venerdì 26 gennaio 2018

DEAR WHITE PEOPLE: una serie arrabbiata e militante


È una serie arrabbiata e con toni satirici Dear White People (Netflix), basata su un film di Justin Simien dallo stesso titolo e ambientata in un immaginario college della Ivy League, la Winchester University. Segue un gruppo di studenti neri in un contesto istituzionale prevalentemente bianco, con le conseguenti questioni di ineguaglianze sociali. Parla di integrazione e (auto)segregazione, di tensioni razziali e politiche identitarie e sociali, di assimilazione e di appropriazioni culturali, di pregiudizi e di ipocrisie, di diritti e di entitlement, di cultura e di proteste, di privilegio bianco, di potere, dell’essere inermi e del fare la differenza, con anche in primo piano quello che Coates chiama la distruzione del corpo nero, a cui sono (nei fatti, se non sulla carta) autorizzate le forze di polizia.

Ogni puntata si concentra su un personaggio diverso, ma come protagonista spicca la studentessa Samantha White (Logan Browning) che conduce un programma radiofonico studentesco che porta il titolo della serie stessa (Carissimi Bianchi, in italiano). Le stoccate della sua lingua affilata non risparmiano nessuno. Frequenta Gabe (John Patrick Amedori), un bianco, e questo la mette in una posizione delicata, tanto più che suscita le gelosie di Reggie Green (Marque Richardson), innamorato di lei, e a sua volta oggetto dell’interesse di Joelle (ashley Blaine Featherson), che non si fa illusioni sulla situazione. All’esordio delle vicende motivo di scontento e di contrasto è il Pastiche, un giornale satirico scritto da ragazzi bianchi che organizza una festa blackface (il tipo di trucco teatrale usato dai non-neri per rappresentare i neri), giudicata prontamente razzista. Presto le unioni studentesche nere, e  l’intera scuola, si ritrovano a discutere animatamente della questione anche per capire come risolvere l’incidente. Uno di questi gruppi è guidato da Troy Fairbanks (Brandon P. Bell), figlio del rettore, oppresso dal padre che lo vuole far diventare una figura politica di spicco contro i suoi desideri. Ha una ragazza, Colandrea “Coco” Conners (Antoinette Robertson), molto ambiziosa, che ha programmi molto precisi – ha già deciso il nome dei figli che avranno, ad esempio - per il loro futuro come power couple - punta alla casa Bianca. Per Troy ha una cotta segreta il suo compagno di stanza, il timido, ma risoluto Lionel Higgins (DeRon Horton), che scrive per il giornale scolastico, The Winchester Indipendent.

Se le 10 puntate della prima stagione debuttano con una rivolta sdegnata contro una festa razzista, con il progredire delle puntate il dibattito si fa più rovente e dolente affrontando l’attualissima problematica delle violenze della polizia nei confronti di neri innocenti presi di mira solo perché tali. Black-ish (in “Hope”, 2.16) aveva parlato della questione in una memorabile puntata; qui la si mette in scena coinvolgendo proprio uno dei protagonisti. Durante una festa al campus (1.05), un ragazzo bianco usa un epiteto razzista nel ripetere le parole di una canzone. Alla richiesta di non farlo, seguono spintoni, scoppia una rissa e la polizia interviene. Contro Reggie, innocente, la guardia di sicurezza del campus punta la pistola, che non abbassa finché non vede il tesserino identificativo che lo qualifica come studente. Tutti sono ragionevolmente sconvolti dall’evento,  che è sezionato da un punto di vista sociale e politico e razziale, e da un punto di vista umano, psicologico e personale  - Reggie, uno degli studenti più bravi, si isola e in una serata a microfono aperto in un locale, si esibisce in uno slam di poesia intitolato “una pallottola”.

In una locandina, la serie ritrae Sam con un megafono. È un riferimento all’ultima puntata della stagione in cui viene organizzata una protesta, ma è un simbolo di quello che i protagonisti (e la narrazione) cercano di fare: far sentire la propria voce più forte, amplificare perché venga notato il dolore (un tema forte e ripetuto) che li fa scendere in strada, invitare a essere svegli, consapevoli. Perché il passo fra l’affermazione razzista apparentemente innocua e la brutalità non è poi così lungo.

