venerdì 29 giugno 2012

La tavola rotonda degli Emmy di THR: gli showrunner delle comedy



La tavola rotonda degli Emmy di The Hollywood Reporter degli showrunner delle comedy si è svolta quest’anno con Carter Bays (How I Met Your Mother), Bill Prady (The Big Bang Theory), Liz Meriwether (New Girl), Paul Lieberstein (The Office), Steve Levitan (Modern Family) e Emily Spivey (Up All Night).
Molti, come sempre, gli argomenti trattati: la cosa più difficile e inaspettata dell’avere un programma comico proprio, quanto della loro vita c’è in quello che scrivono, se si preoccupano che la gente si stufi di quello che portano in scena,i commenti che ricevono, quanto sono cambiati i personaggi del tempo, come si lavora con un altro showrunner – una delle risposte? Si fa come negli Hunger Games! – l’interazione con i fan, come affrontano lo stress, se usano il fatto di essere famosi per ottenere dei vantaggi, i sogni che fanno, come comportarsi sul set…

Sotto, il video:

giovedì 28 giugno 2012

ANN CURRY lascia il TODAY SHOW


Dopo 15 anni di permanenza Ann Curry ha annunciato oggi che lascia il Today Show. Mi dispiace perché era brava e competente, molto dolce e per una volta non la solita caucasica. Già da qualche giorno girava voce che intendevano sostituirla. Savannah Guthrie pare sia la probabile sostituta. La posizione le è stata offerta, quanto meno. Ann si è commossa dando l’addio ai telespettatori.

QUEER AS FOLK: una guida agli episodi - 1.07


Episodio 7 (su YouTube in tre segmenti: primo, secondo, terzo).

 

Scritto da: Russell T. Davies
Regia: Sarah Harding

Plot. Vince compie 30 anni e Stuart ha organizzato per lui una festa a sorpresa, a cui lui arriva già informato da Cameron. Stuart gli rovina a sua volta la sorpresa rivelandogli in anticipo il regalo di compleanno che questi ha in serbo per lui: un’auto, piccola, usata, ma “proprio un regalo serio”. Tornato dal giro di prova, Vince, attorniato da tutti i suoi amici, trova Stuart con la sua sorpresa: un robot telecomandato di K9. Vince va in visibilio e fa le feste a Stuart, che mette così in scacco Cameron. Arriva alla festa Rosalie, invitata appositamente da Stuart che le presenta Cameron rivelandole così che Vince è gay. Rosalie lascia la festa sentendosi presa in giro e Vince se ne va, lasciando a Stuart il suo regalo e interrompendo con lui ogni rapporto. Hazel capisce che è stata una mossa volontaria da parte di Stuart per “liberare” Vince. Stuart, a cui Lisa lo ha chiesto come piacere, usa Nathan, con il suo consenso, perché riveli all’immigrazione (inviando delle lettere) che Romey e Lance si sposano solo perché lui abbia la cittadinanza.

Commento. La puntata parte con la stessa canzone con cui si è chiusa la precedente: c’è un collegamento infatti fra ciò che Cameron e Stuart si sono detti e quanto accade in questo nuovo segmento narrativo. C’è un primo piano per il tiro alla fune fra Stuart e Cameron, che è tutto un gioco di sguardi e di potere di conoscenza di Vince. Magistrale l’uso a cascata di sbigottimento artificiale. La puntata si apre con Vince che fa le prove nel dire un “oh mio Dio!” convincente, da esibire nell’entrata alla festa a sorpresa. Torna inaspettato quando Vince riceve da Cameron le chiavi della macchina – pezzo di bravura recitativa per Craig Kelly (Vince), giocata tutta sull’intonazione. Poi, la seconda parte della puntata è Stuart nella sua forma migliore che imposta gran scene con un obiettivo preciso, ma viene smascherato entrambe le volte. Prima da Hazel che si rende conto che il gran dramma di Rosalie Stuart l’ha architettato per dare una bella spinta a Vince, perché smetta di scodinzolargli dietro e si faccia una vita con una persona che lo apprezza. Poi da Nathan. Stuart si spoglia e riveste per sedurre, finge di voler mandar via Nathan per far sì che si sia lui ad offrirsi di mandare all’immigrazione le lettere che rivelano che Romey è lesbica. Lui ci casca, ma la brillantezza della scrittura fa sì che Nathan lo scopra proprio dopo che, nel cercare una spiegazione al perché lui avrebbe dovuto farlo agli occhi degli altri, inventa la ragione e si dice ad alta voce: “anche se volessi farmelo fare, non me lo chiederesti”. Capisce solo dopo averlo detto che è proprio quello che sta succedendo: Stuart non ha avuto il coraggio di chiederglielo esplicitamente, ma lo sta manipolando per farglielo fare. Il ragazzino è cresciuto. Le posizioni sono ribaltate. Il re è nudo non solo letteralmente e, in serrati, minuti scambi, Stuart viene messo alle spalle al muro nella sua incapacità di chiedere, di dire, di essere esplicito. L’elemento disgustoso della puntata: Hazel fa passare per cocktail il piscio di Bernie.

mercoledì 27 giugno 2012

THE NEWSROOM (1.01): "L'America non è il più grande Paese del mondo"




