giovedì 25 aprile 2024

JURY DUTY: sono prevenuta

Ammetto che sono prevenuta nei confronti di programmi come Jury Duty – Il Giurato, che ha debuttato ad aprile 2023 su Amazon Prime, su un piano etico-morale: non so quanto a favore io sia.  

Prima facie si tratta di una serie documentaristica che esplora il funzionamento del sistema giuridico statunitense dalla prospettiva di una giuria chiamata a decidere su un caso specifico. In realtà, come ci viene spiegato dalle schermate iniziali in sovrimpressione all’inizio di ogni episodio, il caso è fittizio e sono tutti attori tranne un ragazzo che, ignaro, pensa che sia tutto reale, salvo poi svelargli che non lo è al termine del sottofinale (“Deliberations”, 1.07), e godersi la reazione e le rivelazioni dettagliate nell’ultima puntata dedicata a un “dietro le quinte”. 

Certo, il giurato numero 6 (Ronald Gladden) in una certa misura sapeva di venire filmato perché era convinto di partecipare alle riprese di un documentario, e gli avvenimenti della giornata sono stati spesso commentati in sipari a parte, di cui era evidentemente consapevole, ma che fosse tutto falso e che anche altri momenti più privati venissero registrati no. E per quanto alla fine lui accetti di buon grado quanto è accaduto, salvo rammaricarsi del fatto che non può considerarsi esonerato dalla possibilità che lo chiamino in futuro per far parte di una effettiva giuria, e venga ripagato del suo sforzo di protagonista involontario con 100.000 dollari, mi mette in difficoltà l’idea stessa di un programma che è una via di mezzo fra Scherzi a Parte (dove la durata molto limitata dello scherzo lo redime in una certa misura) e The Truman Show (dove nella finzione narrativa del film tutta la vita del protagonista interpretato da Jim Carrey è filmata a sua insaputa per il piacere del pubblico). Se non fosse che è stata lodata come una delle migliori serie dello scorso anno – ha ricevuto tre nomination agli Emmy e due ai Golden Globe e ha anche vinto come programma dell’anno il premio dell’American Film Institute -, non l’avrei guardata se non altro per non premiare esperimenti di questo tipo, che sono manipolatorie dei sentimenti del coinvolto, che costruisce relazioni fasulle: una vera tragedia più che la commedia che intendono. È interessante ed affascinante? Sicuramente. È anche crudele. E non sono sicura di approvarlo moralmente.

Detto questo, si sono inanellate una fila di situazioni al limite della credibilità, tanto che in corso di via (1.06) il nostro malcapitato commenta che sembra un reality. Ronald Gladden, un appaltatore nel campo delle istallazioni solari, arriva alla Huntington Park Superior Court di Los Angeles, e in occasione del processo di Voir Dire, volto a selezionare i giurati, comincia a conoscere gli altri. Fra loro c’è anche l’attore James Marsden (Westworld), in una versione molto egocentrica e vanesia di sé stesso, che attrae i paparazzi. Per evitare potenziali disturbi, il giudice Alan Rosen (Alan Barinholtz), che presiede la causa, impone il sequestro della giuria, costretta a risiedere in un albergo fra un’udienza e l’altra. Hanno così modo di conoscersi fra loro: Noah Price (Mekki Leeper) si perde la vacanza con la sua ragazza per questo impegno da cui non può sottrarsi, ma fa presto amicizia con Jeannie Abruzzo (Edy Modica); Todd Gregory (David Brown) è un impacciato inventore; Barbara Goldstein (Susan Berger) è un’anziana che continua ad addormentarsi durante il processo; Ross Kubiak (Ross Kimball) è un insegnante in crisi matrimoniale, anche se non vuole farlo sapere…Per ogni necessità possono far riferimento a Nikki Wilder (Rashida Olayiwola), l'ufficiale giudiziaria. Gli avvocati che discutono la causa, pur attori, hanno un passato professionale nel campo.

C’è umorismo, ma per la gran parte appena accennato, in questa creazione di Lee Eisenberg e Gene Stupnitsky con la regia di Jake Szymanski. C’è qualche occasione esilarante, come quando in “Field Trip” (1.04) Todd è costretto ad indossare una maglietta che scoprono avere un (fittizio) significato a sostegno dei neonazisti, o quando Noah vuole fare l’amore con Jeannie (1.05), ma viste le sue convinzioni si vede costretto a chiedere l’aiuto di James. Quello che emerge è il cameratismo e il bel rapporto che si crea fra le persone, anche se appunto, in molto è fasullo, cosa che lascia davvero molta amarezza, anche se ci rassicurano con le dichiarazioni che sono rimasti in contatto e hanno imparato a conoscersi sul serio. Se non fosse per la trovata in ogni caso, e se fosse una serie scripted, sarebbe solo passabile. 

lunedì 15 aprile 2024

COLIN FROM ACCOUNTS: divertente e romantica

È una piccola serie australiana sia divertente che romantica Colin from accounts (potremmo tradurlo Colin della contabilità, BBC2, Paramount+ negli USA, ma per ora non disponibile in Italia, da quanto mi risulta), che ha vinto il TV Logie Award (annuale premio televisivo per quel continente), così come i due attori principali.  Protagonisti sono Ashley e Gordon, interpretati rispettivamente da Harriet Dyer e Patrick Brammall, che sono anche ideatori e sceneggiatori della serie, e sposati fra loro nella vita reale.  

