Girls (partito sulla HBO ad aprile) è considerata una sorta di anti-Sex and the City, o forse sarebbe meglio
definirla una sorta di post-Sex and the
City, la seminale serie, pure citata, che ha come protagoniste quattro
amiche. Qui si tratta di quattro ragazze ventenni che vivono a New York e che
cercano di capire chi sono e chi vogliono essere. Sex era più patinato, e sotto sotto si è sempre detto che era in
qualche caso più la rappresentazione di uomini gay in forma di donne che non l’espressione
di un’autentica voce femminile. Girls
è più vulnerabile e disorientato, ed è più “ispido e monocromatico”, per rubare
gli aggettivi usati dall’Hollywood
Reporter, che ne loda la brillantezza della visione artistica.
Ha il gusto
realistico-indie garantito dall’ideatrice-sceneggiatrice-regista-produttrice
esecutiva-attrice Lena Dunham, nota per il film Tiny Furniture. C’è un pizzico della capacità di mettere a nudo –
di fatto e metaforicamente - con ironia e auto-deprecazione le proprie insicurezze
e i propri difetti alla maniera di Louie C.K. (Louie) e c’è un po’ della capacità di rendere vivi e brucianti, ma
anche dolci, gli imbarazzi e le umiliazioni dei momenti di crescita alla maniera
di Judd Appatow (Freaks and Geeks),
qui pure produttore esecutivo.
La serie inizia con la
protagonista principale, la 24enne Hannah (Lena Dunham), una aspirante
scrittrice, che è a cena con i genitori. Le annunciano che vogliono darle una
“spintarella finale”: non la manterranno più. Ha terminato l’università e sta facendo
un tirocinio non pagato, vorrebbe che i genitori la sostenessero ancora, così
com’è per tutti i suoi amici, ma d’ora in poi deve cavarsela da sola. Ha una
storia con Adam (Adam Driver) che è più
o meno il suo ragazzo, ma non proprio e non ufficialmente, o meglio è qualcuno con
cui fa sesso qualche volta sì e qualche volta no. E poi, appunto, nella sua vita
ci sono le altre “ragazze” – la Dunham ci tiene a sottolineare che si sentono
ragazze, le “girls” del titolo, e non si autoidentificherebbero come “donne”: Marnie
(Allison Williams) è la sua migliore amica, bella, con un buon lavoro e un
fidanzato perfino troppo pieno di considerazione, Charlie (Christopher Abbott).
Poi c’è Shoshanna (Zosia Mamet), timida e inesperta, e sua cugina, l’inglese giramondo Jenna (Jemina
Kirke).
Non sono caricature o
tipi, ma autentiche persone, che l’autrice dice di aver scritto “di pancia” – e
si sente. I temi, venati di humor sottile, sono quelli dell’amicizia e dell’amore,
del diventare adulti, del ruolo della tecnologia nelle relazioni, del sesso, spesso
imbarazzante, mortificante o poco appagante, dell’intimità e del corpo – con la
Dunham che coraggiosamente si mostra senza pudori pur con le sue imperfezioni;
non ricordo francamente nessun’altra giovane donna che abbia avuto il coraggio
di mostrarsi nuda alla stessa maniera pur
avendo, ad esempio, un po’ di pancia e l’ho apprezzato molto. È
una ragazza normale, come tante, spesso a disagio, spesso vagamente alla
deriva. Ed è, se non la voce della sua generazione, la Generazione del
Millennio come viene anche chiamata, almeno “una voce in una generazione”, dicitura
che ha fatto molto parlare e che incapsula lo spirito della serie, anche per le
circostanze in cui è stata pronunciata nel pilot, ed è una replica alle
critiche che la Dunham aveva ricevuto per essere stata definita la voce della
sua generazione in seguito al film che l’ha resa nota.
Lo show si è anche
attirato molte commenti di disapprovazione per il fatto che sarebbe
narcisistico, mancherebbe di diversità razziale e mostrerebbe ragazze privilegiate
che si lamentano di argomenti rilevanti solo per l’un per cento della gente. Parte
delle obiezioni riguardano la scelta del cast, che apparterrebbe a questa
categoria di persone: Alllison Willams è la figlia del famoso giornalista Brian
Williams, e Zosia Mamet è figlia del celeberrimo drammaturgo David Mamet. Personalmente,
fintanto che sono brave - e mi paiono effettivamente tali -, non sono così snob
da penalizzarle per il fatto di avere genitori ricchi e famosi. E una buona
narrazione dell’esperienza umana rimane per me tale anche se riguarda una bassa
percentuale della popolazione.
La prima stagione è di
10 episodi.
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