Se ne parla e se ne parlerà. La filippica di apertura della nuova serie televisiva di Aaron Sorkin, The Newsroom, è un concentrato di ciò che rende unica la sua scrittura e la sua retorica, con i suoi pregi e difetti. Sotto trascrivo (con la mia traduzione) quello che è il discorso del momento e che rimarrà, credo, una specie di epigrafe del suo pensiero. La scena di cui parlo è nota come quella de  “l’America non è il più grande Paese del mondo”.  
Per gli europei, e per gli altri cittadini del globo, l’affermazione che l’America è il più grande Paese al mondo (e non parliamo di estensione geografica chiaramente) fa un po’ sorridere ogni volta che viene pronunciata, segno di una certa megalomania, egocentrismo, ignoranza e ingenuità del popolo a stelle e strisce. Eppure è un leit motiv che ritorna, e quanto è radicato lo esprime bene la scena scritta da Sorkin per il pilot di The Newsroom, dal titolo “We just decided to” (“Abbiano solo deciso”) , il cui senso è, da una battuta che viene pronunciata verso la fine della puntata, che essere buoni giornalisti hanno ad un certo punto semplicemente solo deciso di esserlo.
Il protagonista principale della serie, Will McAvoy (Jeff Daniels), giornalista televisivo demotivato da tempo, è molto amato perché, dicono, è come il comico Jay Leno, uno neutrale che non dà fastidio a nessuno. Si trova davanti a degli studenti universitari, in mezzo a un dibattito fra due rappresentati degli opposti partiti politici. Ad un certo punto una studentessa si alza e chiede di dire perché l’America è il più grande Paese del mondo. Il democratico risponde che i motivi sono la diversità e l’opportunità, il repubblicano risponde che lo è per la libertà e ancora la libertà. Il professore che fa da moderatore chiede a Will di rispondere. Lui si tiene su blande risposte dando ragione a entrambi, ma viene pressato a dare una risposta autentica, una risposta umana.
E lui scoppia:
Non è il più grande Paese del mondo, Professore. Questa è il mia risposta.
C’è lo shock generale. E continua smontando rapidamente le affermazioni dei due contendenti, dicendo alla democratica che alla gente loro non piacciono perché si credono tanto intelligenti, ma perdono, e deridendo il repubblicano perché cita la libertà come criterio, quando su 270 Paesi sovrani al mondo, 180 hanno la libertà e ne elenca qualcuno (fra cui l’Italia). Poi si rivolge alla studentessa apostrofandola in modo un po’ sprezzante come “sorority girl” (una ragazza che fa parte di una associazione universitaria femminile), e che io traduco qui come “signorina”:
E lei, signorina, nel caso in cui accidentalmente un giorno capitasse in un seggio elettorale, ci sono delle cose che dovrebbe sapere. Una di queste è che non c’è assolutamente nessuna prova a sostegno dell’affermazione che siamo il più grande Paese al mondo. Siamo settimi in alfabetizzazione. Ventisettesimi in matematica. Ventiduesimi in scienze. Quarantanovesimi nell’aspettativa di vita. Centosettantanovesimi in mortalità infantile. Terzi nel reddito familiare medio. Al numero quattro nella forza lavoro e al numero quattro nelle esportazioni. Siamo al primo posto al mondo solo in tre categorie: numero di cittadini incarcerati pro capite, numero di adulti che credono che gli angeli siano reali, e spese per la difesa, dove spendiamo di più dei più vicini ventisei Paesi combinati, venticinque dei quali sono alleati.
Ora, niente di questo è colpa di uno studente di college di vent’anni, ma lei è nondimeno senza dubbio un membro della peggiore, punto, generazione, punto, di sempre, punto. Perciò quando chiede che cosa ci rende il Paese più grande al mondo, non so di che cazzo stia parlando. Di Yosemite?  
[Silenzio]
Certo, lo eravamo. Lottavamo per ciò che era giusto. Combattevamo per ragioni morali. Passavamo leggi, annullavamo leggi, per ragioni morali. Dichiaravamo guerra alla povertà, non ai poveri. Facevamo sacrifici. Ci importava dei nostri vicini. Sostenevamo con il denaro quello in cui dicevamo di credere. E non ci battevamo mai il petto.
Abbiamo costruito grandi cose, fatto avanzamenti tecnologici pazzeschi, esplorato l’universo, curato malattie, e abbiamo coltivato i più grandi artisti al mondo e l’economia più grande al mondo. Siamo arrivati alle stelle. Abbiamo agito come uomini.
Aspiravamo all’intelligenza. Non la sminuivamo – non ci faceva sentire inferiori.
Non ci identificavamo sulla base di chi avevamo votato alle ultime elezioni, e non ci, oh, non ci spaventavamo così facilmente.
Siamo stati in grado di essere tutte queste cose e di fare tutte queste cose perché eravamo informati. Da grandi uomini. Uomini che erano riveriti.  
Il primo passo nel risolvere ogni problema è riconoscere che ce n’è uno. L’America non è più il più grande Paese al mondo.
È sufficiente?

Come si scrive un copione alla Aaron Sorkin? Lui stesso risponde, facendo una brevissima analisi di questo dialogo-monologo. Lo trovate qui. Sotto trovate il video della scena in questione.

martedì 26 giugno 2012

Il DALAI LAMA e Pannella


Condivido un’immagine diffusa dai Radicali.

DRUGSTORE: muffoso


Drugstore (RaiMovie, mercoledì, seconda serata) è una rubrica settimanale che parla di cinema, musica, arte, giochi, spettacoli… un contenitore per conoscere a tutto tondo quello che vive nel confine fra intrattenimento e cultura.
“Drugstore” in inglese è sì una farmacia o drogheria, ma poi di fatto un di quei negozi in cui trovi un po’ di tutto. Lo stesso qui, c’è un’ampia selezione: interviste fresche, servizi filmati, notizie su film vecchi e nuovi, inserti pseudo umoristici di Gianni Ippoliti, presentazioni…E, chissà, sotto l’effetto di qualche farmaco o droga forse lo si trova anche ben fatto e interessante. Da sobri, non proprio.
Non che il contenuto non ci sia, c’è ed è anche interessante, si vede che è curato da persone che sono ferrate sugli argomenti che trattano, ma è tutto così informe, con un segmento appiccicato a un altro senza un vero perché, e con un’aria così stantia. In teoria dovrebbe essere un tappeto rosso srotolato per noi per godere di questi temi in primo piano, come lascia intendere la sigla.
La conduttrice, Miriam Leone, vincitrice di Miss Italia nel 2008 e non certo alla prima esperienza, qui sembra fare una cattiva imitazione di conduttrici più spigliate e convincenti di lei; la regia è incerta e le notizie sono di un grigiore esasperante.  Potrebbe avere il sapore di un classico, ha un sapore muffoso.   

lunedì 25 giugno 2012

I vincitori degli EMMY del Daytime 2012


Sono stati consegnati nel week-end gli Emmy del Daytime. Ecco di seguito i principali vincitori:

Miglior drama: General Hospital
Miglior attore protagonista: Anthony Geary (GH)
Miglior attrice protagonista: Heather Tom (B&B)
Miglior sceneggiatura: Days of Our Lives
Miglior regia: General Hospital
Miglior attore non protagonista: Jonathan Jackson (GH)
Miglior attrice non protagonista: Nancy Lee Grahn (GH)
Miglior attore giovane: Chandler Massey (DAYS)
Miglior attrice giovane: Christel Khalil (Y&R)
Miglior programma del mattino: The Today Show
Miglior talk-show di informazione. The Dr. Oz Show
Miglior talk-show di intrattenimento: Live with Regis and Kelly  

Per un elenco più completo, si veda qui.

domenica 24 giugno 2012

ANTHONY GEARY vince il suo settimo Emmy


Anthony Geary ha vinto il suo settimo Emmy come attore protagonista per il ruolo di Luke Spencer in General Hospital e fa la storia: questa statuetta infatti lo rende l’attore più premiato del daytime. Fin’ora il record lo detenevano a pari merito lui, Erika Slezak (OLTL) e Justin Deas (ATWT, SB, GL).

