli: Tyler (Niall Cunningham), Samantha (Holly J Barrett) e Sophia (Giselle Eisenberg, Flesh and Bone). Matt (Thomas Sadoski, The Newsroom), il secondogenito,  divorziato e senza lavoro, torna a vivere dai genitori, nel garage, e frequenta Colleen (Angelique Cabral) che ha un cagnetto maschio di nome Princess (Principessa). Il figlio minore Greg (Colin Hanks) è sposato con un’avvocatessa, Jen (Zoe Lister-Jones), e hanno appena avuto una bimba, Lark.  

Autenticamente esilarante proprio nelle situazioni più che non nelle battute, la serie mescola tradizione a originalità, raccogliendo anche le lezione di Modern Family, e rispetto a quest’ultima ha personaggi più amabili. Non è raro ritrovarsi a sghignazzare della grossa, e in modo costante, ma capita anche di commuoversi.  La recitazione è buona su tutta la linea, con Hanks e Lister-Jones sono particolarmente efficaci nella commedia fisica. Una loro espressione è sufficiente per rimanere genuinamente divertiti. Diverse sono anche le guest-star. La prima stagione è partita in modo solido ed è cresciuta in forza nel tempo: se le puntate iniziali spingevano a proseguire, ma con il dubbio di farlo a lungo termine, con il susseguirsi delle puntate si è fugato ogni dubbio e alla chiusura già si desidera la seconda stagione che, per fortuna, ci sarà.    

lunedì 8 agosto 2016

TCA Awards 2016: i premi dei critici televisivi


Lo scorso 6 agosto sono stati rivelati i vincitori dei TCA Awards, i premi dati dalla Television Critics Association, l’associazione dei critici televisivi composta da più di 220 professionisti di Stati Uniti e Canada.

Di seguito i vincitori.

Programma dell’anno: The People v. OJ Simpson: American Crime Story
Miglior nuovo programma: Mr Robot
Miglior drama: The Americans
Miglior Comedy: black-ish
Miglior Film, Miniserie e Special: The People v. OJ Simpson: American Crime Story
Miglior attore/attrice in un drama: Sarah Paulson (The People v. OJ Simpson: American Crime Story)
Miglior attore/attrice in una comedy: Rachel Bloom (Crazy Ex-Girlfriend)
Miglior programma di News e Informazione: Full Frontal with Samamntha Bee
Miglior Reality: Making a Murderer
Miglior programma per ragazzi: Daniel Tiger’s Neighborhood
Premio alla carriera: Lily Tomlin