mercoledì 27 luglio 2022

FIRST KILL: ha poco mordente

First Kill (Netflix) è quanto di più si possa avvicinare a una versione adolescente e lesbica di Buffy o The Vampire Diaries, anche se senza lo spessore della prima o lo spirito tormentato e malandrino del secondo, e con un pizzico di Romeo e Giulietta, con le famiglie che si oppongono all’amore delle due protagoniste (in una puntata a scuola mettono anche in scena la tragedia, e pure in chiusura ci sono dei riferimenti). Ha indubbiamente un target molto giovanile e la chemistry, l’intesa fra le due protagoniste, non è qualcosa di magnetico, nonostante nella sigla si canti che sono meglio di Edward e Bella (sapete, quelli di Twilight, nel caso foste vissuti in una caverna negli ultimi anni o siate decisamente di un’altra generazione), però ha una mitologia molto bene definita – forse anche troppo ricca per essere affrontata tutta in un colpo – scivola via senza difficoltà, con momenti camp e condita anche da una pimpante colonna sonora pop.

Siamo a Savannah, in Georgia, negli USA. Juliette Fairmont (Sarah Catherine Hook) - Giulietta appunto - è una vampira adolescente che fino ad ora ha tenuto a bada l’esigenza di nutrirsi di sangue grazie a delle pillole, ma la sua famiglia la spinge a fare la sua prima uccisione (la first kill del titolo) in modo da entrare ufficialmente in società. La sua infatti è una famiglia di vampiri molto potente: sono “originari”, “Legacy vampires” in originale, discendenti matrilineari di Lilith, la prima compagna di Adamo, che scelse di farsi mordere dal Serpente nel Giardino dell'Eden. Sono “diurni” perché possono camminare alla luce del sole, il loro sangue ha poter particolari e non è facile ucciderli come altri vampiri. Juliette non ne vuole sapere, preferirebbe non ammazzare nessuno, e la madre di Juliette, Margot (Elizabeth Mitchell, Lost), la comprende anche, perché contro il volere della propria madre ha sposato a suo tempo Sebastian (Will Swenson), ora procuratore della città, che era ancora un umano e non un originario come lei. Insieme hanno anche avuto un’altra figlia, Elinor (Gracie Dzienny), sorella maggiore di Juliette, che invece si gode molto i poteri che altri della sua famiglia non hanno, come cancellare o manipolare i ricordi altrui. Hanno anche un fratello, gemello di Elinor, Oliver (Dylan McNamara), che però è stato ripudiato dalla famiglia.

A scuola, Juliette incontra e si innamora, ricambiata, di Calliope Burns (Imani Lewis), che è al contrario una cacciatrice di mostri. Anche lei deve fare la sua prima uccisione. Si sta allenando da tanto perché fa parte di una famiglia che appartiene alla Gilda dei Guardiani. Ci sono la madre Talia (Aubin Wise) e il padre Jack (Jason R. Moore), il fratello Apollo (Dominic Goodman) e il fratelastro Theseus detto "Theo" (Phillip Mullings Jr), figlio di prime nozze di Jack, che ha visto la madre biologica uccisa da un vampiro davanti a lui quando era bimbo. Di solito Calliope non si affeziona a nessuno, perché seguendo le missioni della famiglia, si sposta spesso di città in città, ma questa volta è diverso.

Basata su un suo omonimo racconto, pubblicato dell'antologia Vampires Never Get Old: Tales With Fresh Bite, V. E. Schwab ha ideato un serie fresca pur utilizzando il più abusato dei personaggi soprannaturali, e se le metafore non sono proprio originalissime, e nemmeno particolarmente approfondite o sottili, ma non vanno mai giù di moda: che cosa fa di qualcuno un mostro, che cosa nei nostri comportamenti è nella nostra natura ed è ineluttabile e che cosa lo scegliamo noi, i peggiori mostri a volte sono quelli che sembrano umani, a combattere i mostri rischiamo di diventare noi stessi tali (e si cita addirittura Nietzsche)… Apprezzabile poi che la famiglia di cacciatori sia nera, soprattutto in un genere che storicamente sotto-rappresenta gli Afro-Americani o comunque non li ritrae in una luce favorevole. Idem per l’omosessualità è stato spesso denunciato come nelle sage di vampiri i personaggi gay vengono uccisi ih maniera numericamente sproporzionata.