Sotto, il video nel momento in cui riceve il premio:



venerdì 22 giugno 2012

GIRLS: "una voce in una generazione"



Girls (partito sulla HBO ad aprile) è considerata una sorta di anti-Sex and the City, o forse sarebbe meglio definirla una sorta di post-Sex and the City, la seminale serie, pure citata, che ha come protagoniste quattro amiche. Qui si tratta di quattro ragazze ventenni che vivono a New York e che cercano di capire chi sono e chi vogliono essere. Sex era più patinato, e sotto sotto si è sempre detto che era in qualche caso più la rappresentazione di uomini gay in forma di donne che non l’espressione di un’autentica voce femminile. Girls è più vulnerabile e disorientato, ed è più “ispido e monocromatico”, per rubare gli aggettivi usati dall’Hollywood Reporter, che ne loda la brillantezza della visione artistica. 
Ha il gusto realistico-indie garantito dall’ideatrice-sceneggiatrice-regista-produttrice esecutiva-attrice Lena Dunham, nota per il film Tiny Furniture. C’è un pizzico della capacità di mettere a nudo – di fatto e metaforicamente - con ironia e auto-deprecazione le proprie insicurezze e i propri difetti alla maniera di Louie C.K. (Louie) e c’è un po’ della capacità di rendere vivi e brucianti, ma anche dolci, gli imbarazzi e le umiliazioni dei momenti di crescita alla maniera di Judd Appatow (Freaks and Geeks), qui pure produttore esecutivo.
La serie inizia con la protagonista principale, la 24enne Hannah (Lena Dunham), una aspirante scrittrice, che è a cena con i genitori. Le annunciano che vogliono darle una “spintarella finale”: non la manterranno più. Ha terminato l’università e sta facendo un tirocinio non pagato, vorrebbe che i genitori la sostenessero ancora, così com’è per tutti i suoi amici, ma d’ora in poi deve cavarsela da sola. Ha una storia con Adam  (Adam Driver) che è più o meno il suo ragazzo, ma non proprio e non ufficialmente, o meglio è qualcuno con cui fa sesso qualche volta sì e qualche volta no. E poi, appunto, nella sua vita ci sono le altre “ragazze” – la Dunham ci tiene a sottolineare che si sentono ragazze, le “girls” del titolo, e non si autoidentificherebbero come “donne”: Marnie (Allison Williams) è la sua migliore amica, bella, con un buon lavoro e un fidanzato perfino troppo pieno di considerazione, Charlie (Christopher Abbott). Poi c’è Shoshanna (Zosia Mamet), timida e inesperta,  e sua cugina, l’inglese giramondo Jenna (Jemina Kirke).
Non sono caricature o tipi, ma autentiche persone, che l’autrice dice di aver scritto “di pancia” – e si sente. I temi, venati di humor sottile, sono quelli dell’amicizia e dell’amore, del diventare adulti, del ruolo della tecnologia nelle relazioni, del sesso, spesso imbarazzante, mortificante o poco appagante, dell’intimità e del corpo – con la Dunham che coraggiosamente si mostra senza pudori pur con le sue imperfezioni; non ricordo francamente nessun’altra giovane donna che abbia avuto il coraggio di mostrarsi nuda  alla stessa maniera pur avendo, ad esempio, un po’ di pancia e l’ho apprezzato molto. È una ragazza normale, come tante, spesso a disagio, spesso vagamente alla deriva. Ed è, se non la voce della sua generazione, la Generazione del Millennio come viene anche chiamata, almeno “una voce in una generazione”, dicitura che ha fatto molto parlare e che incapsula lo spirito della serie, anche per le circostanze in cui è stata pronunciata nel pilot, ed è una replica alle critiche che la Dunham aveva ricevuto per essere stata definita la voce della sua generazione in seguito al film che l’ha resa nota.
Lo show si è anche attirato molte commenti di disapprovazione per il fatto che sarebbe narcisistico, mancherebbe di diversità razziale e mostrerebbe ragazze privilegiate che si lamentano di argomenti rilevanti solo per l’un per cento della gente. Parte delle obiezioni riguardano la scelta del cast, che apparterrebbe a questa categoria di persone: Alllison Willams è la figlia del famoso giornalista Brian Williams, e Zosia Mamet è figlia del celeberrimo drammaturgo David Mamet. Personalmente, fintanto che sono brave - e mi paiono effettivamente tali -, non sono così snob da penalizzarle per il fatto di avere genitori ricchi e famosi. E una buona narrazione dell’esperienza umana rimane per me tale anche se riguarda una bassa percentuale della popolazione.   
La prima stagione è di 10 episodi.

giovedì 21 giugno 2012

QUEER AS FOLK: una guida agli episodi - 1.06


Episodio 6 (su YouTube in tre segmenti: primo, secondo, terzo)


Scritto da: Russell T. Davies
Regia: Sarah Harding

Plot. Stuart viene spinto dalla sorella a interessarsi di più della vita dei genitori, che stanno per divorziare, anche se alla fine vi rinunciano perché risulta economicamente poco conveniente, e a uscire allo scoperto con loro. Vedendo che la madre di Nathan si interessa al figlio, Stuart lo riporta a casa dicendogli che non sa quanto sia fortunato ed invitandolo a creare un rapporto con loro. Trovano però il padre arrabbiatissimo che gli va addosso da dietro con l’auto e lo minaccia, e con una scenata vuole che il figlio rientri in casa. Stuart alla fine si riprende Nathan in macchina e riescono a scappare. Cameron conosce la madre di Vince, ma in ogni aspetto si sente tagliato fuori dalla sua vita, che ruota sempre intorno a Stuart, perciò invita quest’ultimo a lasciare che l’amico prenda la sua strada. Lisa vorrebbe sposarsi perché l’immigrazione non cacci dal Paese un amico.

