Shock (1.01), Negazione
(1.02), Paura (1.03), Vergogna (1.04), Negoziazione (1.05), Colpa (1.06),
Rabbia (1.07), Accettazione (1.08): attraverso queste otto fasi, rielaborazione
delle ben note cinque fasi del lutto, e titoli delle puntate corrispettive, si
snoda la notevole I Hate Suzie (Sky Atlantic).
Suzie Pickles (Billie
Piper, Secret Diary of a Call Girl – Diario di una squillo perbene) è un’attrice
che è una celebrità fin da bambina. Sta per firmare un pingue contratto con la
Disney quando qualcuno sottrae dal suo telefonino e diffonde in rete delle foto
pornografiche che la ritraggono mentre pratica la fellatio a un uomo che non è il
marito Cob (Daniel Ings), ma come presto si viene a scoprire lo showrunner del
programma in cui lei lavora, Carter (Nathaniel Martello-White). Questo manda
all’aria tutto il suo mondo e deve capire come affrontare e superare
l’accaduto, sia sul fronte familiare, dove ha anche un bambino sordo, Frank
(Matthew Jordan Caws), che su quello professionale. Ad aiutarla e sostenerla
c’è la sua amica e agente Naomi (Leila Farzad), lei stessa in crisi, anche
perché vorrebbe un figlio ma il suo orologio biologico dice che il suo tempo
per questo sta per scadere.
Billie
Piper, che ha co-ideato la serie insieme all’amica Lucy Prebble che ha scritto tutte le puntate,
riservandosi il ruolo di protagonista ha co-costruito un mezzo ideale per
veicolare la sua indubbia bravura: vulnerabile, esposta improvvisamente al
mondo anche nei propri aspetti più intimi, è una girandola di emozioni, e
riesce a trasmetterle con potenza, meditando su temi come l’essere donna,
l’amicizia, l’amore, la cultura della celebrità, la libertà morale della
persona qui violata dalla diffusione illecita di immagini sessualmente
esplicite, la rappresentazione visuale dell’amore fisico, le decisioni di vita,
il desiderio, la felicità... E anche stilisticamente, la narrazione è intensa e
coinvolgente in un istante, apparentemente fuori fuoco e controllo il momento
successivo, un po’ come la protagonista che è crollata a pezzi e cerca di
trovare un nuovo equilibrio.
Una
puntata che ha particolarmente colpito nel segno è stata “Shame” (1.04) in cui
Suzie deve gestire la stampa: come si sente e come è accettabile far vedere che
si sente? Non è sicura. Dovrebbe fingere di vergognarsene e mostrare di sentirsi
una sgualdrina o fiera di essere libera di fare quello che le pare? I passaggi
dell’intervista, che la vedono ora rispondere in una direzione ora nell’altra a
seconda della percepita reazione dall’altra parte, sono emblematici di queste
opposte tensioni. Il resto della puntata è per la gran parte lei che si
masturba, prima usando la mano, poi un vibratore. Per fortuna, sempre di più si
vede le donne farlo sullo schermo, e non solo per titillare le fantasie degli
uomini eterosessuali o ai fini umoristici (e si legga questo articolo
già del 2015 sull’importanza che questo avvenga). Qui l’aspetto insolito e
prorompente è che, mentre lo fa, passa da fantasia a fantasia, senza riuscire a
trovare quella giusta. Nella sua mente compare Naomi che la critica e la spinge
a interrogarsi su che cosa sia realmente il suo desiderio e che cosa invece
siano idee maschili perpetrate nei secoli. Se il fatto che l’amica le appaia
mentalmente come modo per ragionare sui propri desideri è umoristico, il
contenuto della riflessione sulla politica del desiderio non potrebbe essere
più serio, o più rilevante per una donna contemporanea che cerca di riscrivere
il proprio ruolo nel mondo scardinando tabù e concezioni che nel tempo non le
sono stati favorevoli. Su questo tema in parte si torna.
Una componente della forza del programma sta nell’essere presente nello Zeitgeist di questo
momento storico, consapevole delle tensioni multiple che la singola persona
vive e su cui si interroga. In “Bargaining” (1.05) Naomi esce con un uomo che
si macchia di mansplaining
nella forma più smaccata, ed è evidente che lei non apprezza, ma alla fine sono
altri gli impulsi che la guidano nel relazionarsi a lui. Alla stessa maniera ci
si pone nei confronti dell’amore, e dell’amicizia, osservando l’importanza
della capacità delle donne di esserci per le altre donne. E ovunque è casa se è
un luogo dove ci si sente al sicuro, e protetti e sostenuti: questa è la
convinzione di base.
Con
il fatto che la protagonista è un’attrice, e la si vede recitare, si mostrano
gli scarti fra realtà e sua rappresentazione. In “Fear” (1.03) si mettono a
confronto la paura che si vive alla paura che lei come attrice deve mostrare di
avere nell’horror che sta girando. E ci si concede dei momenti in cui ci sono
apparenti variazioni di registro che rivelano l’intimo animo della
protagonista. Alla fine del pilot, ad esempio, stravolta, Suzie balla e canta
per la strada in un soliloquio in cui sfoga tutte la furia delle sue emozioni
negative.
Scrive
bene Allison Shoemaker
quando scrive che la serie verrà inevitabilmente paragonata a Fleabag
perché in entrambi i casi al centro c’è una donna che fa infuriare le persone
che la amano, se stesse incluse, sono particolarmente franche su argomenti come sesso e il dolore emozionale,
non mostrano trepidazione nel chiedere al pubblico di empatizzare con loro e la
loro furia, e usano i trucchi narrativi e di genere necessari a raccontare la
storia, così condivido quando osserva che è una storia sulle conseguenze delle
proprie azioni in un mondo che non accetta una via di mezzo fa “essere una
principessa” (il ruolo professionale che la Disney aveva offerto a Suzie) ed
essere la strega cattiva. La serie vive in quell’area intermedia, brutale e
senza compromessi: è una posizione estenuante, ma intenzionale: “con essa
arriva l'onestà, la bruttezza, l'empatia, l'ambizione, e alcune battute molto
divertenti, spesso sporche”.
È una storia sfrontata ed emozionale, ricca di contraddizioni, dolorosa e spiritosa.
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