Siamo a Sydney. Ashley, studentessa tirocinante in medicina, come “ringraziamento” per averle fatto attraversare la strada, mostra per un istante una tetta a Gordon che sta guidando e, distratto da quel flash, investe un cane ferendolo. Si sentono entrambi responsabili, e dal momento che l’animale non sembra avere un umano di riferimento, decidono di portarlo loro dalla veterinaria, la ex di lui (Annie Maynard), di dividere le spese (ben 12.000 dollari, più ruote per le zampe posteriori) e alla fine anche di prendersene cura. Lei viene sbattuta fuori di casa perché dove affitta non è possibile tenere animali e finisce per essere accolta temporaneamente da Gordon, che ha un’attività in proprio: una birreria che è microbirrificio, l’Echo Park. Con lui lavorano Chiara (Genevieve Hegney) e Brett (Michael Logo), che sono affascinati, ma anche preoccupati da quello che è successo. Ashley e Gordon sono single – lei ha da poco rotto con James (Tai Hara), che vede comunque al lavoro - e fra i due nasce un’attrazione, sebbene lui sia più vecchio di lei, e la migliore amica di lei, Megan (Emma Harvie) ritenga che farebbe meglio a concentrarsi sugli studi. Il cane, un delizioso Border Terrier che vorrei usassero di più, è quello che alla fine li riporta sempre l’uno all’altra, e fa un po’ da collante. È lui il “Colin from accounts” del titolo, perché è così che scherzosamente decidono di chiamarlo.

La parte romantica funziona perché i personaggi si conoscono gradualmente e si capisce che cosa li attrae l’uno dell’altra, non è una storia d’amore istantanea, ma costruita e di progressiva rivelazione reciproca, e si crea un bellissimo rapporto di complicità. Bisticciano magari, ma con affetto. Nasce in primis un’amicizia, e poi ci si interroga se possa diventare amore. E in un mondo in cui è facile finire a letto al primo appuntamento l’ostacolo al consumo fisico del rapporto – il classico lo-faranno o non-lo-faranno che è un tropo delle rom-com– è stato creato in modo realistico. Gordon esce da poco da un tumore e deve fare una uretroscopia in “Toyota Cressida” (1.03), per cui è richiesto del medico che non abbia rapporti, ma lei non lo sa, ad esempio.

La parte umoristica è credibile anche nelle situazioni apparentemente già battute da altri o imbarazzanti – lui le manda per errore una foto in cui gli si vede l’organo sessuale e non sembra assurdo quel “per errore”, ma ha tutto il senso del mondo e se finiscono a parlarne sul letto di morte di qualcuno in una delle puntate più esilaranti, poco male (1.03); lei gli fa per errore pipì in un cassetto? Riescono a gestirla considerevolmente bene (1.02). Non si è al di sopra di creare umorismo scatologico: lui, visto il nome che si ritrova, si fa simpaticamente chiamare Flash, ma il suo cognome si scopre essere Crapp (“crap” è “merda” in inglese); lei capita che debba evacuare a casa di lui, che ha da poco conosciuto, ed ecco che non funziona lo sciacquone.

Si costruiscono dei personaggi sfaccettati, tridimensionali, che a mano a mano che le puntate procedono si approfondiscono, e si va oltre la facile battuta da sit-com, un po’ sul principio di Catastrophe. Delle 8 puntate, è poco riuscita “Bandit” (1.07), in cui gli amici di lei si riuniscono all’Echo Park in occasione della festa per il suo trentesimo compleanno e vanno fuori controllo, ma al contrario nella precedente “The Good Room” (1.06) si riesce a scavare nella psicologia dei personaggi e a rivelarli in occasione di una cena a cui la madre di lei Lynelle (Helen Thomson) li invita. Oltre a situazioni vagamente, deliziosamente, umoristicamente creepy, garantite anche dal compagno della madre, Lee (Darren Gilshenan), emergono delle dinamiche conflittuali e dolorose a cui Gordon reagisce in modo impeccabile e che cementano l’intimità emotiva fa i due protagonisti in modo notevole anche per una serie drammatica: proprio eccellenti.   

Con genuino interesse umano, trama imprevedibile, scambi di dialogo arguti, attori con una buona capacità di rendere le battute frizzanti e dinamiche, situazioni dolci ma non sdolcinate, Colin from accounts riesce a confezionare un piccolo gioiellino che è già stato rinnovato per una seconda stagione.  