Non è bruciante o appassionante come potrebbe sulla base della premessa però. Il passare da nemiche ad amanti di Juliette e Calliope poteva essere un po’ più torturato: entrambe sono sospettose e hanno dei pregiudizi l’una nei confronti dell’altra, e allo stesso tempo imparano a conoscersi e apprezzarsi per gradi, ma non passa molto tempo da quando si incontrano per la prima volta a quando sono disposte a rischiare la vita l’una per l’altra, eppure un desiderio così irresistibile poi non lo si vede, restano un po’ scialbe, al di là di dichiarazioni in senso opposto. Si è davanti ad uno scacciapensieri che ha dietro un canone evidentemente ben pensato, ma manca di mordente.

domenica 17 luglio 2022

RESERVATION DOGS: indigeni americani oggi

Ideato da Sterlin Harjo e Taika Waititi, e realizzato da nativi americani, dal cast alla troupe, Reservation Dogs (di FX on Hulu, in Italia su Star di Disney+), come nessun’altra serie ci mostra una cultura fiera e antica relegata ai margini. I “Cani della Riserva” sono quattro ragazzi adolescenti che vivono in una riserva indiana dell'Oklahoma – sono consapevole che dire “indiano” non è considerato politicamente corretto, ma lo faccio solo nella misura in cui i personaggi si definiscono tali, cosa che mi ha sorpreso. Le scene sono girate interamente nella Nazione Muscogee, e quelle terre da cui sono stati de facto espropriati sono parte dell’identità e si respirano nella loro autenticità.

Bear (D'Pharaoh Woon-A-Tai), Willie Jack (Paulina Alexis), Cheese (Lane Factor), ed Elora (Devery Jacobs) sognano la California, con l’idea di seguire il miraggio di lasciarsi alle spalle la realtà in cui vivono, che vedono come una “discarica”. Un loro comune amico, Daniel, prematuramente scomparso, ha messo loro in testa quest’idea e loro cercano alla meno peggio, anche con atti non proprio legali, di mettere insieme la somma che serve loro per partire. Poi però vogliono essere brave persone, sono teen-agers che stanno cercando di capire chi sono e che ruolo hanno nel mondo. Sono apparentemente duri, ma un po’ persi e in cerca di direzione, in lotta con una banda rivale, gli NDN Mafia.   

Se questa premessa è il motore che li muove, narrativamente però quella è solo una scusa per incursioni nella vita di queste persone, gettate a lato e schiacciate dagli eventi del passato, ma con una storia e un’umanità che qui palpita a ogni passaggio, con un senso di comunità e di legami forti, oltre le apparenze.

C’è un’atmosfera indie, quasi documentaristica, disinteressata all’essere vista, umoristica ma appena appena, senza forzature, con qualche incursione nel sovrannaturale, con Bear che ha una sorta di visioni del suo spirito guida, William "Spirit" Knifeman (Dallas Goldtooth), un buffo antenato a cavallo che gli dispensa perle di saggezza o forse, meglio, con la sensazione che vita fisica e spirituale non sono così impermeabili come pragmaticamente finiamo per credere.

Le storie non si concentrano solo sui ragazzi, ma sugli adulti che li circondano e che fanno loro da mentore – l’ufficiale Big (Zahn McClarnon), lo zio Brownie (Gary Famer), mamma Rita (Sarah Podemski), papà Leon (Jon Proudstar) - consapevoli di avere una tradizione forte da tramandare alle nuove generazioni, e una cultura solida, nonostante il disfacimento circostante, dove la superficie racconta il dolore del trauma generazionale della sconfitta indigena. Ne emergono ritratti poetici e intensi che lasciano una sensazione dolce di appartenenza e di resilienza. E se i ragazzi di sentono in trappola e vogliono fuggire, imparano a vedere i motivi per restare e per essere fieri delle proprie radici e della propria identità. 

Negli Stati Uniti la seconda stagione debutta il 3 agosto. 

giovedì 7 luglio 2022

THE TIME TRAVELER'S WIFE: un amore senza tempo

Ho letto nel 2007 “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo”, di Audrey Niffenegger, da cui è tratta l’omonima serie televisiva sviluppata e scritta da Steven Moffat, per cui non posso dire di ricordarlo davvero, ma solo che mi era che mi era piaciuto molto, e mi era sembrato molto romantico. Lo stesso posso dire della serie (HBO Max, in Italia su Sky serie, dal 13 al 27 giugno 2022, con il titolo "Un amore senza tempo”), e mi rammarico che non sia stata rinnovata per una seconda stagione, dopo la prima di 6 puntate. Le recensioni sono mediamente tiepide, ed è vero che non è che abbia chissà quali dialoghi memorabili, ma per me è stata sicuramente un appuntamento solido e godibile.

