lunedì 29 novembre 2010

SISSI non delude come favola romantica


Gran parte del pubblico, me compresa, è molto affezionato al tradizionale racconto della vita di Sissi la cui storia è stata portata sullo schermo in tre diversi film da una giovanissima Romy Schneider. Cristiana Capotondi, seppur fisicamente perfetta per il ruolo, era destinata con una certa sicurezza a deludere nel rifacimento in due puntate che ha debuttato gli scorsi 28 febbraio e primo marzo e che è in onda in replica su Rai1 stasera (prima serata), ma così non è accaduto.  Indubbiamente questo rifacimento dai valori produttivi molto curati  - 2000 comparse, 700 spettacolosi costumi, 20 carrozze storiche, rigogliose e preziose ambientazioni – ha avuto un po’ troppa fretta di partire e questo non ha giovato. La futura imperatrice d’Austria è stata subito gettata a corte e non si è vista l’intensa nostalgia di Elisabetta verso la sua terra natia e la sua famiglia anche solo perché non si è mai dato l’occasione di far capire che cosa aveva perso, qual era l’ambiente da cui veniva, qual era la vita rustica a cui era abituata. In questo modo si è tolta anche parte della ragionevolezza delle preoccupazioni della madre dell’imperatore, che non era motivata solo da acidità. Il cuore di  Francesco Giuseppe, interpretato da un David Rott convincente anche se non affascinante quanto Karlheinz Bőhm, casca come una pera cotta istantaneamente quando vede la cugina. Io ci metto più a prepararmi un tè di quanto loro con ci abbiamo messo ad innamorarsi perdutamente per la vita. Un po’ di costruzione in più delle ragioni per cui erano attratti l’uno dall’altra, al di là degli ormoni e dell’apparenza, non avrebbe guastato. Scomparsa è stata anche la vena umoristica (specie attraverso e figure dei genitori della ragazza e del suocero) che alleggeriva quello che è a un passo dal polpettone, con i suoi tanti momenti sdolcinati e melodrammatici. Quello però in cui questo film per la TV è riuscito è essere la favola romantica che è sempre stata, con un minimo di eventi storici da fare da sfondo e qualche consuetudine d’epoca che ora ci sorprende, ci diverte o ci fa inorridire: che non si dovesse uscire dalla carrozza prima di essere ricevuti, che la prima notte di nozze fosse tradizione che le madri degli sposa la passassero davanti alla porta della camera da letto degli sposi  - che gioia! – o che fosse vissuto come un fallimento personale di cui scusarsi non aver avuto un erede maschio… Questa Sissi è un po’ più consapevole dell’atra, complice anche un’attrice che ha 29 anni e non i 16 della precedente o i 15 dell’effettivo personaggio storico al momento dell’incontro che cambierà la sua vita; è più socialmente responsabile, alla Lady Diana, ma ne ha mantenuto la genuinità che l’hanno fatta amare.

venerdì 26 novembre 2010

Genitori contro MILEY CYRUS: eccessivi



Il Parents Television Council, una organizzazione no-profit americana che intende educare i genitori sui contenuti della TV, e la cui missione è quella di “promuovere e ristabilire responsabilità e decenza all’industria dell’intrattenimento” spingendo per una programmazione rivolta alla famiglia, una sorta di MOIGE televisivo d’oltreoceano, si è recentemente scagliato contro il video di Miley Cyrus “Who owns my heart” in modo che personalmente trovo eccessivo. Il video della reginetta di Hannah Montana la mostra sul letto in biancheria intima (piuttosto castigata per gli standard moderni), in bagno a truccarsi e in discoteca a ballare, in modo sexy, ma piuttosto contenuto (niente strusci, palpeggi, baci o cose del genere). Dalle veline vediamo da anni cose molto più spinte. Il testo è piuttosto diretto. Il ritornello dice “chi possiede il mio cuore? È l’amore o è l’arte? Perché il modo in cui muovi il corpo mi confonde, non riesco a capire se è il ritmo o sono le scintille. Chi possiede il mio cuore? È l’amore o è l’arte? Lo sai, voglio crede che siamo un capolavoro, ma talvolta è difficile capire al buio chi possiede il mio cuore.” Non ci sono doppi sensi. C’è un punto in cui il testo dice “Continua a provocarmi, continua  a prendermi al lazzo, come ad un rodeo e attirami a te”. La ragazza, come direbbero gli americani, è molto “vaniglia”. In nessun modo, e a nessun livello, potrebbe leggersi come un accenno al bondage, nemmeno con molta fantasia. Per i genitori però, visto che fin’ora è stata la diva dei più piccoli, e che sono abituati a vederla in ruoli adatti all’infanzia, è troppo scandalosa. Non si può tenere una ragazza una bambina per sempre. Non si vede perché non debba potersi esprimere da donna. Non fa nulla di sconveniente o inappropriato. Non vogliamo un effetto Cristina D’avena, costretta a fare la bimba d’asilo a quasi 50 anni.

mercoledì 24 novembre 2010

NATHALIE vince il quarto X-FACTOR



È Nathalie Giannitrapani la vincitrice della quarta edizione di X-Factor, brava interprete che ha vinto anche il premio della critica. È la prima volta che sul gradino più alto del podio arriva una donna.