Se c’è predica, è infarcita di umanità e umorismo, non è pedante. C’è una quasi irreale iper-consapevolezza da parte dei personaggi delle sottostanti dinamiche filosofico-politico-culturali, con scoppiettanti dotti riferimenti, anche ermetici (almeno per me, bianca, forse troppo ignorante di cultura nera), me se lo si accetta da Aaron Sorkin o Kevin Williamson non si vede perché non lo si possa fare qui. Molti personaggi si prendono un po’ nelle frange del narrazione – ma non il delizioso cane (bianco) Sorbet (o Sorbetto, in italiano), devo dire, sulla cui sorte si rimane in ansia alla fine, pur con una punta di umorismo – ma quella che rimane distintiva è la voce autoriale che spinge a una maggiore consapevolezza. Si tratta di una voce che si riascolterà con piacere nella confermata seconda stagione, e che molti bianchi, come del resto io stessa, penso abbiano probabilmente la necessità di sentire.     

venerdì 19 gennaio 2018

EPISODES: la quinta e ultima stagione


La quinta e ultima stagione di Episodes esordisce con Matt (Matt LeBlanc) che, pur agognando di recitare ancora, è bloccato a condurre un orribile gioco, The Box,  in cui i concorrenti sono confinati in un cubicolo di vetro e subiscono punizioni di vario tipo. Parallelamente Beverly (Tamsin Greig) e Sean  (Stephen Mangan) sono loro stessi bloccati nel loro inferno personale, a dover collaborare con un capo sceneggiatore inetto che li tiene tutti ostaggi nella sala sceneggiatura a scrivere un programma che è chiaramente incompetente a dirigere, bloccandoli per ore su minuzie inutili. Carol (Kathleen Rose Perkins) è senza lavoro e al verde e si sente miserabile, tanto da non uscire mai di casa.

Già da subito la serie si mostra come è una riflessione graffiante sulla cattiva televisione: guardare il nuovo caposceneggiatore Tim che si incaponisce su una battuta che ha a che fare con dei biscotti (5.01) e che ha sotto di sé una squadra che non lo sopporta, ma che è costretta piegata ai suoi voleri, nella malcelata insofferenza, è un piccolo capolavoro, e si ride di gusto nel vedere i colleghi che sputano un lungo elenco di marche di biscotti quando viene schioccata la metaforica frusta della richiesta di sentirne elencati alcuni tipi specifici. E, proferita dalla sua bocca, non si può non compartecipare alla riflessione critica nei confronti delle molte commedie attuali che, pur definendosi tali spesso non fanno affatto ridere, quando gli fanno dire, di fronte allo sguardo atterrito di Sean e Beverly: “Oh, voi due siete così vecchia-scuola. Le commedie non devono più essere divertenti. Alcune delle maggiori commedie non sono nemmeno lontanamente divertenti. Il pubblico non ha più bisogno delle vostre battutine e delle vostre risate e del vostro humor. Dovete solo finire dopo 30 minuti. Tutto qui, bang, siete una commedia”. Che ilare frecciata. Questa frase da sola, vale tutta la stagione.

Ci si sofferma su come talvolta alcune decisioni nascano molto prosaicamente da rospi da mandare giù e rivalità ripicche reciproche e continua la tradizione di cavare umorismo dal pene di Matt LeBlanc che, per una piccola vendetta di Merc Lapidus (John Pancow),  qui si ritrova involontariamente a masturbarsi pubblicamente, e dal suo egocentrico menefreghismo. Non si temono terreni spinosi  - la conversazione fra Carol e Berverly sul sembrare o meno ebrei in 5.01) è un buon esempio così come la morte del padre di Matt (5.05).

La chiusura, che in realtà è apparsa un po’ precipitosa, ha concesso in lieto fine. È stato un bel tocco, anche se lo avevo sospettato dal momento in cui Sean ha dichiarato di aver scritto una nuova idea di cui era entusiasta e quindi non è stato proprio una sorpresa, che l’ultima scena vedesse tutti i protagonisti in un sala di proiezione a guardare la sigla del nuovo programma che era in realtà la sigla di Episodes stesso, solo con autori Sean e Berverly al posto di Jeffrey Klarik (sceneggiatore di tutte le puntate della stagione) e David Crane.


domenica 14 gennaio 2018

9-1-1: un procedurale solido, ma perdibile


“9-1-1, qual è la sua emergenza?”: la frase di risposta del 113 americano punteggia, ricorrente, la nuova serie di Ryan Murphy, Brad Flachuck  (entrambi di Glee e American Horror Story) e Tim Minear (Angel, American Horror Story), intitolata 9-1-1 appunto (sull’americana Fox), e raggruma intorno a queste chiamate i casi professionali intrecciati alle vicende personali dei first responders di Los Angeles, ovvero di pompieri, paramedici, poliziotti, e in generale di tutti coloro che lavorano nel primo soccorso raccogliendo per primi le richieste di aiuto più disparate. Viene in mente ER, viene in mente Third Watch.