Commento. Episodio fortemente centrato sul rapporto genitori-figli: Stuart sprezzante e fiero verso il mondo, ma distante dai genitori; Vince totalmente sostenuto dalla madre; Nathan in rotta con i genitori, imbarazzato dalla madre che lo segue e che ci tiene a instaurare un dialogo con lui; Alexander, totalmente ignorato dai propri genitori per i quali è inesistente, nella amara scena – QAF nel suo più doloroso meglio - in cui lui li saluta e loro fingono di non vederlo e di non sentirlo; ancora Stuart, che nella possibilità che Lisa si sposi, intravede la possibilità che si modifichi il proprio rapporto con figlioletto appena nato, e che non si preoccupa di lasciare il fagottino ad Hazel per andare in discoteca a ballare e a drogarsi.

La comunicazione è un altro tema portante: “è come se ci fossimo detti tutto ormai, ma credo che forse non ci siamo mai detti niente”, dice il padre di Stuart al figlio, rispetto al suo rapporto con la madre. C’è la totale assenza di comunicazione (Alexander); c’è il desiderio di trovare una forma di comunicazione, ma il non riuscire a trovare un canale (Stuart - il padre; Nathan – la madre); c’è il fraintendimento nella comunicazione (Romey); c’è l’incapacità di farsi sentire (Cameron, Alexander).  

martedì 19 giugno 2012

Narrazione cross-mediale nelle SOAP OPERA: parte quarta


Come segnalato in precedenza, Cross Media Peppers ha pubblicato a puntate un mio breve saggio sulla narrativa cross-mediale nelle soap opera americane del daytime.
È ora online la quarta ed ultima parte che esamina il periodo più recente, cronologicamente parlando, con le soap che cominciano ad utilizzare il web in modo  più massiccio e con la fioritura di una serie di blog legati ai personaggi. Mi soffermo in particolare sulle riflessioni fatte, tanto dai fan quanto in ambiente accademico, sul blog di Robin Scorpio (General Hospital), vero esempio di come il cross-media storytelling rischia nel campo delle soap opera di rivoltarsi contro gli autori.  Oltre ai cross-over tradizionalmente concepiti, sul web si sono tentati esperimenti più ambiziosi di cross-impollinazione (LA Diaries, What If).  Il casting di James Franco in General Hospital poi, inteso come performance art, fa ardire che si possa parlare di meta-cross-media storytelling. Se non vogliono perire, peraltro, le soap opera devono rassegnarsi alla possibilità di una migrazione di medium, dalla Tv al web, cosa che riecheggia quella originaria dalla radio alla TV.

venerdì 15 giugno 2012

La tavola rotonda degli Emmy di THR: gli showrunner dei drama


 
La tavola rotonda degli Emmy di The Hollywood Reporter con gli showrunner dei drama ha messo insieme quest’anno Terence Winters (Boardwalk Empire), Howard Gordon (Homeland), Shonda Rhimes (Grey’s Anatomy, Private Practice, Scandal), Vince Gilligan (Breaking Bad), Glen Mazzara (The Walking Dead) e Veena Sud (The Killing).
Molti sono stati gli argomenti trattati: come si regolano quando devono uccidere un personaggio, quanto è difficile tenere un segreto, se sanno come terminerà la loro serie, che rapporto hanno con i social media e in che modo hanno effetto su loro lavoro, che cosa direbbero di loro i colleghi, come superare il blocco dello scrittore, quale è stata la scena più difficile da scrivere, quali sono le sfide logistiche nel girare, che tipo di consulenti hanno e molto altro ancora.
Sotto, il video.

giovedì 14 giugno 2012

QUEER AS FOLK: una guida agli episodi - 1.05


Episodio 5 (su YouTube in tre segmenti: primo, secondo, terzo)


Scritto da: Russell T. Davies
Regia: Sarah Harding

Plot. Vince, al lavoro, viene avvicinato da Cameron, che lo invita fuori a cena. Lui è titubante, ma accetta il biglietto da visita. Mentre discute sul da farsi con Stuart e mentre si lamenta di Nathan che si è ormai piazzato da sua madre Hazel, Stuart chiama Cameron e lo passa a Vince, che viene messo alle strette e cede a un appuntamento per la cena. Al ristorante Vince è perennemente distratto dal cellulare che squilla: fulcro di tutto è Stuart. Lo vuole la sorella, a cui aveva promesso che avrebbe tenuto i bambini, e lo vuole la segretaria, che cerca un cliente del lavoro, sposato uomo di famiglia, a cui Stuart, su sua insistenza, ha fatto conoscere i locali da lui frequentati e che è con lui, ma si nega al telefono. Cameron, esasperato, prende il cellulare di Vince e lo butta in acqua. Lo bacia e se ne va dicendo di richiamarlo. Vince esce con un altro che, sul più bello, al sesso con lui preferisce le sue videocassette. Si decide a richiamare Cameron e lo invita fuori. Stuart, mentre Vince è a prendere da bere, ci prova con lui e Cameron, a casa di Vince, glielo riferisce. Cameron e Vince si danno con ingordigia l’uno all’altro. La madre di Nathan, Janice, cerca conforto e confronto in Hazel.

Commento. Cambio di testimone alla regia per un episodio molto frastagliato che sembra quasi di passaggio e che raccoglie però anche tanti piccoli dettagli importanti per il futuro e per la costruzione della storia: conosciamo l’ospite di Romey e Lisa; da casa di Stuart escono due uomini che lui saluta, mentre lei gli porta i nipotini; viene menzionato il divorzio dei genitori di Stuart e c’è l’invito della sorella ad andare a trovarli; Nathan comincia a frequentare Daniel/Dazz; Nathan sente la pressione di due madri e Donna ridimensiona i suoi problemi; la collega di lavoro di Vince, passata per invitarlo, è delusa che lui possa uscire con qualcun altro. Dalle esagerazioni di Nathan sull’ “ortodossia eterosessuale fascista” – ma il poster con queste parole appeso sul muro della camera da letto in cui si risvegli accanto a Daniel non ha degli errori ortografici? – alla decisa intimazione di Stuart al suo cliente a non fare il turista sessuale nel mondo gay - o lo fa o non lo fa: c’è lo scacco di un’età e un’esperienza diverse. Nel primo (Nathan) c’è un risveglio d un empowerment che è ancora grezzo e da ragazzino imberbe, a cui devono lavare e stirare la biancheria. Nel secondo (Stuart) c’è la denuncia di un’ipocrisia eterosessuale di chi quel potere su di sé lo ha già conquistato da un pezzo e lo vive quotidianamente. C’è la prima tappa di un incruento braccio di ferro fra Stuart e Cameron. E un classico è il rimpiattino telefonico fra Vince, Stuart, la sorella di Stuart e la segretaria di Stuart, fatto di avvisi di chiamata, fermi in linea, linee sbagliate e momentanei piccoli equivoci. Non può non venire in mente un altro classico, magistrale inseguimento telefonico della penna di Russell T. Davies, quello in Bob & Rose fra gli omonimi personaggi.