È stata una (gradita) sorpresa visto che tutti davano un po’ per vincente il diciassettenne Davide, che non è potuto essere sul palco nei momenti finali (al posto c’è stato suo padre) per il fatto che era passata la mezzanotte e a quell’ora i minorenni non possono apparire in televisione, una regola che suona ridicola e andrebbe cambiata almeno prevedendo delle eccezioni.

X-Factor, per il successo che ha, per la forza di creare clamore e comunità intorno a sè e per la capacità di lanciare sul mercato nuovi talenti canori, è ormai indubbiamente sotto molti versanti il nuovo San Remo.

lunedì 22 novembre 2010

AMA Awards: il grande vincitore è Justin Bieber


Il grande vincitore degli AMA, gli American Music Awards, andati in onda ieri sulla ABC, dal Nokia Theatre di Los Angeles, è stato l’idolo degli adolescenti e pre-adolescenti, il sedicenne Justin Bieber.
Sotto, tutti i premiati:

Album Preferito - Soul/R&B: Usher, "Raymond v. Raymond"
Album Preferito - Country: Carrie Underwood, "Play On"
Album Preferito - Pop/Rock : Justin Bieber, "My World 2.0"
Album Preferito - Rap/Hip-Hop: Eminem, "Recovery"
Album Preferito – colonne sonore: "Glee: The Music, Volume 3 Showstoppers"

Band Preferita, Duo o Gruppo - Pop/Rock: The Black Eyed Peas
Band preferita, Duo o Gruppo – Country: Lady Antebellum

Artista rivelazione dell’anno: Justin Bieber
Artista dell’anno: Justin Bieber

Artista maschile preferito – Pop/Rock: Justin Bieber
Artista maschile preferito – Soul/R&B: Usher
Artista maschile preferito – Rap/Hip-Hop: Eminem
Artista maschile preferito – Country: Brad Paisley

Artista femminile preferita – Country: Taylor Swift
Artista femminile preferita – Pop/Rock: Lady Gaga 
Artista preferita – Latina: Shakira
Artista preferita – Soul/R&B: Rihanna
Artista preferita – Alternative Rock: Muse
Artista preferito – Adulta contemporanea: Michael Buble
Artista preferito – Inspirational contemporaneo: MercyMe

 

venerdì 19 novembre 2010

FIGU: essenziale e curioso



Figu (Rai3, ore 9.15) è un’ideale raccolta di figurine in un “album di persone notevoli”, biografie di pochi minuti e ritratti di nomi del passato e del presente a cura di Peter Freeman e Alessandro Robecchi  (Verba Volant). Nasce a… e via con la storia, le citazioni e le immagini. Essenziale e curioso.

mercoledì 17 novembre 2010

SOPRAVVIVENZA DELLE SOAP OPERA: un libro


Nelle librerie (americane) esce il primo dicembre, ma online (sul sito della Amazon) è già disponibile, un libro dedicato ad un genere che sta morendo, quello delle soap opera. Si tratta di The Survival of Soap Opera: Transformations for a New Media Era, ovvero “La sopravvivenza della soap opera: trasformazioni per un’Era di Nuovi Media”, curato da Sam Ford, Abigail De Kosnik e C. Lee Harrington, edito da The University Press of Mississippi. Il testo cerca di andare a fondo delle ragioni del calo di popolarità di questo genere, di fronte al contempo a un crescente interesse per i suoi stili all’interno di altre forme di televisione, e esamina, proprio alla luce di questo, l’impatto sia sul piccolo schermo che sulla cultura dei media in generale, cercando di trarne degli insegnamenti.