Abby Clark (Connie Britton, Friday Night Lights, Nashville) è la centralinista del 911 che ha a casa la madre con l’Alzheimer avanzato; Bobby Nash (Peter Krause, Six Feet Under, Parenthood) è pompiere cattolico che ogni settimana confessa di aver avuto problemi di dipendenza con l’alcool per ricordarsi di non ricaderci; Athena Grant (Angela Bassett, American Horror Story) è la poliziotta in crisi con il marito Michael (Rockmond Dunbar, The Path) che le ha da poco confessato di esser gay; Evan “Buck” Buckley (Oliver Stark) è il giovane testa calda troppo irruento e irrispettoso dell’autorità; Howie “Chimney” Han (Kenneth Choi) e Genrietta “Hen Wilson” (Aisha Hinds) sono i pompieri/paramedici di cui dobbiamo ancora conoscere meglio le storie.

Si debutta con casi memorabili: un bebè intrappolato in una tubatura perché partorito e buttato nello scarico del water, e a seguire una ragazza quasi soffocata da un serpente e una bimba intrappolata in una casa dopo che sono entrati dei ladri.

La recitazione, come si comprende dal cast, è di primo’ordine e il ritmo è serrato, la narrazione chiara, decisa, dai contorni netti e le tinte forti. Non ci sono molte sottigliezze e c’è un tono da “eroi senza macchia e senza paura”, ma umani e vulnerabili, con un pizzico di potenziale predicozzo di vernice.  È un procedurale convenzionale con soluzioni veloci per in casi, solido, ma niente di cui entusiasmarsi.  

venerdì 12 gennaio 2018

CFP di Osservatorio TV



Riporto di seguito quanto indicato sul sito di “Osservatorio TV”. 

“Osservatorio TV è un progetto di ricerca indipendente che pubblica un ebook gratuito ogni anno per analizzare le serie TV realizzate indicativamente nei 2/3 anni precedenti. Arrivato al sesto anno, Osservatorio Tv ha già in programma per il 2018 saggi sulle seguenti serie:

Alias Grace, Bates Motel, Black-ish, Black Mirror 4, Crisis in Six Scenes, Dark, Defenders, Easy, Feud, Happy Valley, How to get away with murder, Mindhunter, Mr.Robot, Ozark, Outlander, Shameless US, Stranger Things, The Girlfriend Experience, The Good Place, The People vs. O.J. Simpson: ACS, You Me Her.

Per chi fosse interessato a partecipare, il prossimo numero verrà pubblicato a settembre 2018. Per proporre una collaborazione, inviare a barbaramaio@osservatoriotv.it una proposta per una serie ancora disponibile e una breve bio o cv.

La proposta dovrà arrivare entro marzo 2018 e il saggio di circa 4/5000 parole dovrà essere inviato entro giugno 2018”.

Solo a titolo indicativo, sul sito si elencano di seguito serie ancora disponibili ma si accettano proposte anche su altre serie, possibilmente prodotte non prima del 2014.

lunedì 8 gennaio 2018

GOLDEN GLOBES 2018: i vincitori

Photo credit: abcnews

Sono state consegnate la notte scorsa le statuette dei Golden Globe, in una cerimonia presentata da Seth Meyers (qui il monologo introduttivo).  Sotto, i vincitori:

Miglior serie TV - Drama
The Handmaid's Tale

Miglior performance di un’attrice in una serie TV – Drama
Elisabeth Moss, "The Handmaid's Tale"

Miglior performance di un attore in una serie TV – Drama
Sterling K. Brown, "This is Us"


Miglior serie TV - Musical o Comedy
Marvelous Mrs. Maisel

Miglior performance di un attore in una serie TV - Musical o Comedy
Aziz Ansari "Master of None"

Miglior performance di un’attrice in una serie TV - Musical o Comedy
Rachel Brosnahan, "The Marvelous Mrs. Maisel"


Limited Series o Film per la TV 
Big Little Lies

Miglior  Performance di un attore in una Limited Series o Film per la TV
Ewan McGregor, "Fargo"

Miglior  Performance di un’attrice in una Limited Series o Film per la TV
Nicole Kidman, "Big Little Lies"


Miglior  Performance di un attore non protagonista  in una Limited Series o Film per la TV
Alexander Skarsgard, "Big Little Lies"

Miglior  Performance di un’attrice non protagonista in una Limited Series o Film per la TV
Laura Dern, "Big Little Lies"

Golden Globe alla Carriera: Oprah Winfrey (qui il suo apprezzato discorso).



Chi non ricordasse le nomination, le trova qui.

Come migliori film hanno vinto Tre manifesti a Ebbing, Missouri (drammatico) e Lady Bird (commedia). Per la lista di tutti i vincitori anche in questa categoria si veda qui.

Qui, su The Hollywood Reporter,  è possibile vedere i discorsi dei premiati.