Sempre
potente e appassionante nella sua dolorosità, American Crime ha terminato la terza stagione come aveva chiuso la
seconda, con una sospensione, con alcuni dei personaggi di fronte a un giudice
in un'aula di tribunale. Il grande tema di questo segmento è stato la schiavitù
moderna: dei lavoratori agricoli, dei lavoratori del sesso, dei lavoratori
domestici. La serie ha fornito aridi dati con lucidità, ma poi li ha
soprattutto incarnati in vicende umane fatte di disperazione. E alla fine, ha
mostrato come gli ingranaggi del sistema distruggano tutti, non solo le
presunte vittime, ma come anche i più idealisti alla fine cedano sotto la
pressione di una realtà che non lascia scampo a nessuno.
ATTENZIONE
SPOILER
Luis Salazar
(Benito Martinez) viene dal Messico in cerca del figlio scomparso e finisce per
farsi assumere per raccogliere pomodori, in una fattoria dove gli operai sono
costretti a lavorare in condizioni estreme per quasi nulla, fra ricatti,
violenze e abusi di ogni sorta. Scoprirà che lì il figlio è morto, la stessa
sorte che tocca al giovane Coy Henson (Connor Jessup), che reclutato da Issac
Castilo (Richard Cabral), viene spinto a far uso di quella droga da cui cerca
di liberarsi, malato e sfruttato. Vengono in mente le vicende dei neri negli
anni successivi alla fine della schiavitù, vengono in mente passaggi di
“Furore” di Steinbeck. Quando scopre che le morti che avvengono nella fattoria
di proprietà della sua famiglia acquisita non vengono nemmeno riportate dai
giornali, e si rende conto delle condizioni in cui sono costretti a vivere gli
operai, Jeannette (Felicity Huffman) si impegna perché vuole cambiare le cose.
La
diciassettenne Shae (Ana Mulvoy-Ten) è esplicita. “mi scopo uomini nei vicoli
perché è meglio di quello da cui vengo” (3.04) – finisce prima incinta, poi
ammazzata per uno screzio insulso, il suo cadavere buttato nel fiume. L’assistente
sociale Kimara Walters (Regina King), che disperatamente vuole un bambino ma
non ha il denaro per i trattamenti di fertilità necessari, si fa in quattro
rispondendo anche alle chiamate notturne degli adolescenti che vivono allo sbando,
cercando loro un tetto temporaneo, e aiutandoli e indirizzandoli come può.
Clair Coates
(Lili Taylor) è apparentemente una donna agiata, ma è costantemente vittima
dell’abuso verbale, emotivo e psicologico, del marito Nicholas (Timothy
Hutton), divorato dalle preoccupazioni di un’azienda che sta fallendo, che le
dice che non vale nulla e che la tratta come una parassita. Assume una tata di
Haiti, Gabrielle Durand (Mickaële X. Bizet), perché viva con loro in modo che il
figlio possa imparare il francese da una parlante nativa. Dice a tutti che la
donna è un’autolesionista, quando è lei (si scopre in chiusura, ma i segnali
c’erano) che le procura ferite e bruciature di ogni tipo.
American Crime ci dice che nella sola
North Carolina il 39% dei 150.000 contadini dello Stato riportano di essere
stati oggetto di traffico illegale o di aver ricevuto abusi di altro tipo:
fisici, sessuali, minacce di morte, furto salariale, esposizione a sostanze
chimiche e pesticidi dannosi…In un buisiness che porta all’economia americana
200 miliardi di dollari. (3.02) E
ammonisce che il cibo sulle nostre tavole viene a un prezzo che non possiamo
vedere. Lo stesso gli abiti e gli oggetti. Qual è il costo che si paga per
vivere come facciamo? Chi lo paga? Possiamo decidere di ignorarlo. Tutti
facciamo finta di non saperlo a volte, ma non possiamo essere ignoranti (3.03) Dopo
quello che la serie ha mostrato attraverso le sue storie, ovvero come per molti
non ci sia una vera scelta e che sia solo fra morire di fame o vendersi, fra
vivere o morire, si sgonfiano da sole nella loro insignificante cecità di
fronte alla realtà del mondo le dichiarazioni di due uomini bianchi che, a un
party di beneficenza, si lamentano del fatto che il cosiddetto “privilegio del
maschio bianco” sarebbe un mito, a loro modo di vedere, e che quella che
chiamiamo “moderna schiavitù” il resto del mondo lo chiama “lavoro o “impiego”.
E se la
schiavitù moderna è una crisi urgente, la serie non ha soluzioni facili. Kimara viene messa davanti a una scelta da
una collega, Abby Tanaka (Sandra Oh, Grey’s
Anatomy): mentire, dicendo che alla sua fondazione lei invia perché abbiano
un letto un certo numero di persone che di fatto non raggiunge. (3.06) Abby le
spiega che non ricevono il denaro se non raggiungono un certo numero di invii,
ma non possono accettare quel numero di invii se non ricevono il denaro. Che
cosa fare?
In
conclusione, i personaggi che più hanno
lottato cedono. Kimana, dopo che Dustin (Kurt Krause) confessa quello che è
accaduto a Shae, alla fine accetta una proposta di lavoro di Abby chiedendo una
somma di denaro molto maggiore di quella che le era stata proposta per andare a
lavorare con lei: quel denaro così non andrà a quei giovani di strada per cui
si è sempre battuta, ma almeno lei potrà permettersi di pagarsi quei
trattamenti che le daranno la possibilità di rimanere incinta. Jeannette, che
aveva lasciato il marito Carson (Dallas Roberts) e denunciato le pratiche nella
fattoria, rimane senza via d’uscita economica; per poter chieder l’affidamento
dei figli della sorella Raelyn (Janel Moloney), finita in carcere per problemi
di droga, decide di “tornare all’ovile” e di sostenere la famiglia da cui si
era allontanata.
La serie,
ricca di dettagli e sfumature, brilla aprendo le menti, ma spezzando il cuore
perché mostra un mondo spietato dove la giustizia ci prova anche, ma troppo
spesso fallisce e distinguere i “buoni” dai “cattivi” a volte è davvero
impossibile.
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