Ideata da Jim Gavin che
si è ispirato al romanzo di Thomas Pynchon “L’incanto del lotto 49”, Lodge 49 (AMC, Amazon Prime), è una
serie che riflette sul senso della vita e dei rapporti umani con un vago senso
di realismo magico che permea le vicende di personaggi apparentemente sconfitti
dalla realtà.
I protagonisti sono Sean
“Dud” Dudley (Wyatt Russell, figlio di Kurt Russell e Goldie Hawn), un ex-surfista
californiano che durante un viaggio in Nicaragua è stato morso da un serpente e
gli è rimasta una ferita mai guarita completamente che lo lascia zoppicante, che
vive alla giornata, e sua sorella gemella Liz (Sonya Cassidy), che lavora come
cameriera in un locale senza troppe pretese, lo Shamroxx. Dopo la morte del
padre, che gestiva un negozio di pulizia di piscine e che li ha lasciati con un
grosso debito da estinguere, si ritrovano ad affrontare una vita
economicamente, e sono solo, incerta. Un giorno sulla spiaggia, Dud trova un anello
con il simbolo di quello che viene chiamato l’Ordine della Lince. Per puro caso
(?) si ritrova di fronte a un edificio che porta quel simbolo e viene in
contatto con la Loggia 49, un gruppo di svariati personaggi con aspirazioni
alchemico-spirituali, un po’ famiglia l’uno per l’altro, e decide di iscriversi
diventando “scudiero”, sperando di trovare un nuovo senso a tutto. Mentre Liz cerca
disperatamente di guadagnare il necessario per vivere e vede poco altro, nella
vita di Dud, che ha un atteggiamento molto più rilassato e positivo a dispetto
di tutto, entrano a far parte gli iscritti della loggia: Ernie Fontaine (Brent
Jennings), un venditore di prodotti idraulici di mezza età all’inseguimento
dell’elusivo “Capitano” che gli faccia fare un colpaccio professionale, amante
della sposata Connie (Linda Emond) e “Cavaliere Luminoso” che aspira ad essere
il prossimo Sovrano Protettore della loggia, dopo Larry (Kenneth Welsh, Twin Peaks), che dà ormai segni di
instabilità; Blaise (David Pasquesi), farmacista alternativo studioso dei
misteri alchemici e storici della loggia nonché suo barman.
Se dovessi descrive con
una sola parola la serie, sceglierei una parola dialettale veneta: “smonata”,
ovvero disillusa, demotivata, vagamente svogliata. Allo stesso tempo però c’è
un senso di residuale resistenza umana verso il grigiore della vita e di
anelito verso un’esistenza autentica, e un sentimento di ottimismo. Ernie
(1.04), in quello che incapsula lo spirito ultimo, confessa che non vuole
vivere per sempre, vuole vivere davvero, anche per poco e col poco che ha, con
contatti umani. La gente cerca gli unicorni quando abbiamo i rinoceronti, dice.
Non è una serie contro le fantasie e le ambizioni, ma è una serie che invita a
trovare magia nella realtà. I toni caldi e luminosi della Long Beach californiana
la immergono in un’aura di speranza, e si è lontanissimi da possibili
altisonanti pomposità. Volatili segni
invitano a leggere in modo simbolico molto di quello che vediamo sullo schermo.
Si parla di sogni, di invecchiare, di amore, capitalismo, morte e lutto, desideri…
Ammetto che mediamente ha
entusiasmato la critica più di quanto non abbia preso me, che pure ne vedo
l’ambizione e l’aspirazione filosofica. La parte spirituale mi ha fatto
ripensare a The Path, perché ne
condivide segni e immaginario, in alcuni passaggi, ma se lì si riflette
sull’oligarchia di una setta e sul suo potere corrosivo e opprimente, qui non
ci si spinge mai in terreni propriamente religiosi, e si guarda alla crescita
personale, alla liberazione individuale e al senso di comunità e
fratellanza. E c’è una sottilissima
pervasiva sotterranea ironia che redime da ogni possibile fanatismo – che sia
l’arrivo dell’emissario della Loggia di Londra o la scoperta in una stanza
segreta di una “mummia” (1.04), a dispetto di Blaise che si rifiuta di
definirla tale... Ci si spinge verso il surreale, ma si rimane sul confine,
sempre comunque ancorati alla realtà.
La seconda stagione negli USA è disponibile dal 12 agosto. Presto anche sullo store italiano, immagino.
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