mercoledì 13 giugno 2012

IL PICCOLO REGNO DI BEN E HOLLY: per i bimbi di età prescolare

Trasmesso su scala internazionale, in Paesi non solo europei, ma anche asiatici, africani e dell’America Latina, e da noi su RaiYoYo (ore 15.45) oltre che su Sky, Il Piccolo Regno di Ben e Holly (Ben and Holly’s Little Kingdom in originale) è un cartone animato per bimbi di età prescolare ambientato in un magico mondo: Ben (con la voce di Federico Zanandrea) è un elfo con le orecchie a punta e la cornamusa in mano, che ha come “cane” una coccinella, Gaston. Abita nel grande albero degli elfi, al numero 4, insieme a mamma e papà, e dove vive anche il Vecchio Saggio, anche insegnante della scuola degli elfi, ma che non nutre grande simpatia per la magia, e che dà inizio ad ogni puntata dicendo dove è ambientata l’avventura partendo da una mappa al cui centro c’è un grande prato. Holly (Tiziana Martello) è una fatina, con tanto di alucce e di coroncina sulla testa essendo lei una principessa, che pure vive, in un Piccolo Castello, con la sua famiglia e con tata Susina che si prende cura di tutti loro.
Ben e Holly sono migliori amici e le loro avventure sono le più varie: lei che perde la sua bacchetta magica (3), rompe la teiera di mamma (5), trasforma accidentalmente Ben in un ranocchio (7), lui che deve prepararsi per i giochi degli elfi (12), loro che vanno a visitare una fattoria (33), vanno in libreria per scoprire dove vanno le stelle di notte (24), si accorgono che Tata Susina di notte lavora come fatina dei denti (27), a scuola imparano come leggere l’ora (20)…
Forse certe situazioni sono un po’ stereotipiche, anche dei ruoli di genere, ma le storie hanno una velata venatura umoristica, come quando si scopre che il precisissimo orologio degli elfi in realtà è regolato, a loro insaputa, sui brontolii dello stomaco della tata delle fate che suona la campana ogni volta che il suo languorino le fa capire che è ora di pranzo.
Disegni un po’ naif, forme semplici, con appena un accenno di prospettiva, parole che in realtà sono solo Lorem Ipsum, salvo qualche caso, e tanto colore sono le caratteristiche di  programma ideato da Neville Astley e Mark Baker e dalla stessa casa di produzione responsabile di Peppa Pig, la Astley Baker Davies (nella versione originale molte delle voci sono pure le stesse).

martedì 12 giugno 2012

I BRONY stanno cambiando la definizione di mascolinità?



Il canale PBS, qualche giorno fa, in un video che trovate qui sotto, e che riporto grosso modo nel contenuto di questo post – non è una traduzione parola per parola, ma il grosso c’è -,  si è domandato: i brony stanno cambiando il concetto di mascolinità? O i bronies, se preferite fare il plurale all’inglese e non tenere la parola al singolare come la nostra lingua vorrebbe per le parole straniere.
Chi è un brony? Come spiega il video, nel 2010, è stata riproposta una nuova versione del cartone animato My Little Pony - Vola mio mini Pony che nella nuova versione ha preso il sottotolo “Friendship is magic” ovvero “l’amicizia è magica”. È diventato un grande successo fra tutti i bambini, ma poi è accaduto qualcosa di inaspettato: a diventare grandissimi fan del programma sono stati uomini adulti. Questi uomini amanti dei pony  -  “Bros” più “Ponies” uguale Bronies -  sono diventati un vero fenomeno e la loro comunità, specie online, continua a crescere.
E così ci si è posti il quesito: perché mai uomini adulti dovrebbero voler vedere un programma di pony magici che parlano e che insegnano il valore dell’amicizia? La risposta è semplice: è un gran programma e i bronies vogliono celebrare, sul serio, non in modo ironico, i temi, i personaggi e le idee del cartone, e lo fanno attraverso le più svariate e numerose attività da fan.
Si tratta di un programma per bambine piccole però e questo ha portato ad interrogarsi in proposito. Alcuni si sono chiesti se questi fan siano “deviati sessuali” o stupidi o qualcosa di simile, come qualcuno li percepisce, ma non lo sono. Gli studi sul fenomeno mostrano che si tratta prevalentemente di ventenni eterosessuali che amano l’idea di fondo della natura magica dell’amicizia e i temi principali di amore e tolleranza.
Eppure da molti i bronies sono odiati. Molto probabilmente questo avviene perché costituiscono una sfida alla mascolinità. Il filosofo John Stuart Mills diceva che tendiamo ad accettare ciò che è usuale come normale e i bronies costituiscono una sfida a ciò che  è considerato normale come contenuto di programmi per uomini. Ciò che è per maschi e per femmine sembra permanente, ma non lo è. Fino agli anni ’20 ad esempio, il rosa era considerato un colore mascolino, adatto ai bambini. La femminista Julia Butler sostiene che ci facciamo idee su femminilità e mascolinità sulla base della esibizione (performance) del gender. I bronies sono uomini che esibiscono quello che si considera un passatempo strettamente femminile. E questo dispiace a qualcuno, o per lo meno lo lascia confuso e spiazzato. Non c’è niente di strano, basti pensare alle donne che portano i pantaloni o agli uomini che stanno a casa. All’inizio erano visti con sospetto, poiché si comportavano in maniera diversa rispetto alle loro aspettative di gender, ma poi sono diventati qualcosa di normale.
Anais Nin dice che è funzione dell’arte quella di rinnovare le nostre percezioni. I bronies si pongono come una sfida a quella che è la nostra percezione su quali preferenze sono  accettabili negli uomini e quali programmi dobbiamo considerare “per ragazzine”. Se ci sono tanti uomini adulti quante sono le ragazzine che amano My Little Pony, questo forse non significa che il programma è tanto maschile quanto femminile? 