Gli studiosi hanno spesso sottolineato come le soap opera siano il più squisitamente televisuale fra i generi televisivi, unico nella sua capacità di sfruttare le potenzialità di intimità, accesso costante e narrativa serializzata che si spalma nel tempo che solo la televisione è in grado di offrire. Rimane un artefatto culturale tipicamente americano unico, e forse l’unica forma di arte televisiva in cui la finzione narrativa è “sovra-codificata”, come suggerisce Allen, ovvero “ i personaggi, gli eventi, le situazioni, e le relazioni sono investite di possibilità di significato grandemente in eccesso rispetto a quelle necessarie per le loro funzioni narrative”. La storia vede il genere delle soap opera spesso deriso e sottovalutato e, come si sottolinea anche nell’introduzione al testo, per molti lo stesso termine ‘soap opera’ è sinonimo di cattiva recitazione, trame risibili, dialoghi scritti in eccesso, e bassi valori produttivi, e la valutazione negativa si estende ai fan di questo genere.

Negli ultimi anni l’influenza delle soap nei programmi del prime-time è stata notata come sempre più significativa: storie che continuano di episodio in episodio, cast di ensemble, personaggi che si sviluppano nel tempo e che sviluppano le proprie relazioni umane nel tempo, conversazioni intime, setting domestici, conflitti romantici e familiari, personaggi femminili ritratti in un contesto professionale e in ruoli di potere, personaggi maschili più emozionalmente consapevoli e sensibili… e proprio queste caratteristiche vengono lette come indice di qualità per le serie. Nonostante caratteristiche comuni ai telefilm che si “soapizzano”, le soap del daytime mantengono anche delle caratteristiche uniche che sono loro proprie. Ford, uno dei curatori, le raggruppa in 6 elementi - backstory molto ampie, personaggi in ensamble con alcuni sul frontburner e altri nel backburner, i legami, l’essere ideati da forze creative multiple, le storie serializzate, il senso di permanenza di questi mondi – che costituiscono quelli che chiama “mondi narrativi immersivi”.

Dagli anni ’90, ben 10 soap sono state cancellate, e il genere ha cercato di reagire attraverso sperimentazioni narrative e stilistiche e ristrutturazioni finanziarie. Gli stessi fan consumano il genere in modo in parte differente. La tesi di questa raccolta di saggi è che è cruciale comprendere questi cambiamenti di produzione e ricezione. Non vuole essere un elogio funebre di un genere ormai spacciato, ma offrire delle strategie perché possa sopravvivere a lungo, individuando tre sfide chiave che l’industria si trova a  dover affrontare: capitalizzare sulla sua storia, sperimentare nella produzione e distribuzione, apprendere da audience diverse.

Il libro vanta la partecipazione di molti noti studiosi del genere. Partecipo anch’io con un’intervista allo sceneggiatore Patrick Mulcahey, che in questo momento lavora a Beautiful.

lunedì 15 novembre 2010

La chiave del successo di THE BIG BANG THEORY


Jim Parsons (Sheldon Cooper in The Big Bang Theory) è stato intervistato a Fresh Air. Si è soffermato su diversi argomenti: la scienza del programma, ciò da cui trae ispirazione per interpretare il personaggio, la questione di una possibile diagnosi di sindrome di Asperger per Sheldon… Questo è quello che ha detto rispetto alla ragione, a suo parere, del successo della sit-com:

"Quando abbiamo cominciato ad andare in onda, girava voce che avremmo semplicemente preso in giro i geeks per un po’ di episodi e poi finalmente ci si sarebbe liberati di questo programma. Invece abbiamo abbracciato questi personaggi con più affetto che mai, e penso che uno degli elementi chiave del fatto che questo programma funziona sia, come ho detto, quell’affetto verso i personaggi da parte di tutti quelli che ci lavorano. E penso che questo generi affetto, spero, nel pubblico."

domenica 14 novembre 2010

RACHEL MADDOW intervista JON STEWART



Giovedì scorso in The Rachel Maddow Show sulla MSNBC, Rachel Maddow ha intervistato-conversato con Jon Stewart per quasi un’ora. Molti gli spunti di riflessione sui numerosi argomenti trattati: la politica (Bush, la tortura, la guerra...), le news, la TV, la comicità e la satira, le costruzioni narrative e le interazioni fra queste.

Il conduttore del Daily Show  ha detto di sentirsi, nel suo ruolo,  più vicino a Jerry Seinfeld che non hai giornalisti, nella misura in cui riesce ad articolare, nel suo caso con un taglio più politico e sociale, un feeling intangibile che la gente ha e a metterlo a fuoco. Secondo lui, questo è quello che la satira fa meglio. Visto che fanno la parodia di un programma di informazione devono averne la logistica e la meccanica, ma il tipo di processo di costruzione del loro materiale non è quello dell’informazione, ma quello di un programma comico. Controllano che i fatti siano veri, ma non lo fanno perché sono giornalisti, ma perché altrimenti non sarebbe altrettanto divertente.  Loro commentano le notizie in modo comico. In questo senso per lui la satira è anche un processo idealistico, ma in fin dei conti impotente. Non si sente di “far parte del gioco”. “Sono molto orgoglioso di farlo. Non c’è onore in quello che faccio, ma lo faccio nel modo più onorevole che posso”, ha dichiarato.

