venerdì 5 aprile 2013

VIKINGS: un "Game of Thrones" wannabe


Non mi capacito che Vikings abbia ricevuto addirittura 70 su Metacritic. La mia reazione dopo il pilot è stata: ha fallito il Bechdel test. Le donne sono solo buchi in questo show (perdonate la volgarità). So che cosa non guarderò… Ma, andiamo per ordine.
L’idea di base è intrigante: costruire una serie TV storica ispirandosi alle leggende nordiche dei Vichinghi del primo medioevo e alla mitologia norrena, fondata su una ricca tradizione orale messa poi per iscritto poi nel XIII secolo. Filmata in Irlanda per il canale canadese History, è stata ideata da Michael Hirst (I Borgia, I Tudor), che ha un gusto da giornale tabloid per la storia, un po’ di verità e un po’ di storie romanzate e vagamente scandalose insomma.
Il protagonista è una figura leggendaria in quella cultura,  l’agricoltore e condottiero Ragnar Lodbrok (Travis Fimmel), sposato con Lagertha (Katheryn Winnick),  una ex-shieldmaiden cioè, secondo la mitologia Scandinava, una donna guerriera, dalla quale ha avuto due figli, il più piccolo dei quali Bjorn (Nathan O’Toole) lo segue nelle sue imprese, mentre la sorella più grande rimane con la madre. Ragnar, contro il volere del loro capo, Earl Haraldson (Gabriel Byrne, In Treatment), intende navigare non solo a est, come sono abituati, ma anche in terre sconosciute a sud e ovest – in questo The American Spectator ha criticato la serie come storicamente inaccurata, poiché alle popolazioni dell’epoca le Isole Inglesi erano ben note e il governo vichingo era all’opposto di come lo si mostra qui: contavano libertà e democrazia, mentre autocrazia e centralizzazione erano concetti nuovi, anche se ci sarebbero altre inaccuratezze. In questo suo progetto Ragnar viene sostenuto dall’amico un po’ svitato, ma abile nel costruire imbarcazioni, Floki (Gustaf Skarsgǻrd) e dal fratello Rollo (Clive Standen), personaggio basato sul Rollo storico, che sarebbe diventato duca di Normandia, che nella finzione della storia concupisce la cognata.  Del cast fanno anche parte Siggy (Jessalyn Gilsig, Glee), la moglie del capo vichingo, e il monaco Athelstan (George Blagden), catturato da Ragnar.
La recitazione è senz’altro buona, i dettagli culturali intrigano, e forse sarà una storia di cui apprezzare i conflitti di potere che si notano sull’arco. Il senso di scoperta c’è. Non ho notato tanto il “ritmo glaciale”, la “regia fiacca” e la verbosità che vengono rimproverati da David Wiegand sul San Francisco Chronicle, ma forse perché la pessima (sotto)rappresentazione delle donne ha catalizzato tutta la mia attenzione. Intanto nel pilot saranno loro concessi solo 5 dei circa 45, e che cosa succede in questo tempo? Lagherta viene minacciata da due uomini che vogliono violentarla, in un paio di occasioni viene mostrata a letto con il marito, la seconda volta delle quali gli dice che vuole cavalcarlo, e poi viene “molestata” dal cognato. Per quanto con il marito le scene siano di piacere reciproco, il solo momento in cui fa qualcosa che non sia essere un oggetto in qualcuno infili o voglia infilare dentro il suo coso è quando dice ai bambini di andare a dormire e lasciare gli uomini parlare. E l’altra figura femminile, Siggy, non ha proferito una sola parola in tutto il tempo. Durante una cerimonia di giuramento di lealtà al loro capo di un paio di ragazzini, durante il quale ricevono dei bracciali (“anelli per le braccia” li chiamano in originale), lei li bacia per segnare il loro passaggio fra gli adulti, e la notte, quando il marito si sveglia di soprassalto per un incubo gli mette una mano sul braccio per rassicurarlo. Direi che la mia opinione, così come l’ho espressa all’inizio, è abbastanza motivata.
Vickings insomma da quel che ho potuto vedere è solo un Game of Thrones wannabe, e non ci arriva vicino nemmeno per sbaglio.

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