lunedì 11 giugno 2012

La tavola rotonda degli Emmy di THR: le attrici


In prospettiva degli Emmy, anche quest’anno The Hollywood Reporter ha organizzato una tavola rotonda di attrici in odore di nomination: Claire Danes (Homeland), Emmy Rossum (Shameless), January Jones (Mad Men), Julianna Margulies (The Good Wife), Kyra Sedgwick (The Closer) e Mireille Enos (The Killing). Ecco, sotto, il video.


venerdì 8 giugno 2012

"Stanchi da morire" ne i FATTI NOSTRI su Telechiara




Lo scorso 4 giugno è andata in onda su Telechiara, nella trasmissione Fatti Nostri, un’inchiesta intitolata “Stanchi da Morire” dedicata alla CFS/ME - Sindrome da Fatica Cronica /Encefalomielite Mialgica.

Sono stata intervistata io, Giada Da Ros, in qualità di malata, di presidente della CFS Associazione Italiana di Aviano (PN) e di curatrice del volume di raccolta di testimonianze Stanchi, per la SBC Edizioni, ed è stato intervistato il professor Tirelli, direttore del Dipartimento di Oncologia Medica all’Istituto Nazionale Tumori – Centro di Riferimento Oncologico di Aviano Pordenone, per la parte più specificatamente medica.   

Francesca Iuculano, che ha curato il servizio, mi pare abbia fatto davvero un ottimo lavoro. È chiaro che il mio coinvolgimento personale da un lato mi toglie obiettività. Allo stesso tempo però credo mi dia una prospettiva unica per valutare: ho parecchia esperienza in proposito e raramente siamo riusciti a parlare in modo così approfondito e curato di CFS in TV.

Sotto, il video del programma.



giovedì 7 giugno 2012

QUEER AS FOLK: una guida agli episodi - 1.04


Episodio 4 (su YouTube in tre segmenti: primo, secondo, terzo)


Scritto da: Russell T. Davies
Regia: Charles McDougall

Plot. È il giorno del funerale di Phil, ma ha più l’aria di una festa, per i ragazzi. Vince, per richiesta del defunto, legge in chiesa un branetto che è una celebrazione della discoteca. Stuart adocchia quello del banco davanti a lui. Alla veglia funebre, mentre Stuart flirta e sbriga lavoro al telefono, Vince ha una conversazione a cuore aperto con la madre del giovane amico scomparso, poi gli amici, con le chiavi sottratte di nascosto, si recano all’appartamento di Phil per far sparire tutto il porno che aveva. Nathan, a scuola, nello spogliatoio, fa una sega ad un compagno, Christian Hobbs, poi vede questi pestare un compagno di scuola più giovane e insultarlo con epiteti omofobi, mentre intenzionalmente guarda Nathan. La madre di Nathan gli chiede se è gay e lui nega, poi si rifugia a casa di Hazel, dicendo che a casa non torna. In camera di Vince, Nathan e Stuart fanno sesso. Quando scendono al piano di sotto, Vince coglie al volo che cos’è successo e, deluso e irritato, lascia di fretta la casa, con Stuart che gli corre dietro cercando di rabbonirlo.

Commento. Questa puntata segna il debutto di un personaggio di Cameron, che molto peso avrà nelle puntate successive e che qui fa solo una comparsata alla veglia funebre di Phil, di cui era il contabile. Tema forte della puntata è quello dell’età, dell’invecchiare e della morte, che astutamente non si vede al funerale, ma si coglie obliquamente, dalle frasi minime (Hazel, la signora Maloney, Bernie, Alexander).  Stuart è Stuart. Sta “morendo davanti a tutti” perché presto raggiungerà i 30, sogna per sé un funerale in cui tutti “singhiozzino come vitelli sgozzati”, parla di sesso e flirta durante l’intera cerimonia, ricicla per lavoro al telefono alla segretaria le sentite, distrutte parole della madre del defunto, si prefigura vecchio, ma identico. Ignora, sfida, sbeffeggia la morte. Altro grosso pilastro è il che cosa significhi essere gay: si affastellano in dialoghi fuggevolmente complessi, minimali, tangenziali, quelli che sono stereotipi e preoccupazioni e domande e prospettive e scelte comportamentali. Le storie di ordinaria angheria a scuola; il contegno contenuto e addolorato di Vince, raccoglie lo sfogo della madre di Phil: “con una donna sarebbe stato lo stesso?”; Bernie, alla fuga di casa di Nathan, commenta che “è solo cazzo”, non essere omosessuale; Stuart con Vince scherza sul fatto che Phil fra il porno aveva foto di ragazzini. Se a questo non crede nemmeno per un secondo, per un attimo crede alla burla che Phil conservava decine di sue foto. Questo, per i personaggi della versione americana, sarà vero. Magistrale, come sempre il lavoro di sguardi nella relazione Stuart-Vince.

mercoledì 6 giugno 2012

NOMINATION ai premi dell'associazione dei giornalisti che lavorano in televisione


Il 18 giugno verranno annunciati i vincitori dei premi dati dai giornalisti che fanno parte della Broadcast Television Journalists Association. Ecco sotto le nomination:

Miglior Drama
Breaking Bad
Downton Abbey
Game of Thrones
The Good Wife
Homeland
Mad Men

Miglior attore in un drama
Bryan Cranston - Breaking Bad
Kelsey Grammer - Boss
Jon Hamm - Mad Men
Charlie Hunnam - Sons of Anarchy
Damian Lewis - Homeland
Timothy Olyphant - Justified

Miglior attrice in un drama
Claire Danes - Homeland
Michelle Dockery - Downton Abbey
Julianna Margulies - The Good Wife
Elisabeth Moss - Mad Men
Emmy Rossum - Shameless
Katey Sagal - Sons of Anarchy