Sopra, la puntata nella sua interezza.

sabato 13 novembre 2010

Julianna Margulies è THE GOOD WIFE


Che Julianna Margulies fosse brava nessuno lo ha mai messo in dubbio. Per il ruolo che l’ha resa famosa, quello dell’infermiera Carol in ER, ha vinto un Emmy come miglior attrice non protagonista nel 1995 e negli anni successivi non le è mai mancata una nomination. Nella nuova serie di cui è protagonista però, The Good Wife (sabato, ore 21.50), supera se stessa. La sua performance ricca di nuance, sottile e molto controllata, che le è valsa il Golden Globe come miglior attrice nel 2010, toglie il fiato perfino a me che non sono mai stata una sua fan. Nel progetto che porta la firma di Robert and Michelle King è Alicia, una donna che decide riprendere il lavoro come avvocato dopo una lunga pausa in cui si è dedicata solamente alla famiglia – e questa non è la prima incursione nel mondo della fiction legale da parte dell’attrice, che ha già partecipato, solo pochi anni fa, a  Canterbury’s Law. Decide di farlo dopo che uno scandalo fa finire in carcere suo marito Peter Florrick (Chris Noth, il Mr. Big di Sex and the City), in una storia che sembra strappata dalle prime pagine dei giornali americani di questi ultimi anni. Alicia, come associata in prova, segue i casi legali che le vengono affidati, diversi di puntata in puntata, e allo stesso tempo cerca di essere “la brava moglie” del titolo, ferita, ma vicina al suo uomo, madre che cerca di proteggere i figli, oltre che se stessa, dal fango e dalle insinuazioni che i media hanno rovesciato sulla sua vita. Cerca di farlo con misura e con dignità. Per qualche ragione, che ancora non colgo, la serie non riesce a conquistarmi del tutto – forse sono i casi, che non sono scontati, ma si risolvono all’ultimo con qualche escamotage, e di certo non sceglierei di riguardarli.

La costruzione e il cast di contorno sono comunque di prim’ordine. Christine Baranski (Cybill, Mamma Mia!) è Diane Lockhart, la socia dello studio legale che è il suo capo; Josh Charles (Sports Night) è Will Gardner, un altro socio; Matt Czuchry (Una mamma per amica) è Cary Agos, l’alta giovane leva che è il lizza per un posto di lavoro definitivo in rivalità con Alicia; Archie Panjabi (vincitrice dell’Emmy come miglior attrice non protagonista per questo ruolo nel 2010) è l’investigatrice privata di cui si avvale lo studio legale per le ricerche. La Margulies e Noth sono una coppia credibile, su ogni fronte; nessuno e buono o cattivo, ma tutti multidimensionali; la narrazione procede lenta e misurata, e si apprezza nell’arco anche più che nel singolo episodio.

giovedì 11 novembre 2010

COTTO E MANGIATO: il menù del giorno


È la liturgia, fisica e verbale, che ha fatto il successo di Cotto e mangiato (ora anche su Facebook), la rapida rubrica di Italia1 dedicata alla cucina, che da settembre si è allargata con “il menù del giorno” (ore 13.40), dieci minuti in cui si raccolgono in un ideale pranzo completo dall’antipasto dolce, quattro ricette, intramezzate da spezzoni in cui la giornalista, ormai lanciatissima anche con schede e libri, dà qualche suggerimento di presentazione o racconta come decorare la tavola, guardando fissa in camera con l’autorità concessale dal primo piano oltre che dai fedelissimi. È la liturgia essenziale che facilmente rimane in mente la chiave vera del successo, dicevamo. La mise en place è pronta davanti a Benedetta Parodi. In due parole e solo poche più azioni, fa sembrare semplicissime e fattibilissime molte golose pietanze. Ed ecco che, come chiude sempre la preparazione di ogni piatti, tutto è pronto: tocca il cibo con un dito (cotto) e se lo porta alla bocca come per assaporarlo (mangiato). Se televisivamente questa è la prima ragione per cui funziona, la seconda sta nella effettiva golosità e spesso solo apparente semplicità delle proposte che finisci per desiderare di preparare subito. Forse anche paradossalmente, per il fatto di non essere una professionista nel mestiere, la padrona di casa si colloca al nostro livello, e aiuta la gente a sentirsi capace. La versione allungata non è esteticamente esaltante, ma riprende nella sigla note di Louis Armstrong che da sempre fanno da sottofondo.