Henry (Theo James, Sanditon) soffre di un disturbo genetico che lo costringe, contro la propria volontà, a viaggiare nel tempo. Non è chiaro che cosa scateni questi viaggi, ma all’improvviso si ritrova in un’altra epoca, solitamente nell’arco della propria vita, tante volte incontrando sé stesso ad altre età. L’approdo nella nuova annata è piuttosto brutale: si ritrova in costume adamitico, nei luoghi più disparati e pericolosi (magari sulle rotaie di un treno). Le prime cose che deve imparare a fare bene per sopravvivere sono scappare, lottare, rubare. Non diventa un supereroe, né può cambiare alcunché, deve solo sopravvivere.  Non è chiaro nemmeno perché finisca in alcuni momenti e non in altri, ma sembra gravitare verso accadimenti e persone che sono per lui emotivamente significativi. Non è di certo poco doloroso essere costretti a rivedere la morte della propria madre molte e molte volte (1.02) anche se questo significa anche poterla rivedere viva.

Claire (Rose Leslie, Il Trono di Spade) è quella che diventerà “la moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo”, è lei la vera protagonista, ci viene ricordato non solo dal titolo, ma anche apertis verbis da lei stessa, in una delle interviste che le vengono fatte e che sono la modalità attraverso cui accediamo da subito alle loro vicende – “perché l’amore è intensificato dall’assenza?” esordisce l’incipit. E si raccontano…Lei ha conosciuto quello che sarebbe diventato l’amore della sua vita già da bambina, anche se lei non lo sapeva ancora, sebbene si siano incontrati molte volte e lei si sia innamorata fin da allora. Per un lasso di 14 anni però non si sono visti, e quando lei da adulta lo incontra per la prima volta, non ne è affatto impressionata. Non le piace granché, perché non è ancora la persona che è diventato anche grazie a lei.

Non sono fondate le preoccupazioni di chi è rimasto perplesso dall’idea che un uomo adulto faccia visita a una bambina. Harry non sceglie dove andare, ci capita, e da persona matura che vede da bimba la donna di cui è innamorato, si comporta da amico, passando il tempo a chiacchierare e a giocare a dama. Non c’è niente di creepy, di viscido, nel loro rapporto. Certo, c’è una bambina con una cotta per l’uomo che amerà, ma il modo in cui stata costruito il loro innamoramento ha senso in ogni caso. Non siamo in “Uccelli di Rovo”, dove lui aspetta solo che lei cresca. Qui, quando si innamorano, si innamorano da adulti. Semmai da ragazzina, è piuttosto spassoso vedere che a 16 anni è maliziosa a sufficienza per non portargli i vestiti come per loro accordo, per poterselo gustare nudo è un bel vedere non c’è che dire, io ho gradito mentre lui si ritrae conscio dell’inappropriatezza. E ci si gode il fatto che lei non gli abbia mai detto quello che è accaduto quando lei ha compiuto 18 anni, aspettando che sia l’uomo adulto con lei sposato a rendersene conto.

Qui si indagano le interconnessioni fra passato, presente e futuro, il senso dell’assenza e dell’attesa, l’amore e come si costruisce, quello che diventiamo, anche grazie a quell’amore, se ci piaceremmo se incontrassimo i noi stessi del passato o del futuro, che cosa diremmo se potessimo dare dei consigli a noi stessi da giovani, si riflette sul tempo che abbiamo con le persone amate, che è poco. La logistica dei viaggi è ben pensata, ed entrambi i protagonisti sono ben convincenti nelle varie età, pur avendo anche altri interpreti che danno il loro il volto da giovanissimi. Everleigh McDonell da bambina e Caitlin Shorey da pre-adolescente per Clare, e Jason David da bambino e Brian Altemus da adolescente per Henry. Se una qualche perplessità l’ho avuta è stata sullo stupro di lei (che non ricordo se fosse o meno nel libro).

Ho gradito molto che la sigla, che cambia lievemente di puntata in puntata, termini nella prima con la stessa immagine che è stata la copertina del libro, ovvero dei vestiti piegati con sopra un paio di scarpe da uomo accanto a dei piedini con scarpette da bimba.

Esiste anche una versione cinematografica di questa storia, che non ho visto, ma se si è amato il romanzo, non si sbaglia a guardare la serie.