È un
viaggio, prima di tutto metaforico, ma per un paio di puntate anche fisico,
alla ricerca della propria identità personale, culturale, spirituale e sociale
quello che Ramy Yousseff intraprende come autore dell’autotitiolata Ramy (dell’americana Hulu), un tentativo
di scoprire chi è, in che cosa crede e chi vuole essere nella vita, sia come
singolo che nella comunità a cui appartiene. E con una voce distintiva e
originale confeziona quella che per me, almeno per ora, è la miglior serie dell’anno:
non c’è puntata in cui non si venga provocati a pensare, non si rimanga a bocca
aperta per la profondità della riflessione e per la vis comica che permette di
ridere anche nella più inaspettata delle situazioni – chi avrebbe detto che lo
avrei fatto di fronte alla tragica dichiarazione di una adolescente che
minaccia di togliersi la vita (1.08) o che avrei sorriso con partecipe
comprensione dell’affermazione di una donna che lamenta la mancanza di
“misogninia vecchia scuola”. Questa serie ci riesce.
La coordinata principale
mi pare alla fine il disorientamento,
l’essere persi alla ricerca di qualcosa che forse non esiste, o esiste
solo per tasselli che si giustappongono e compongono un mosaico ben diverso da
quello che ci si aspetterebbe. “Sono perso” (1.09) gli dice il cugino ad un
certo punto: lo sono tutti, lo siamo tutti.
Ramy Hassan (Ramy Youssef)
è un musulmano di orgine egiziana che vive in New Jersey, negli Stati Uniti, con
i genitori Farouk (Amr Waked) e Maysa (Hiam Abbass, Succession), amorevoli (lo
chiamano spesso “habibi”) e relativamente permissivi, e con la sorella Dena
(May Calamawy), studentessa universitaria. Lavora, ha delle relazioni, e un
gruppo di amici, fra cui Mo (Mohammed Amer) e Ahmed (David Merheje), con il suo
stesso background religioso, e Steve (Stephen Way), che ha una grave disabilità
dovuta ad una forma di distrofia muscolare ed è sulla sedia a rotelle e
necessita spesso anche del ventilatore, che conosce fin da ragazzino, quando in
seguito agli attacchi dell’11 settembre gli amici che precedentemente
frequentava lo allontanano: “sei un terrorista?” gli chiedono dopo che non si
sentono di fidarsi più di lui visto che quello che racconta sulle sue abitudini
masturbatorie, che non ha ancora propriamente sviluppato e capito, non li
convincono (1.04).
Ramy è un millennial che
cerca di essere una brava persona. Solo, non ha ancora capito del tutto che
cosa vuole dalla vita e che peso vuole che abbiano le proprie radici. È
diviso fra la comunità religiosa e la
vita laica intorno a sé e si sente non del tutto appropriato in nessuna delle due,
lacerato e frastornato da ipocrisie e da valori contraddittori. Intraprende un
viaggio in Egitto (1.09; 1.10) per comprendere meglio la cultura da cui
proviene, per trovarsi ancora di più a brancolare nel deserto in preda ad
allucinazioni e vedere che la vecchia realtà così come l’aveva immaginata alla fine
è morta.
Molte sono le tematiche
affrontate e prima fra tutte l’essere diversi, esotici, e per questo isolati,
soli: lui si sente spinto in direzioni opposte di fronte a “tentazioni” che gli
si propongono e non vorrebbe seguire, come bere, drogarsi, fare sesso durante il
Ramadan – trova il tutto o il nulla, ma cerca un equilibrio; la sorella soffre
la discriminazione legata al fatto di essere una donna e, ancora vergine, è
perseguitata dagli insegnamenti del padre che da quando era bimba ha dipinto il
sesso come il peccato peggiore, con conseguenze apocalittiche – “un uomo e una
donna non sono mai soli, fra loro c’è sempre il diavolo” (1.06) è la prima cosa
con cui aveva esordito quando era ancora in età da avere le carte dei Pokemon
come interesse principale; la madre non regge la solitudine ora che i figli son
grandi e il marito sempre al lavoro e non si sente più desiderata e cerca, inventandosi
un lavoro, un contatto umano che possa dare nuovo senso alle sue giornate (1.07);
l’amico Steve è fino troppo consapevole che la disabilità gli limita fortemente
le possibilità di relazioni sentimental-sessuali e vorrebbe poter cogliere le
poche occasioni che ha…Ogni puntata, per ragioni diverse, è un piccolo
gioiello.
Ramy è concentrato sulla
propria ricerca di autenticità e di senso della vita, ma non in modo così
egoico da non vedere quella degli altri, da non vedere ad esempio che certe
frasi che i genitori gli ripetono hanno il valore apotropaico di scongiurare
quello che temono, vede ed è anche spaventato dalle difficoltà altrui verso cui
mantiene un distacco comunque empatico. Fatica invece a riconoscere all’inizio le
stesse difficoltà in un mondo altro, che si aspetta più “vero”, l’Egitto, per
rendersi poi conto che cambia la realtà – è un luogo in cui è percepito come
potenzialmente più pericoloso bere un bicchiere d’acqua di rubinetto che farsi
una pista di coca-, ma le difficoltà sono le stesse.
Ramy è celebrata
per essere la prima serie su una famiglia arabo-musulmana, fatta di persone
normali, non di percepiti potenziali nemici dell’occidente. Per alcuni aspetti siamo
un po’ sullo stesso terreno di Master of
None, ma raggiunge vertici maggiori perché è meno “fighetto”, meno staccato
dalla cultura di origine, è più disorientato. Leggero e divertente, ma allo
stesso tempo acuto e reale. Notevole davvero. È stato rinnovato per una
seconda stagione.
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