lunedì 8 novembre 2010

Howard Gordon parla della tortura in "24"


Su FX (Canale 119 di Sky), è in corso l’ultimissima attesa stagione di 24 (venerdì, ore 21), la serie narrata in tempo reale con l’ex agente speciale anti-terrorismo Jack Bauer, interpretato da Keith Southerland, nel ruolo di protagonista. Howard Gordon, showrunner (colui che manda avanti il programma insomma) e produttore esecutivo dal 2006 ha rilasciato un’intervista alla trasmissione Fresh Air (nella puntata del 24 maggio 2010) in cui oltre a raccontare, fra le altre cose, che effettivamente Jack va anche in bagno e che le prove filmate esistono, ha affrontato l’accusa molto seria e spinosa della ‘tortura facile’ che caratterizza il telefilm, diventata oggetto di dibattito politico. “Il programma ha certamente beneficiato di una sorta di appagamento dei desideri post-11-settembre” ha dichiarato, “abbiamo capito però che il clima era cambiato, per via di Guatanamo e di Abu Ghraib”. E ha continuato: “Non abbiamo cercato alcun consiglio, ma consigli ci sono stati offerti dopo che la questione della tortura è diventata un problema. In stagioni successive, ci siamo seduti a parlare con un certo numero di persone che erano – sa, non ricordo i loro nomi, ma uno di loro era la persona le cui investigazioni e i cui interrogatori hanno portato alla cattura di Saddam Hussein. (…) Ci siamo seduti a parlare con alcuni veri militari che conducono gli interrogatori, e ci hanno illustrato scenari che costituivano efficaci tecniche di interrogatorio. Il problema qui, per quanto fossero drammaticamente interessanti, era che nella vita reale accadevano nel corso di giorni o settimane.” Si è poi premurato di aggiungere: “Devo poter credere che nostri fan e a chiunque guardi lo show sappia distinguere in modo efficace fra la realtà e un programma televisivo (…) E spero di aver fatto ogni sforzo possibile per disingannare quelle persone che possono confondere la realtà con questo programma TV – lo abbiamo detto ogni volta che ne abbiamo avuto l’opportunità. E lo stesso ha fatto Keifer. Questo è un programma TV. Voglio dire, una delle argomentazioni di alcuni è stata che stavamo avendo un effetto sulle persone che lavorano in questo campo. E la mia risposta è stata, allora, se questo è vero, disinganniamoli. Diventiamo parte del loro addestramento. E ho effettivamente partecipato ad un film di addestramento di West Point e a un documentario intitolato Primetime Torture con “Human Rights First”. Il dibattito su se la violenza dello schermo porti a violenza nella vita reale è annoso e Gordon ha semplicemente detto che spera che “24” non ne abbia generata.

giovedì 4 novembre 2010

BEAUTIFUL incontra dei veri senzatetto


In Italia le vedremo solo fra qualche mese, ma negli Stati Uniti il 28 e il 29 ottobre sono andate in onda due puntate molto speciali di Beautiful. La voce di Susan Flannery (Stephanie) le annuncia come tali in partenza. Il suo personaggio, che è malato di cancro ai polmoni allo stadio avanzato e ha da poco subito un’operazione, ritrova una ragione di vita nell’aiutare i senzatetto. Solo che, in questo caso, non si tratta di senzatetto nella finzione. Le telecamere della soap sono andate a filmare, e l’attrice e il personaggio a parlare, con veri e propri homeless che abitano nell’area di Los Angeles nota come Skid Row: “le persone intervistate oggi, non sono attori, sono le vere persone che abitano in questa comunità che dà ispirazione”, esordisce la Flannery, che negli scambi verbali è molto umana e calorosa. Il confine fra realtà e fantasia è molto labile e lei è brava a sufficienza da sembrare allo stesso tempo se stessa e il suo personaggio.

In questo modo si è voluta mettere la lente di ingrandimento su una vera e propria piaga: 50.000 sono le persone senza una casa nella sola Los Angeles secondo quanto fanno dire a Brooke (Katherine Kelly Lang) in un dialogo con Taylor (Hunter Tylo). Non si guarda fingendo di non vedere girando la testa dall’altra parte, ma si scoprono le persone, nelle loro storie individuali, per la strada, al Gladys Park (nella pirma puntata), presso uno shelter, alla Union Rescue Mission dove alcuni trovano un rifugio temporaneo (nella seconda puntata): la donna che ha un passato di crolli nervosi e abusi, l’uomo che a 12 anni è stato tolto ai genitori e che dopo varie famiglie affidatarie è tornato a casa a 18 anni per sentirsi dire dalla madre che per lui non c’era posto, il veterano della guerra in Iraq, il manager che ha perso il lavoro per via della crisi economica… Si guarda alle persone. E il messaggio è che ciascuno può fare la differenza nell’aiutarli, e un appello a chiusura delle puntate invita a visitare il sito di You Are The Mission.

