domenica 30 luglio 2017

GOOD GIRLS REVOLT: ispirata a fatti veri


Good Girls Revolt (Amazon) è una serie ambientata fra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ’70 e segue un gruppo di giovani donne che lavorano per una rivista che si chiama “News of the Week” (fittizia, ma ispirata a Newsweek). In quanto donne possono avere solo ruoli di segretarie e ricercatrici, mentre è loro proibito ambire a diventare reporter, sebbene talvolta dimostrino più talento dei giornalisti che affiancano quotidianamente. Quando qualcosa scritto da loro viene pubblicato, è comunque con il nome di un uomo. Per questa ragione si organizzano e decidono di fare causa al giornale (1.10) e di rivendicare i propri diritti. Le vicende sono ispirate a fatti veri e incorporano personaggi reali, come Nora Ephron (Grace Gummer, Mr Robot).

Lo spirito ultimo della serie può essere inferito dal discorso (1.06) che una giovane avvocatessa nera, Eleanor Holmes Norton (realmente esistente e interpretata da Joy Bryant, Parenthood), fa a una delle impiegate, Denise (Betty Gabriel),  che, nera, non vorrebbe partecipare alla causa:
“Capisco che senti che questa non è la tua battaglia, ma sorella, sono qui per dirti che lo è. Vedi, queste donne hanno una cosa molto importante in comune con noi: sono cittadine di seconda classe. E io e te sappiamo esattamente che cosa si prova, non è vero? Trattenuta dal tuo pieno potenziale, pagata meno di quello che vali, trattata con superiorità, ti viene detto di stare zitta, di stare al tuo posto. Queste donne vivono in una scatola proprio come te, perciò non farti ingannare perché la loro scatola è un po’ più comoda della tua. È sempre una scatola. E il solo modo in cui ognuna di noi riuscirà ad evadere da questa scatola è se rimaniamo unite, perché quando i cittadini di seconda classe del mondo stanno l’uno a fianco dell’altro, non l’uno contro l’altro, è allora che cambi il mondo. Perciò, quando aiuti queste donne, Denise, la persona che liberi è te stessa”.

Con un tono quieto, quotidiano, minuto e molto poco glamour, seguiamo prevalentemente tre giovani donne che hanno, ciascuno a modo proprio, un risveglio della propria consapevolezza. Patti Robinson (Genevieve Angelson), che più di tutte sogna di diventare una giornalista a tutti gli effetti, magari inviata in Egitto, lavora sodo per dimostrare quello che vale; ha una storia con Douglas (Hunter Parrish), ma seduce e si lascia sedurre dal capo del giornale, Chris Diamantopoulos (Evan Phinnaeous ‘Finn’ Woodhouse, Episodes), sposato, ma di fatto più dedito al lavoro che alla vita matrimoniale. Cindy (Erin Darke), addetta a scrivere le didascalie, è intrappolata in un matrimonio infelice ed è talmente abituata a venire ignorata  - il marito legge anche a tavola mentre lei gli parla e la tratta come una serva e basta, le pratica un foro sul diaframma, nonostante il loro accordo di non avere figli immediatamente… – e solo una relazione extraconiugale sul lavoro le fa scoprire che può pretendere di più. Jane Hollander  (Anna Camp, The Good Wife) è la fidanzata sempre perfetta che vede il lavoro come una tappa prima dell’inevitabile matrimonio, ma presto si rende conto che vuole diventare una donna in carriera.
 
La serie, ideata da Lynn Povich sulla base di un libro dallo stesso titolo, e non confermata per una seconda stagione, si fa sempre più pregnante e densa con il procedere delle puntate. Nel descrivere la situazione femminile dell’epoca, ed eventualmente il sessismo, non si mostrano elementi eclatanti, ma una bruciante quotidianità: Patti è preoccupata che le nozze della sorella significhino  che a lei d’ora in poi aspetti solo un futuro “a servizio” del marito (1.02); vengono incoraggiate a scoprire quanto guadagnino più di loro gli uomini, a parità di lavoro (1.06); gli uomini dettano come si devono vestire le donne (1.07) – a Patti viene permesso di venire al lavoro in pantaloni, la prima a farlo, solo perché è il suo venticinquesimo compleanno, ma la si invita a non rifarlo, a Cindy il marito non permette di indossare l’abito sexy che voleva mettere a una festa; tutte fanno una colletta per un l’aborto di una di loro che ha già figli e per cui averne un altro sarebbe problematico (1.09)…Ci si accorge senza sforzo di quanta strada è stata fatta da allora, e allo stesso tempo quanto ancora attuali siano certe problematiche e rivendicazioni.

