Nella nuova serie della
NBC Zoey’s Extraordinary Playlist –
ha debuttato negli USA il 7 gennaio – Zoey (Jane Levy, Suburgatory) è una codificatrice, la migliore, a sentire la sua
boss, Joan (Lauren Graham, Gilmore Gilrs,
Parenthood), per una azienda di San
Francisco che si occupa di app e smart device, la SPRQ Point. Il padre Mitch (Peter
Gallagher, The OC) soffre di paralisi
sopranucleare progressiva, una rara malattia neurologica degenerativa che lo
lascia immobile e incapace di parlare o nutrirsi da solo – a prendersene cura sono
la madre Maggie (Mary Steenburgen) e il fratello David (Andrew Leeds).
Zoey, visto il padre,
per scrupolo decide di andare a fare una risonanza magnetica. Mentre la sta
facendo, c’è un terremoto e accade il fattaccio: stava ascoltando una playlist
di musica e in qualche modo questo evento le ha fatto sviluppare un superpotere,
ovvero quello di percepire pensieri ed emozioni delle persone che le sono
vicine, ma sottoforma di canzoni e numeri musicali – o in alternativa sta
diventando matta, come confessa intimorita al vicino di casa, Mo (Alex Newell),
un DJ gender-ambiguo (l’attore, sulla base del suo profilo su Wikipedia,
si identifica come un uomo gay non cisgender, e mi pare di capire che il
personaggio rifletta questo – spero che il mio usare il maschile sia
appropriato).
Ecco allora che sul
lavoro percepisce che l’uomo per cui ha una cotta, Simon (John Clarence
Stewart), sta passando un periodo veramente infelice, nonostante l’apparenza
contraria, o che il suo collega e miglior amico Max (Skylar Astin, Crazy Ex-Girlfriend) si è innamorato
lei, o ancora che quello che le dichiara sostegno in realtà è un rivale
interessato solo a posizione e soldi…non una situazione facile da navigare.
La serie raccoglie
indubbiamente il testimone da Crazy
Ex-Girlfriend, da cui eredita anche l’attore Skylar Astin (che ha
interpretato Greg nell’ultima stagione), con un pizzico di The Unbreakable Kimmy Schmidt, soprattutto per il rapporto Zoey-Mo che
richiama quello Kimmy-Titus, ed echi di Ally
Mcbeal. Il senso ultimo del musical come genere, ovvero quello di portare
alla luce sentimenti molto profondi troppo forti perché si possano esprimere
solo a parole, viene qui fatto emergere dall’escamotage del superpotere. L’espediente
dell’incidente di laboratorio, stile Uomo Ragno, non trasporta però il
personaggio nel campo dei supereroi tradizionalmente intesi, ma è inteso al
limite come controbilanciamento dell’handicap del padre e come commento alle
difficoltà comunicative nelle emozioni e come riflessione sulle ciò che
proviamo e maschere che indossiamo, fra lo iato perciò nell’esperienza umana
fra essere e mostrare, fra provare e trasmettere.
Il punto debole mi è
parso di primo acchito la rappresentazione della patologia paterna, presa un po’
allegramente, mi pare, un po’ troppo pretestuosa con il genitore ridotto ad un
bambolotto funzionale alla storia. E il disagio di uno dei colleghi con le
donne, pronto a fare commenti sessisti poi smontati dagli altri, non mi è
sembrato del tutto a fuoco. Penso ci sia la nobile intenzione di denunciarli,
ma che vada rifinito.
Il fatto che le canzoni
siano mostrate non interamente, ma in piccoli stralci e che siano genericamente
ben note, diversamente da quelle della serie di Rachel Bloom dove erano
originali, funziona. In questa creazione di Austin Winsberg potenziale
interessante c’è e una certa gradevole leggerezza nell’approccio agli argomenti
pure, ci sono dinamismo, vivacità e cuore, senza essere troppo zuccherini, per
cui c’è tutto il necessario, o quanto meno a sufficienza, da stare a vedere
dove ci conduce.
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