L’impegno sociale nelle soap non è una cosa nuova. Di solito, quando se ne parla, si pensa soprattutto ad Agnes Nixon e alle sue soap, Una vita da vivere e La Valle dei Pini in particolare. Sono molto contenta però che Beautiful abbia preso la decisione di raccontare questa storia. Il capo-sceneggiarore Bradley Bell in un’intervista con Michael Logan di TV Guide, spiega come la storia sia nata dalla domanda “perché sei un senzatetto?”, scritta su un foglio anni fa e rimasta a lungo nel suo cassetto, di come sia stato un risveglio per lui e di come tutta la produzione sia stata cambiata dall’esperienza. La puntata in chiusura porta la firma sua, di Michael Minnis, Kay Alden, Adam Dusevoir, e come consulente alla storia Patrick Mulcahey sceneggiatore di Beautiful che, da anni nella sua vita personale, si dedica alla causa dei senzatetto. La regia di Miachel Stich (per entrambe le puntate) è stata molto efficace nel mantenere un doppio registro fra realtà e finzione e a far convivere le due. Sono state puntate commoventi, potenti, efficaci.

mercoledì 3 novembre 2010

X-FACTOR quarta edizione: si va al sabato


Come già anticipato da tempo da TV Blog, X-Factor andrà in onda anche sabato sera questa settimana. Ieri sera intanto, in ballottaggio con Nathalie, è stata eliminata la nuova entrata, Marika, cosa che ha lasciato di nuovo la Tatangelo senza concorrenti suoi. È una edizione che sta andando forte questa quarta. Facchinetti come conduttore è ormai completamente a suo agio. Il passaggio a quattro giudici al posto di tre è stato pressoché indolore. Sono tutti all’altezza della situazione e le dinamiche fra loro sono ben oliate. Pur fra rivalità e odii, quando anche ci sono contrasti non sono pretestuosi e il più delle volte il pettegolezzo è contenuto nel piacevole senza sfociare nel trash.

“Re” Elio è l’apparente buffone che ha preso il posto di Morgan. Ad ogni puntata si presenta con un travestimento diverso, ma non perde mai di vista l’obiettivo: cerca qualcosa di nuovo nella musica, è un esperto e non lo dimentica mai; “Sensei” Ruggeri è sobrio, ma partecipativo, molto attento al lato umano. Lady Tata, come è stata simpaticamente rinominata, o sora Tata, come la si è appellata più di recente, è la sorella maggiore che ha una buona parola per tutti, ma non risparmia un’onesta opinione. La ha avuta più dura di tutti, perché l’età e il fatto di avere un compagno cantante pure famoso hanno fatto dimenticare a molti che lei è nel business da molti anni prima di conoscerlo e che la gavetta l’ha fatta da sola, e ne ha fatta tanta. Le sue canzoni saranno inascoltabili e della parola cultura non è certo che conosca il significato, ma sa fare il suo mestiere ed è molto umana. Mara Maionchi è la “zia”, brava navigata veterana, a cui anche se è un po’ colorita tutti vogliono bene. Il lancio di “Fantastic”, realizzata mixando e musicando sue frasi, e con tanto di video in produzione, è stato un successone, e ha mostrato tutto il suo stare al gioco. 

Le presentazioni, dei cantanti e delle canzoni, quest’anno hanno una loro corposità e Tommassini riesce a creare delle notevoli messe in scena con molto poco. Quello che dispiace di questa edizione è il tentativo di essere più scuola, alla Amici-maniera, e un po’ meno opportunità di farsi notare per artisti già formati. E il “caso umano” Stefano, balbuziente che si libera nel canto, come spesso i balbuzienti fra parentesi, ha fatto legittimamente domandare a un po’ di gente se non sia stata premiata la voglia di comunicare più che non la bravura. Intanto però a dispetto di tutto va avanti, e rischia anche di vincere, anche se io scommetto su Davide, non fosse altro che per il voto delle ragazzine. Non che non sia un talento. Non mancano in questa edizione, anche fra chi è stato già eliminato (si pensi a Dorina, uscita in fondo così presto). Quando costretti a cantare in inglese, però, più di metà di loro fanno soffrire per le pronunce approssimative, e paiono dei dilettanti più di quanto non siano.