Sebbene la serie sia indubbiamente intrisa di spirito femminista, in tanti piccoli dettagli, questo è organico e naturale, e non ci si riduce a quello. In  “Strikethrough” (1.06) ad esempio, in occasione dello sciopero dei postini, Jane accompagna Sam (Daniel Eric Gold) per capire di prima mano la situazione. Prendono alcune lettere non recapitate e le consegnano loro stessi ai destinatari. Una di queste è una donna che ha perso qualcuno in Vietnam. Sam potrebbe intervistarla, visto che sta scrivendo un pezzo su quest’argomento, ma decide di non farlo per rispetto del dolore di quella persona: non puoi aggiustare la situazione, farla dimenticare o migliorarla, puoi solo appunto portare rispetto.

Se la partenza non è stata sfavillante, e in corso di via ci sono state debolezze, a chiusura di stagione ci si rammarica che non si sia riusciti, come si è provato, a salvare una serie che aveva molto da dire.   

mercoledì 19 luglio 2017

TREDICI: le ragioni di un suicidio


ATTENZIONE SPOILER. In 13 reasons why (su Netflix, graficamente scritto come “Th1rteen R3asons Why”), diventato semplicemente Tredici in italiano, Hannah Baker (Katherine Langford) è un’adolescente che si è appena tolta la vita. Dietro di sé ha lasciato, con un gusto un po' retrò, una serie di audiocassette da lei registrate, in cui ad ogni lato del nastro accusa per la sua scelta un diverso compagno di scuola. A turno le persone vengono istruite ad ascoltare quello che lei ha detto, seguendo anche una mappa e, dopo aver sentito tutto, a passare i nastri alla persona successiva. Ora è il turno – e attraverso di lui il nostro - di Clay Jensen (Dylan Minnette), l’undicesimo, che lavorava con lei come maschera in un cinema e che era innamorato di lei. La cosa lo sconvolge e ascolta tutto in piccole dosi, fra titubanze, desiderio di parlarne con altri,  dubbi su come decidere di comportarsi. A sostenerlo c’è l’amico Tony (Christian Navarro). Hannah dice la verità? Mente? Ogni puntata è dedicata a una diversa persona della sua vita: Justin Foley (Brandon Flynn), con cui ha vissuto il suo primo bacio e che poi ha diffuso pettegolezzi sessuali sul suo conto (1.01); i migliori amici con cui si incontrava regolarmente al coffee shop Monet’s e dalla quale si è sentita tradita, Jessica Davis (Alisha Boe) e Alex Standall (Miles Heizer, Parenthood) – 1.02 e 1.03; Tyler (Devin Driud) il fotografo dell’annuario scolastico che le faceva stalking (1.04); Courtney (Michele Selene Ang), la ragazza apparentemente sempre gentile che ha sparlato di lei pur di non rivelare di essere lesbica (1.05); Bryce Walker (Justin Prentice) che l’ha violentata (1.12)... Intanto i genitori di lei, Olivia e Andy (Kate Walsh e Brian D’Arcy James), che non hanno nemmeno ricevuto un biglietto d’addio, disperati, fanno causa alla scuola, perché hanno ragione di credere che la figlia fosse vittima di bullismo. Tutti si chiedono quanto conoscessero la ragazza.

Tratta dal libro per giovani adulti “Tredici” di Jay Asher (Mondadori), e sviluppata per la TV da Brian Yorkey (che nel 2010 come drammaturgo ha vinto il Pulitzer), la serie prima facie parla di suicidio. Ed è indubbio che questo sia uno dei temi trattati. Il liceo frequentato dalla ragazza è sconvolto dall’evento, gli studenti vengono incoraggiati a parlare dell'argomento e genitori, insegnanti e studenti lo affrontano in più occasioni e in più modalità. La serie però, di fatto, affronta altre tematiche. Una è quella della banalità delle azioni quotidiane e di come possono portare delle cicatrici profonde per qualcuno che è vulnerabile. Di come le micro-aggressioni giornaliere, se non gestite, possano diventare qualcosa di mastodontico. Del potere dei segreti, dei pettegolezzi, delle parole. Hannah aveva apparentemente una vita normale, senza particolari problemi, sono proprio questi piccoli atti che si accumulano l'uno sull'altro ad averla distrutta. Non è colpa di nessuno ed è colpa di tutti. E si è trovata isolata.