Miglior attore non protagonista in un drama
Peter Dinklage - Game of Thrones
Giancarlo Esposito - Breaking Bad
Neal McDonough - Justified
John Noble - Fringe
Aaron Paul - Breaking Bad
John Slattery - Mad Men

Miglior attrice non protagonista in un drama
Christine Baranski - The Good Wife
Anna Gunn - Breaking Bad
Christina Hendricks - Mad Men
Regina King - Southland
Kelly Macdonald - Boardwalk Empire
Maggie Siff - Sons of Anarchy

Miglior ospite in un drama

Dylan Baker - Damages
Jere Burns - Justified
Loretta Devine - Grey's Anatomy
Lucy Liu - Southland
Carrie Preston - The Good Wife
Chloe Webb - Shameless

Miglior reality
Anthony Bourdain: No Reservations
Hoarders
Sister Wives
Kitchen Nightmares
Pawn Stars
Undercover Boss

Miglior reality - Competizione
The Pitch
Shark Tank
So You Think You Can Dance
The Voice
Chopped
The Amazing Race

Miglior conduttore di reality
Tom Bergeron - Dancing with the Stars
Nick Cannon - America's Got Talent
Cat Deeley - So You Think You Can Dance
Phil Keoghan - The Amazing Race
RuPaul - RuPaul's Drag Race

Miglior Talk Show
Conan
The Daily Show with Jon Stewart
Late Night with Jimmy Fallon
Jimmy Kimmel Live!
The View

Miglior comedy
The Big Bang Theory
Community
Girls
Modern Family
New Girl
Parks and Recreation

Miglior attore in una comedy
Don Cheadle - House of Lies
Louis C.K.- Louie
Larry David - Curb Your Enthusiasm
Garret Dillahunt - Raising Hope
Joel McHale - Community
Jim Parsons - The Big Bang Theory

Miglior attrice in una comedy
Zooey Deschanel - New Girl
Lena Dunham - Girls
Julia Louis Dreyfus - Veep
Martha Plimpton - Raising Hope
Amy Poehler - Parks and Recreation
Ashley Rickards - Awkward

Miglior attore non protagonista in una comedy
Ty Burrell - Modern Family
Max Greenfield - New Girl
Nick Offerman - Parks and Recreation
Danny Pudi - Community
Jim Rash - Community
Damon Wayans Jr. - Happy Endings

Miglior attrice non protagonista in una comedy

Julie Bowen - Modern Family
Alison Brie - Community
Cheryl Hines - Suburgatory
Gillian Jacobs - Community
Eden Sher - The Middle
Casey Wilson - Happy Endings

Miglior ospite in una comedy

Becky Ann Baker - Girls
Bobby Cannavale - Modern Family
Kathryn Hahn - Parks and Recreation
Justin Long - New Girl
Paul Rudd - Parks and Recreation
Peter Scolari - Girls

Miglior serie animata
Archer
Adventure Time
Bob's Burgers
Family Guy
Star Wars: The Clone Wars

Miglior Film/Miniserie

American Horror Story
Luther
Sherlock
Page Eight
The Hour
Game Change

Miglior attore in un Film/Miniserie
Benedict Cumberbatch - Sherlock
Bill Nighy - Page Eight
Woody Harrelson - Game Change
Idris Elba - Luther
Dominic West - The Hour
Kevin Costner - Hatfields & McCoys

Miglior attrice in un Film/Miniserie
Jessica Lange - American Horror Story
Gillian Anderson - Great Expectations
Julianne Moore - Game Change
Patricia Clarkson - Five
Lara Pulver - Sherlock
Emily Watson - Appropriate Adult



Fonte: Zap2it.

martedì 5 giugno 2012

STRACULT: intellectual - trash


Stracult si è rinnovato, andando “A casa di Marco Giusti” (lunedì, ore 23.40), ricostruita al Teatro delle Vittorie a Roma. Si parla di cinema, con Giusti appunto, vero esperto del settore, e il simpatico Paolo Ruffini come conduttore ufficiale. Punteggia le nottate dicendo che non stanno facendo una trasmissione televisiva o che ne stanno facendo una incosciente. È ironico, ma per quel che mi riguarda potrebbe anche non esserlo.
Forse non mi piace il grande schermo a sufficienza da apprezzare chicche di film di serie zeta. Forse non capisco questo genere di chiacchierate apparentemente casuali e annoiate senza capo né coda, al limite del gossip, in cui non si dice nemmeno di che cosa si parla, ma si dà per scontato che segui già i fili dei loro discorsi, e non fai grande sforzo per far emergere dei concetti, se galleggiano in superficie è quasi per caso. Forse non mi sento italiana a sufficienza da gradire di sentirmi dire quanto meglio noi del Bel Paese saremmo stati in grado di realizzare progetti di altri. I “filmatini ganzi” per me la metà delle volte sono spazzatura, o al massimo curiosità antropologica che occasionalmente può anche incuriosire, ma che di certo non vale la pena di essere segnalata.
L’intellectual-trash non fa per me. Mi sembra di pronunciare un’eresia, ma forse questo spazio è così cult, o meglio così stracult, che è solo per intenditori. Di certo non è per me.

lunedì 4 giugno 2012

UPFRONTS 2012-2013: CW


La CW ha presentato agli upfronts i seguenti drama:
ARROW
In Arrow (Freccia) il playboy miliardario Oliver Queen (Stephen Arnell), dopo essere stato creduto morto per anni a seguito di un incidente in barca, viene ritrovato in vita in una remota isola del Pacifico dove ha imparato a sopravvivere usando arco e frecce. Tornato a casa, a Starling City, vuole fare ammenda per il suo passato e riconciliarsi con la famiglia - la madre Moira (Susanna Thompson, Kings), che nel frattempo si è risposata;  la sorella Thea (Willa Holland), ora una teenager – e con il suo migliore amico Tommy (Colin Donnell) e la sua ex-ragazza Laurel Lance (Katie Cassidy), che non gli ha perdonato la morte di sua sorella. Durante il giorno è il giovane ricco senza pensieri di sempre, fiancheggiato dal devoto John Diggle (David Ramsey), suo autista e guardia del corpo, con il favore della notte segretamente ha però un’identità alternativa, da vigilante, quella di Arrow, che combatte i criminali. Il padre di Laurel però, il detective Quentin Lance (Paul Blackthorne), è intenzionato ad arrestare questo supereroe.
La serie è basata sulla nota serie di fumetti della DC Comics Green Arrow.
Fra i produttori esecutivi ci sono Greg Berlanti (Brothers and Sisters) e Marc Guggenheim, che hanno scritto la storia del pilot. Il copione è stato sceneggiato da quest’ultimo con Andrew Kreisberg, pure produttore esecutivo così come David Nutter, che ne ha fatto la regia.   

