lunedì 24 settembre 2018

SHARP OBJECTS: feroce e intenso



Dolorosa. Elegante. Quieta. Atroce. Asciutta. Sorprendente. È stata tutto questo l’intensa, pacata miniserie Sharp Objects dall’omonimo romanzo - “Sulla Pelle” in italiano - di Gillian Flynn, anche sceneggiatrice in alcune delle puntate, ma portato sullo schermo da per la HBO da Marti Noxon (Dietland, Buffy) e Jean-Marc Vallée, regista di tutte otto le puntate come era già stato per Big Little Lies.

Siamo a Wind River; una piccola comunità del Missouri. Un giovane donna è stata assassinata e le sono stati tolti tutti i denti, e un’altra è scomparsa, e poi lei pure viene trovata uccisa, e Camille Parker (una Amy Adams che sa essere un nervo scoperto e mostra che vale tutte le 5 nomination agli Oscar ricevute nella sua carriera) è una giornalista che viene mandata dal suo capo-mentore-amico Frank (Miguel Sandoval) a scrivere un reportage sugli eventi perché si tratta della sua città natale, dove ancora risiede la sua famiglia. Camille, che beve come una spugna e ha un passato di intenso autolesionismo –l’intero suo corpo è un groviglio di cicatrici che di è autoinfllitta scrivendosi delle parole sulla pelle e che nasconde sotto gli abiti – con il ritorno a casa deve fare i conti con i demoni riaffioranti del passato, e in particolare con la madre Adora (Patricia Clarckson), che già ha perso una figlia, Marian, in circostanze misteriose, e con la sorellastra adolescente Amma (Eliza Scanlen), che a casa si sottomette al ruolo di santerellina impostale dalla famiglia, ma che, fuori con le amiche nel passatempo cittadino del pattinaggio a rotelle, rivela una capricciosa anima persa più oscura e pericolosa. Oltre al capo della polizia locale (Matt Craven), indaga sul caso il detective Richard Willis (Chris Messina).

ATTENZIONE SPOILER IN QUESTO PARAGRAFO. “Non dirlo alla mamma”, sono le parole pronunciate in chiusura di “Milk” (1.08). Nell’ultimo minuto, per non dire nel’ultimo secondo, Camille capisce che è la sorella l’assassina; e per non lasciare il dubbio che si tratti solo di un suo sospetto, a metà dei titoli di coda finali, si ha un piccolissimo inserto in cui la si vede insieme alle amiche commettere il delitto. Nella puntata precedente (1.07) si era scoperto che era stata invece la madre a causare la morte delle figlia adolescente anni prima. Soffrendo di Sindrome di Munchausen per procura, la avvelenava per potersene prendere cura, come da anni ormai faceva con Amma e prova ora a fare con Camille. 

Non è però tanto il giallo il fulcro di interesse delle vicende, quanto la psiche torturata e l’universo interiore di Camille. I ricordi le affiorano alla memoria come stilettate, in fugacissimi intrusivi frammenti mnemonici che a flashback le compaiono davanti agli occhi come potrebbe accadere a ciascuno di noi. Non c’è un ricordo passato completo e compiuto, ci sono dettagli elicitati da una parola, o un banalissimo stimolo di qualunque altro tipo. È la vita passata che intrude in quella presente e la riempie di significati altri, in questo caso penosi, spesso insopportabili.  

Con un’eleganza anche più raffinata di quella che Vallée ci aveva mostrato in Big Little Lies si scava in emozioni intense e multivalenti e si indaga la difficoltà di creare intimità. Quello che si dice in fondo è come l’essere veramente nudi consista nel rivelare se stessi nella propria vulnerabilità, come sia difficile lasciarla vedere - in questo senso la scena intima fra Camille e John Keene (Taylor John Smith), il fratello della seconda vittima sospettato di averla uccisa, in 1.07 è stata un vero capolavoro -  e come sia difficile prendersene cura - come mostra l’allontanamento di Richard da Camille in chiusura. Rabbia,  manipolazione, negazione, il morso dei problemi mentali, il desiderio di popolarità e i mostri che ne derivano sono in primo piano. Una thriller psicologico feroce che non mola mai la presa.

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