martedì 2 novembre 2010

THE WALKING DEAD: sono arrivati gli zombie


Basato sui fumetti di Robert Kirkman, The Walking Dead ha esordito negli Stati Uniti il 31 ottobre, appropriatamente nella notte di Halloween, sulla AMC (Mad Men, Breaking Bad, Rubicon). In Italia le sei puntate della prima stagione (si parla già di una possibile seconda) hanno debuttato il primo novembre (su Fox, in versione "tagliata"), con replica il 3. Protagonisti, come è chiaro dal titolo che nella sigla in modo efficace fa apparire prima la scritta “dead” e poi “walking”, sono i morti che camminano, gli zombie. Un vice sceriffo del Kentucky, Rick Grimes (Andrew Lincoln) viene colpito da un pallottola. Il suo risveglio è in ospedale, in un futuro apocalittico, circondato da macerie e corpi in decomposizione, con mosche e vermi che banchettano. Pochi sono i vivi - incontra un padre e un figlio, e un gruppo di sopravvissuti, fra cui il suo ex-collega che ora sta con sua moglie Lori (Sarah Wayne Callies, Prison Break), alla cui ricerca si mette lui, cerca invano di contattare altri. Molti sono i morti viventi, scarnificati e putrescenti, con lo sguardo vuoto e la camminata faticosa e disarticolata, ma affamati di carne e feroci. Il solo modo di fermarli ed evitare il loro morso è sparare loro in testa, cosa che in modo molto esplicito si vede fare più e più volte.

Al cinema, come ha ricordato Barbara Maio in un suo recente post, agli zombie ci ha pensato soprattutto George Romero; in TV, di recente, si sono fatti vedere nella casa del Grande Fratello nella acclamata serie britannica Dead Set, dove sono stati indiscussi protagonisti. Ideato, scritto e diretto (almeno il pilot) da Frank Darabont (The Shawshank Redempition - Le ali della libertà), anche produttore esecutivo insieme a  Gale Anne Hurd (Terminator, Aliens), The Walking Dead come sensazione mi ha richiamato soprattutto La Strada di Cormac McCarthy, Cecità di José Saramago e Survivors della BBC.

La cifra stilistica più marcata è quella di una forte visualità, con effetti speciali molto convincenti, e per converso c’è un tessuto sonoro e verbale minimale: la musica è quasi assente, il dialogo si riduce a pochissime conversazioni. Contenutisticamente gli zombie si prestano sempre ad una lettura metaforica, con tematiche legate alla sopravvivenza e alla propria e altrui umanità. Qui, da notare, almeno in partenza, ci sono anche un fortissimo ed esplicito maschilismo e una marcata misoginia.

lunedì 1 novembre 2010

SISTER WIVES: un reality sulla poligamia


Sister Wives è un reality in 7 puntate (di cui la prima di un’ora, le altre di mezz’ora al lordo della pubblicità), andato in onda sulla rete americana TLC dal 26 settembre 2010 al 17 ottobre 2010, con la regia di Timothy Gibbons, che ha come protagonista una famiglia poligama dello Utah: Kody Brown è il marito, un rappresentante nel campo della pubblicità; Meri è la sua prima moglie, sposata venti anni fa, dalla quale ha una figlia di 14 anni; Janelle è la seconda moglie, sposata 17 anni fa, dalla quale ha 6 figli; Christine è la terza moglie, sposata 16 anni fa, dalla quale ha 5 figli, più un’altra in arrivo all’inizio della serie, che viene partorita proprio nel corso delle puntate; Robyn è solo fidanzata con Kody all’inizio, ma durante il corso delle puntate le veniamo venir presentata al resto della famiglia, fino a diventare la quarta moglie per la fine della prima stagione, in un ricevimento che per loro è una sorta di ufficiale uscita allo scoperto. Il reality, che ha avuto un buon successo di pubblico, è stato confermato per una seconda stagione.  