Il tema di fondo è lo stupro, sono le violenze e le molestie verbali e sessuali.  Anna Silman (The Cut) dice bene quando osserva che “il messaggio che il programma riesce davvero a trasmettere ha a che fare con la misoginia: come la persistente oggettificazione può erodere l’autostima di una donna, e dei molti modi in cui falliamo nei confronti delle giovani donne nel propagandare una cultura del silenzio. (…) Il programma prende molti dei termini di moda che in questo momento turbinano nello spirito del tempo della cultura giovanile americana – mascolinità tossica, cultura dello stupro, far impazzire qualcuno, cyber bullismo, slut-shaming – e mostra come sono messi in scena nei corridoi della scuola, perpetrati da una gamma di complicati teen-ager che trascendono gli usuali archetipi da spogliatoio”. Viene ben illustrato come il peso dello status e del potere di qualcuno può avere effetto sugli altri e di come la “passività individuale e la negazione di gruppo” possa offrire protezione a predatori e facilitatori.  

Nonostante qualche voce fuori dal coro, la maggioranza ha amato e apprezzato la serie. Uno degli aspetti più interessanti per me è come si passi di continuo fra il momento attuale e i ricordi di cose avvenute nel passato quando la protagonista era in vita. Questo avviene costantemente, ma l’aspetto originale è il fatto che i ricordi nascano da una sorta di straniamento del protagonista maschile che forzatamente e dolorosamente rievoca situazioni del passato, che vede in una nuova luce, o che vorrebbe anche dimenticare o che vorrebbe aver vissuto in modo diverso. Questa tecnica apparentemente trita di costanti flashback è proprio resa fresca da questa associazione di recupero della memoria da parte del personaggio. E il senso di perdita è proprio stato costruito su questa modalità apparentemente ingenua. Hannah poi, come narratrice inaffidabile, riesce a trasmettere bene il processo di soggettivizzazione delle esperienze. E trasporta lo spettatore in un percorso di empatia più che di conoscenza (Silman).  

C’è chi ha lamentato il fatto che la serie renderebbe affascinante il suicidio. Non mi sembra proprio. Al di là dell’opportunità di avvertire il pubblico del tipo di contenuto che si sta per affrontare, e dei riferimenti a cui rivolgersi se si stesse pensando di farla finita, aggiunti poi da Netflix in apertura delle puntate e sicuramente essenziali, si fa un ottimo lavoro nel focalizzare la conversazione su un tema che storicamente è sempre stato molto difficile affrontare proprio per timori di emulazioni. L’obiettivo qui è proprio quello di non nascondere la testa sotto la sabbia e far finta che il problema non esista, quando invece è così rilevante. Se legittimamente si potrebbe impedirne la visione a un pubblico eccessivamente giovane, penso che sarebbe proprio uno di quei programmi che andrebbero guardati a scuola e discussi, con insegnanti e genitori.  

Anche la resistenza di alcuni per una seconda stagione, già confermata, motivata dal fatto che la serie avrebbe già detto tutto quello che c’era da dire, non la condivido. Potenzialmente c’è ancora molto terreno inesplorato. 

venerdì 14 luglio 2017

Nomination agli EMMY 2017


Sono state annunciate le nomination agli Emmy, giunti alla loro 69esima edizione. Potevano venir nominati i programmi andati in onda fra il 1° giugno 2016 e il 31 maggio 2017. I premi verranno consegnati il 17 settembre. Il 16 dello stesso mese saranno consegnati quelli per le categorie delle “Creative Arts”.

Saturday Night Live e Westworld hanno ricevuto il maggior numero di nomination (22) in tutte le categorie, seguiti da Stranger Things e FEUD: Bette and Joan (18) e Veep (17). Ad avere le maggiori nomination per piattaforma sono state: HBO (110), Netflix (91) ed NBC (60).

Sotto trovate la lista dei nominati per alcune delle principali categorie. Per la lista completa dei nominati, vedete questo link.  