La serie, che ha una sigla che è un montaggio di homevideo con cani, è prodotta da Easy Tiger Productions and CBS Studios per Foxtel. Mi ha sorpreso che ogni puntata esordisse con una dichiarazione che dice: “Il Gruppo Foxtel riconosce i Proprietari e Custodi Tradizionali della terra su cui questo programma è stato prodotto. Rendiamo omaggio a tutte le persone delle Prime Nazioni e ringraziamo gli Anziani passati e presenti”. Immagino si possano scrivere pagine anche solo su questa dichiarazione. Affascinante.  

venerdì 5 aprile 2024

TINY BEAUTIFUL THINGS: le piccole, grandi cose della vita

Basata sul libro “Piccole cose meravigliose” di Cheryl Strayed, Tiny Beautiful Things – Le piccole cose della vita, miniserie di Hulu disponibile in Italia su Star (Disney+) portata in TV da Liz Tigelaar, fa riferimento nel suo titolo a tutte quelle piccole cose belle che non credi di poter meritare perché ti senti uno schifo, ma che in realtà dovresti essere in grado di vedere. Ogni puntata ha una sceneggiatrice diversa ma, pur con situazioni più o meno convincenti, nel tono generale non si nota perché riesce ad essere ben uniforme: un coro che canta la stessa canzone.

Protagonista è Clare Pierce, sull’orlo dei 50, interpretata da Kathryn Hahn da adulta e da Sarah Pidgeon da giovane, entrambe molto convincenti nella parte, e credibili come una la versione adulta dell’altra. È una operatrice sanitaria in una casa di riposo che aveva ambizioni come scrittrice finite un po’ in disparte dai fatti della vita, che si ritrova a curare una rubrica di consigli firmandosi come Sugar. È sposata con Danny Kincade (Quentin Plair), con cui il rapporto è però in crisi, anche se fanno terapia di coppia cercando di riparare la situazione. In particolare lui l’ha sbattuta fuori di casa perché le rimprovera di aver dato al fratello Lucas (Nick Stahl da adulto e Owen Painter da giovane) dei soldi che avevano messo da parte per pagare l’università della loro figlia, per ora ancora adolescente, Frankie Rae (Tanzyn Crawford), che è particolarmente ostile alla madre, da cui si sente incompresa. Clare, nel dare i propri consigli sotto pseudonimo alla gente, esamina quello che accade nella propria vita, che sembra a rotoli o sul punto di esserlo, e torna con la memoria alla giovinezza, quando ha conosciuto l’attuale marito e in particolare al periodo in cui era ancora viva sua madre Frankie Pierce (Merritt Wever), precocemente morta di cancro quando lei aveva 22 anni e, almeno nei ricordi, era una specie di esempio di virtù e santità materna.

Il punto di forza della serie, che ho gradito ma non mi ha trascinata, è che mostra personaggi davvero umani, che si vogliono bene e nondimeno si feriscono, che sono anche un po’ persi, disordinati, alla deriva, spezzati. Quello che non me lo ha fatto apprezzare totalmente è che è sembrato troppo “impostato”, troppo “compito in classe” su questo argomento, un po’ troppo “ho imparato che…”. Come scrittrice la protagonista di interroga: “chi sono io? La figlia di mia madre, la madre di mia figlia, un brava scrittrice”; e nella mirabile “The Nose” (1.05, scritta da Des Moran), una tesina su “Il  Naso” di Gogol in forma di puntata televisiva  quella tesina che Clare non è riuscita a consegnare pur essendo il solo compito che le rimaneva per laurearsi, perché le è mancata la madre che, iscrittasi pure lei al corso con la figlia riceve invece una laurea pur essendo defunta, si riflette sul racconto come modo allegorico di narrare su che cosa accadrebbe se cose impossibili diventassero possibili. Si parla anche di sesso - anche se il buon senso ci fa domandare chi mai prenderebbe consigli da una donna che usa un vibratore di una marca tanto scadente che le si fulmina in mezzo alle gambe mentre lo usa, ferendola (1.06) e, sarò cinica, ma anche quanto credibile sia che una americana non faccia poi causa alla casa produttrice (in questo caso ragionevolmente).

Fra i riferimenti alla televisione che hanno fatto ho gradito quello a General Hospital, citato due volte (1.05) perché era evidente che chi scriveva conosceva la storyline di Monica Quartermaine che si era ammalata di cancro alla mammella e l’osservazione che il fratello fa a Clare, paragonandola a Carly nella soap: fa sorridere perché è molto “vita reale”.

Potente la chiusura di stagione, soprattutto in quelle scene in cui i personaggi discutono e si attaccano fra loro con un continuo passaggio fra attori adulti e attori giovani. Lo stratagemma stilistico rende più incisivo il valore di quello che si dicono nell’ottica del loro passato. Quello che vedono davanti ai propri occhi infatti non è solo la persona attuale, ma anche quella passata, rendendo la presente carica di tutto quello che c’è stato nel rapporto fra loro. Con il fatto che è avvenuto quando ormai per tutta la stagione li abbiamo visti, è scivolato in maniera naturale e pregnante.

Gli argomenti trattati, dall’amore alla morte, dal matrimonio ai rapporti genitori-figli, dal lutto alla rabbia al perdono, sono tutti tosti e non si finge che non sia così. Potenzialmente è uno strappalacrime, ma sono rari i momenti in cui davvero si frigna.