In TV la poligamia ha come punta di diamante l’eccellente serie Big Love, ma in quel caso si tratta di fiction. Qui invece è la prima volta che si tratta questo tema all’interno di un reality. I Brown, nel condurre questo stile di vita, ne fanno dichiaratamente una scelta d’amore e di fede. Sono una famiglia di mormoni fondamentalisti - da cui si dissociano altri mormoni (la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni) per cui vi è un divieto di poligamia - che hanno deciso ci  farsi filmare e di raccontare la propria realtà per il fatto che sono consapevoli che si tratta di una cultura nascosta (per altro piuttosto diffusa, in alcuni stati americani) che vogliono portare alla luce. La vivono con gioia e con convinzione e non vogliono più essere costretti a vivere la loro vita in segreto. Ciascuno dei “protagonisti” nella sigla di apertura viene presentato con una propria tagline: credo in questo stile di vita, rende ciascuno di noi migliore (Meri), mi aspettavo che ci sarebbero state altre mogli, penso che ci sia spazio per tutti (Janelle), mi piacciono le mogli sorelle, volevo una famiglia, non volevo solo un uomo (Christine), l’amore dovrebbe venire moltiplicato, non diviso (Kody). 

La poligamia è illegale negli Stati Uniti, e nella presentazione del programma prima della messa in onda questo è stato ripetuto più volte, anche per rendere chiaro che nel mostrarsi nel loro stile di vita i Brown corrono il rischio di essere perseguiti penalmente, e Kody e le sue mogli potrebbero rischiare parecchi anni di carcere. Kody è legalmente sposato solo con la prima delle mogli, e con le altre esiste solo un matrimonio religioso, un “impegno”, tuttavia la legge dello Stato dello Utah considera bigamia non solo il caso di matrimonio legale, ma anche quello di convivenza, e nel caso di convivenze prolungate negli USA si può ricadere nel “matrimonio per il common law”, una sorta di matrimonio di fatto. Quindi il rischio legale è effettivo, tanto che la produzione ha contattato il procuratore generale dello Stato alcuni mesi prima che la serie andasse in onda, per sincerarsi che non ci sarebbero state conseguenze. Non si sono sentiti di garantirlo, ma di norma i poligami non vengono perseguiti a meno che non ci siano situazioni di abuso nei confronti dei minori o di traffico di minori. In caso di incriminazione, che tutt’ora non è esclusa, Jonathan Turley, un costituzionalista noto per la sua posizione contro le leggi anti-poligamia, ha già pronta la difesa. I Brown in ogni caso sono disposti a correre questo rischio, perché ritengono sia importante abbattere i pregiudizi nei confronti delle famiglie come la loro, mostrando come possa essere una famiglia amorevole e felice.

Pur lasciando molto da esplorare, cosa che spero possa essere fatta in stagioni successive, Sister Wives è stato un interessate sguardo a una realtà per la maggior parte di noi aliena. Quasi uno studio antropologico. Sotto i riflettori ci sono il rapporto fra le mogli-sorelle del titolo, ma ancor di più il rapporto fra ciascuna di loro e il marito. In modo esplicito vengono raccontate le difficoltà logistiche e emotive di una simile condivisione di vite, che è sì scelta, viene ripetuto spesso, ma porta anche lotte interiori di accettazione reciproca che una famiglia monogama non si trova a dover affrontare. Se entrambi i tipi di famiglia hanno alti e bassi, nelle famiglie plurime la necessità di ritagliasi spazi autonomi è più significativa. Accanto alle difficoltà, il reality è bene attento anche a mostrare i piaceri e i vantaggi di una simile scelta: avere una famiglia numerosa su cui contare, sapere di non essere mai soli e non temere per il futuro e l’educazione dei propri figli nel caso in cui qualcuno dei genitori venga a mancare, godere dell’amore reciproco e del supporto reciproco, potersi dividere i compiti… Un grande peso viene dato ala procreazione e nel corso delle puntate non solo assistiamo al parto di Christine, ma sull’argomento si discute parecchio. Uno degli aspetti più interessanti è anche vedere l’attenzione con cui si ascoltano, mentre si confessano davanti alle telecamere.

Dall’esterno vorrei anche sapere di più sui piccoli dettagli di gestione quotidiana e sulle scelte spirituali che portano a vivere con convinzione una situazione del genere. Se accetto la poligamia, non capisco perché non possano esserci più mariti, oltre che più mogli, e perché ci debbano essere solo rapporti sessuali fra il marito e una delle mogli alla volta e non di tutti con tutti in ogni combinazione e possibile variabile numerica. Dopotutto tutti sono sposati con tutti. Qui però è solo l’uomo che può avere più mogli, e può fare sesso solo con una di loro alla volta. È, appunto, una scelta di fede. Uno dei valori fondamentali di questo programma, oltre a far venire in contatto con una realtà “altra”,  credo sia quello di spingere lo spettatore a chiedersi come si comporterebbe in una situazione del genere e a domandarsi una volta in più in che cosa crede, in che valore e ruolo abbiamo per lui o lei le relazioni d’amore e familiari. Affascinante.