domenica 18 giugno 2017

AMERICAN CRIME: la terza stagione sulla schiavitù moderna


Sempre potente e appassionante nella sua dolorosità, American Crime ha terminato la terza stagione come aveva chiuso la seconda, con una sospensione, con alcuni dei personaggi di fronte a un giudice in un'aula di tribunale. Il grande tema di questo segmento è stato la schiavitù moderna: dei lavoratori agricoli, dei lavoratori del sesso, dei lavoratori domestici. La serie ha fornito aridi dati con lucidità, ma poi li ha soprattutto incarnati in vicende umane fatte di disperazione. E alla fine, ha mostrato come gli ingranaggi del sistema distruggano tutti, non solo le presunte vittime, ma come anche i più idealisti alla fine cedano sotto la pressione di una realtà che non lascia scampo a nessuno.

ATTENZIONE SPOILER

Luis Salazar (Benito Martinez) viene dal Messico in cerca del figlio scomparso e finisce per farsi assumere per raccogliere pomodori, in una fattoria dove gli operai sono costretti a lavorare in condizioni estreme per quasi nulla, fra ricatti, violenze e abusi di ogni sorta. Scoprirà che lì il figlio è morto, la stessa sorte che tocca al giovane Coy Henson (Connor Jessup), che reclutato da Issac Castilo (Richard Cabral), viene spinto a far uso di quella droga da cui cerca di liberarsi, malato e sfruttato. Vengono in mente le vicende dei neri negli anni successivi alla fine della schiavitù, vengono in mente passaggi di “Furore” di Steinbeck. Quando scopre che le morti che avvengono nella fattoria di proprietà della sua famiglia acquisita non vengono nemmeno riportate dai giornali, e si rende conto delle condizioni in cui sono costretti a vivere gli operai, Jeannette (Felicity Huffman) si impegna perché vuole cambiare le cose.  
La diciassettenne Shae (Ana Mulvoy-Ten) è esplicita. “mi scopo uomini nei vicoli perché è meglio di quello da cui vengo” (3.04) – finisce prima incinta, poi ammazzata per uno screzio insulso, il suo cadavere buttato nel fiume. L’assistente sociale Kimara Walters (Regina King), che disperatamente vuole un bambino ma non ha il denaro per i trattamenti di fertilità necessari, si fa in quattro rispondendo anche alle chiamate notturne degli adolescenti che vivono allo sbando, cercando loro un tetto temporaneo, e aiutandoli e indirizzandoli come può.
Clair Coates (Lili Taylor) è apparentemente una donna agiata, ma è costantemente vittima dell’abuso verbale, emotivo e psicologico, del marito Nicholas (Timothy Hutton), divorato dalle preoccupazioni di un’azienda che sta fallendo, che le dice che non vale nulla e che la tratta come una parassita. Assume una tata di Haiti, Gabrielle Durand (Mickaële X. Bizet), perché viva con loro in modo che il figlio possa imparare il francese da una parlante nativa. Dice a tutti che la donna è un’autolesionista, quando è lei (si scopre in chiusura, ma i segnali c’erano) che le procura ferite e bruciature di ogni tipo.

American Crime ci dice che nella sola North Carolina il 39% dei 150.000 contadini dello Stato riportano di essere stati oggetto di traffico illegale o di aver ricevuto abusi di altro tipo: fisici, sessuali, minacce di morte, furto salariale, esposizione a sostanze chimiche e pesticidi dannosi…In un buisiness che porta all’economia americana 200 miliardi di dollari. (3.02)  E ammonisce che il cibo sulle nostre tavole viene a un prezzo che non possiamo vedere. Lo stesso gli abiti e gli oggetti. Qual è il costo che si paga per vivere come facciamo? Chi lo paga? Possiamo decidere di ignorarlo. Tutti facciamo finta di non saperlo a volte, ma non possiamo essere ignoranti (3.03) Dopo quello che la serie ha mostrato attraverso le sue storie, ovvero come per molti non ci sia una vera scelta e che sia solo fra morire di fame o vendersi, fra vivere o morire, si sgonfiano da sole nella loro insignificante cecità di fronte alla realtà del mondo le dichiarazioni di due uomini bianchi che, a un party di beneficenza, si lamentano del fatto che il cosiddetto “privilegio del maschio bianco” sarebbe un mito, a loro modo di vedere, e che quella che chiamiamo “moderna schiavitù” il resto del mondo lo chiama “lavoro o “impiego”.

E se la schiavitù moderna è una crisi urgente, la serie non ha soluzioni facili.  Kimara viene messa davanti a una scelta da una collega, Abby Tanaka (Sandra Oh, Grey’s Anatomy): mentire, dicendo che alla sua fondazione lei invia perché abbiano un letto un certo numero di persone che di fatto non raggiunge. (3.06) Abby le spiega che non ricevono il denaro se non raggiungono un certo numero di invii, ma non possono accettare quel numero di invii se non ricevono il denaro. Che cosa fare?

In conclusione,  i personaggi che più hanno lottato cedono. Kimana, dopo che Dustin (Kurt Krause) confessa quello che è accaduto a Shae, alla fine accetta una proposta di lavoro di Abby chiedendo una somma di denaro molto maggiore di quella che le era stata proposta per andare a lavorare con lei: quel denaro così non andrà a quei giovani di strada per cui si è sempre battuta, ma almeno lei potrà permettersi di pagarsi quei trattamenti che le daranno la possibilità di rimanere incinta. Jeannette, che aveva lasciato il marito Carson (Dallas Roberts) e denunciato le pratiche nella fattoria, rimane senza via d’uscita economica; per poter chieder l’affidamento dei figli della sorella Raelyn (Janel Moloney), finita in carcere per problemi di droga, decide di “tornare all’ovile” e di sostenere la famiglia da cui si era allontanata.

La serie, ricca di dettagli e sfumature, brilla aprendo le menti, ma spezzando il cuore perché mostra un mondo spietato dove la giustizia ci prova anche, ma troppo spesso fallisce e distinguere i “buoni” dai “cattivi” a volte è davvero impossibile.  

Nessun commento:

Posta un commento