THE CARRIE DIARIES
In The Carrie Diaries è il 1984 e Carrie Bradshaw (AnnaSophia Robb) ha 16 anni, la madre è appena morta e il padre Tom (Matt Letscher) è sopraffatto dalla responsabilità di crescere da solo lei e la sorella minore un po’ ribelle Dorritt (Stefania Owen). Carrie può contare su buoni amici come Mouse (Ellen Wong), Maggie (Katie Findlay) e Walt (Brendan Dooling), e a scuola arriva anche Sebastian (Austin Butler), un nuovo studente, ma la vita di provincia le sta stretta, così quando Tom le offre di lavorare come interna in un ufficio legale di Manhattan lei accetta subito e le si apre davanti agli occhi New York, dove conosce Larissa (Freema Agyeman), che si occupa di stile come redattrice della rivista Interview, e insieme a lei tutto un nuovo mondo.
La serie è basata sulla serie di romanzi di Candace Bushnell ed è il prequel di Sex and The City.
Il pilot è stato scritto da Amy B. Harris (Sex and the City, Gossip Girl), anche produttrice esecutiva insieme a Josh Schwartz e Stephanie Savage (entrambi di Hart of Dixie e Gossip Girl), Len Goldstein (Hart of Dixie) e Candance Bushnell. 

BEAUTY AND THE BEAST
In Beauty and the Beast (Bella e la Bestia), un drama che è un misto di poliziesco semi-procedurale, quasi-fantascienza e storia d’amore,  Catherine Chandler (Kristin Kreuk, Smallville) è una brillante detective della polizia che da adolescente ha assistito alla morte della madre per mano di due criminali. Sarebbe morta anche lei, se qualcuno non l’avesse salvata. Nessuno l’ha mai creduta, ma lei sa che non si trattava di un animale che ha ucciso gli aggressori, ma di un essere umano. Durante un’investigazione, che svolge insieme alla collega Tess (Nina Lisandrello), scopre che si tratta di Vincent Keller (Jay Ryan), un medico da tutti creduto morto in Afghanistan nel 2002, ma in realtà vivo. Questi vive di nascosto per nascondere un segreto, il fatto che in seguito ad una alterazione genetica, quando si arrabbia si trasforma in una bestia terrificante, con i sensi acuiti e incapace di controllare la sua enorme forza. Entrambi sono fortemente attratti l’uno dall’altra e Catherine accetta di tenere segreta la sua l’identità, in cambio di un aiuto nel cercare di risolvere l’omicidio di sua madre.
La serie è basata sul telefilm della CBS degli anni ’80 con lo stesso titolo, che aveva come attori protagonisti Linda Hamilton e Ron Perlman, anche se in modo molto blando. Per ora, ad esempio, dal copione del pilot almeno, non c’è menzione della città sotterranea. La “bestia” è stata chiamata Vincent Koslow in onore del personaggio interpretato da Ron Perlman (Vincent) e dell’ideatore di quella serie (Ron Koslow).
Ideatori sono Jennifer Levin (Senza Traccia) e Sherri Cooper (Unforgettable, Brothers and Sisters) che sono, insieme ad altri, anche produttori esecutivi.

CULT
Cult è un thriller psicologico in cui il giornalista blogger Jeff Sefton (Matthew Davis, The Vampire Diaries), dopo la scomparsa del fratello Nate, comincia ad investigare su una serie televisiva di grande successo di cui questi era fan intitolata “Cult”, che è una sorta di gioco al gatto-e-topo fra il carismatico leader di una setta, Billy Grimm (Robert Knepper, Prison Break) e la detective della polizia di Los Angeles Kelly Collins. Il programma e la sua mitologia sono  diventati un’ossessione per gli spettatori, e alcuni sembrano aver trascinato la loro passione per il programma nella vita reale, con risultati terrificanti, collegati nella vita ad alcune morti e sparizioni. Billy Grimm è solo un personaggio interpretato da un attore, Roger Reeves, o è qualcosa di più? Il programma porta gli spettatori alla pazzia? Jeff investiga insieme all’aiuto dell’assistente di produzione Skye Yarrow (Jessica Lucas), che lavora in “Cult” sotto copertura proprio per scoprire che cosa sta accadendo.
Questa serie originariamente era prevista per la ABC, poi è passata alla CW. Gira voce che l’ideatore di “Cult” all’interno della diegesi di Cult sia una figura alla Mago di Oz che potrebbe non essere chi dice di essere, o addirittura non esistere.
Ideatore è Rockne S. O’Bannon (Farscape) e fra i produttori esecutivi ci sono Josh Schwartz  e Stephanie Savange (entrambi di Gossip Girl), e Jason Ensler, anche regista del pilot.

EMILY OWENS, MD
Emily Owens (Mamie Gummer, The Good Wife) si è appena laureata in medicina e ora è un’interna al suo primo anno al Denver Memorial Hospital dove può lavorare con la famosa cardiologa Gina Beckett (Necar Zadegan) e dove è pure un interno il ragazzo per cui aveva una cotta mentre studiava medicina, Will Rider (Justin Hartley). Solo che a mettere gli occhi su di lui c’è anche quella che al liceo era la sua nemica, la bellissima, popolare Cassandra Kopelson (Aja Naomi Kink). Una compagna-collega, Tyra Granger (Kelly McCreary), il cui padre è il chief resident dell’ospedale,  la mette in guardia sul fatto che il nuovo ambiente è un po’ come il liceo: gli sportivi sono diventati chirurghi ortopedici, le ragazze cattive sono in chirurgia plastica, i ribelli al pronto soccorso, e lei è ancora una volta la novellina. Questa volta però, grazie anche agli amici, fra cui Micah (Michael Rady), si renderà conto che lei sarà anche una geek, ma è un bravo medico.  
La serie era precedentemente nota come First Cut.
L’ideatrice è Jennie Snyder Urman (90210, Lipstick Jungle), anche produttrice esecutiva. Il pilot ha la regia di Bharat Nalluri.