Miglior drama

“Better Call Saul” (AMC)
“The Crown” (Netflix)
“The Handmaid’s Tale” (Hulu)
“House of Cards” (Netflix)
“Stranger Things” (Netflix)
“This Is Us” (NBC)
“Westworld” (HBO)

Miglior attrice protagonista in un drama

Viola Davis (“How to Get Away with Murder”)
Claire Foy (“The Crown”)
Elisabeth Moss (“The Handmaid’s Tale”)
Keri Russell (“The Americans”)
Evan Rachel Wood (“Westworld”)
Robin Wright (“House of Cards”)

Miglior attore protagonista in un drama

Sterling K. Brown (“This Is Us”)
Anthony Hopkins (“Westworld”)
Bob Odenkirk (“Better Call Saul”)
Matthew Rhys (“The Americans”)
Liev Schreiber (“Ray Donovan”)
Kevin Spacey (“House of Cards”)
Milo Ventimiglia (“This Is Us”)

Miglior attore non protagonista in un drama

John Lithgow (“The Crown”)
Jonathan Banks (“Better Call Saul”)
Mandy Patinkin (“Homeland”)
Michael Kelly (“House of Cards”)
David Harbour (“Stranger Things”)
Ron Cephas Jones (“This Is Us”)
Jeffrey Wright (“Westworld”)

Miglior attrice non protagonista in un drama

Ann Dowd (“The Handmaid’s Tale”)
Samira Wiley (“The Handmaid’s Tale”)
Uzo Aduba (“Orange Is the New Black”)
Millie Bobby Brown (“Stranger Things”)
Chrissy Metz (“This Is Us”)
Thandie Newton (“Westworld”)

Miglior comedy

“Atlanta” (FX)
“Black-ish” (ABC)
“Master of None” (Netflix)
“Modern Family” (ABC)
“Silicon Valley” (HBO)
“Unbreakable Kimmy Schmidt” (Netflix)
“Veep” (HBO)

Miglior attore protagonista in una comedy

Anthony Anderson (“Black-ish”)
Aziz Ansari (“Master of None”)
Zach Galifianakis (“Baskets”)
Donald Glover (“Atlanta”)
William H. Macy (“Shameless”)
Jeffrey Tambor (“Transparent”)

Miglior attrice protagonista in una comedy

Pamela Adlon (“Better Things”)
Tracee Ellis-Ross (“black-ish”)
Jane Fonda (“Grace and Frankie”)
Lily Tomlin (“Grace and Frankie”)
Allison Janney (“Mom”)
Ellie Kemper (“Unbreakable Kimmy Schmidt”)
Julia Louis-Dreyfus (“Veep”)

Miglior attore non protagonista in una comedy

Alec Baldwin (“Saturday Night Live”)
Louie Anderson (“Baskets”)
Ty Burrell (“Modern Family”)
Tituss Burgess (“Unbreakable Kimmy Schmidt”)
Tony Hale (“Veep”)
Matt Walsh (“Veep”)

Miglior attrice non protagonista in una comedy

Kate McKinnon (“Saturday Night Live”)
Vanessa Bayer (“Saturday Night Live”)
Leslie Jones (“Saturday Night Live”)
Anna Chlumsky (“Veep”)
Judith Light (“Transparent”)
Kathryn Hahn (“Transparent”)


Miglior Limited Series

“Big Little Lies” (HBO)
“Fargo” (FX)
“Feud: Bette and Joan” (FX)
“The Night Of” (HBO)
“Genius” (National Geographic)

Miglior attor in una limited series

Riz Ahmed (“The Night Of”)
Benedict Cumberbatch (“Sherlock: The Lying Detective”)
Robert De Niro (“The Wizard of Lies”)
Ewan McGregor (“Fargo”)
Geoffrey Rush (“Genius”)
John Turturro (“The Night Of”)

Miglior attrice in una limited series

Carrie Coon (“Fargo”)
Felicity Huffman (“American Crime”)
Nicole Kidman (“Big Little Lies”)
Jessica Lange (“Feud”)
Susan Sarandon (“Feud”)
Reese Witherspoon (“Big Little Lies”)


Miglior Film TV

“Black Mirror: San Junipero”
“Dolly Parton’s Christmas Of Many Colors: Circle Of Love”
“The Immortal Life Of Henrietta Lacks”
“Sherlock: The Lying Detective (Masterpiece)”
“The Wizard Of Lies”

Miglior Variety Talk

“Full Frontal With Samantha Bee” (TBS)
“Jimmy Kimmel Live!” (ABC)
“Last Week Tonight With John Oliver” (HBO)
“Late Late Show With James Corden” (CBS)
“Real Time With Bill Maher” (HBO)
“The Late Show with Stephen Colbert” (CBS)

Miglior serie Variety a Sketch

“Billy On The Street” (truTV)
“Documentary Now!” (IFC)
“Drunk History” (Comedy Central)
“Portlandia” (IFC)
“Saturday Night Live” (NBC)
“Tracey Ullman’s Show” (HBO)

Miglior reality - competizione

“The Amazing Race” (CBS)
“American Ninja Warrior” (NBC)
“Project Runway” (Lifetime)
“RuPaul’s Drag Race” (vh1)
“Top Chef” (Bravo)
“The Voice” (NBC)

venerdì 7 luglio 2017

THE LEFTOVERS: la terza e ultima stagione


ATTENZIONE SPOILER. È terminata su una nota positiva la terza e ultima stagione di The Leftovers il sui senso ultimo, attraverso Kevin (Justin Theroux) e Nora (Carrie Coon) che ora anziani si ritrovano, è stato quello di dire che, anche se non li dimenticheremo mai, dobbiamo avere il coraggio di lasciarci alle spalle chi è scomparso ed esserci gli uni per gli altri nel presente, amandoci al meglio delle nostre capacità. E in modo davvero geniale si è riusciti sia a dare una spiegazione di tutto, sia allo stesso tempo di lasciare il sospetto che nulla sia vero. Quello che conta è che si scelga di crederci. Questo in fondo è il senso della religione, sembrano voler dire, non conta se sia vero o no, conta se ci si creda o no. La disamina dello spirito religioso è in fondo una delle correnti forti sottese al programma. E l’intera stagione è stata incentrata sulle storie – religiose o meno che siano - che ci raccontiamo per riuscire a dare un senso alla vita.

Nora la vediamo mentre si appresta a eseguire una procedura che la catapulterà nella stessa dimensione dove si ritiene sia finito il 2% della popolazione a suo tempo scomparsa. Il vano che le permetterà di trasportarsi sta per riempirsi di uno speciale liquido che pare acqua, e all’ultimissimo istante le sentiamo gridare “s...”. E lì si stacca la scena. Quella esse sta per “stop”? Ha deciso di rinunciare all’ultimo momento?  Quando la rivediamo anni dopo,  ormai incanutita, racconta a Kevin di essere andata dall’altra parte, di aver trovato un mondo speculare in cui era scomparso il 98% della popolazione. Ha visto il lutto generale. Ha ritrovato i suoi figli e suo marito, ma non si è voluta rivelare perché si è resa conto che ormai avevano una loro nuova vita, felice per quel che poteva esserlo. Ha ricontattato lo scienziato responsabile della tecnologia che l’ha portata lì per farsi rimandare indietro. È vera la sua storia o è frutto della sua immaginazione o è comunque qualcosa che racconta anche se stessa per sopravvivere? Kevin decide di crederle, sta a noi decidere se vogliamo fare altrettanto.

Gli autori sono stati autenticamente geniali proprio perché non solo sono riusciti a lasciare nell’incertezza con un espediente sufficientemente banale in apparenza, ma anche perché in quella stessa incertezza è trattenuto e condensato il significato ultimo della serie tutta. “Let the Mistery be” (Lascia che il mistero sia) di Iris DeMent  dice la canzone che è stata la sigla della seconda stagione e che viene ripresa in chiusura di una terza che ha deciso ad ogni puntata di cambiare tema musicale.  (La musica è stata sempre usata in modo sublime, e sull’ultima puntata si legga il lunghissimo, ma appassionante articolo di Vulture).

The Leftovers è talmente densa e concettosa, allucinatoria e perennemente ai limiti dell’onirico, da rendere mastodontico ogni tentativo di esegesi che non sia disposto ad accuratamente analizzare ogni puntata ed ogni passaggio. Non ha senso e ne ha completamente. I riferimenti religiosi sono numerosi, si pensi anche solo al diluvio universale che è stato un po’ il filo conduttore dell’ultima stagione ambientata in Australia,  alla capra della season finale, su cui i partecipanti ad una festa caricano delle collane che rappresentano i propri peccati, e al fatto che iniziamo questo arco con “il libro di Kevin” e lo chiudiamo con “il libro di Nora”. È una serie difficile, criptica, degna erede di quella angoscia esistenziale che ha caratterizzato già Lost. E non è stata da meno nella stagione conclusiva, con puntate indimenticabili come “Crazy Whitefella Thinking” (3.03), come “It’s a Matt, Matt, Matt, Matt World” (si veda qui, e su cui si potrebbe innestare tutta una riflessione su autorialità e critica) o come l’apocalittica “The Most Powerful Man in the World (And His Identical Twin Brother)”, risposta-prosieguo alla celebrata puntata “International Assassin” (2.08). Il cast è superbo, anche quando è costretto ad autentici tour de force.

È un elusivo vangelo quello che mettono in scena Damon Lindelof e Tom Perrotta. Doloroso e poetico, che va vissuto più che analizzato. È arte.