È probabilmente il cinismo la nota distintiva di
House of Cards, la serie politica che
lo scorso hanno ha segnato il debutto di Netflix (il colosso di video on demand e DVD spediti per posta) nel
campo della produzione seriale, con le puntate della stagione (13) lanciate
contemporaneamente nello stesso momento, ideale per gli amanti del binge
watching, pratica che ha i suoi punti di forza.
House of
Cards, basata sull’omonima apprezzata serie britannica, che
ammetto di non aver visto, è sviluppata da Beau Willimon, che nel 2003 ha
lavorato alla campagna per le presidenziali di Howard Dean e ha avuto una
nomination all’Oscar per l’adattamento de “Le idi di marzo” sulla base di una
sua opera teatrale. Si lascia alle spalle l’idealismo alla Aaron Sorkin di The West Wing, di funzionari colti e
coinvolti, guidati da un presidente- pater
familias di un’era post-Clintoniana liberale, e in questo senso ha scritto
bene il New
York Times, quando ha detto che il programma “non è un cri de coeur, ma una fredda dissezione del panorama post-Obama (o
post-l’Obama-che-molti-speravano-di-aver-votato), post-speranza. È una visione
del governo americano non come vorremmo che fosse, ma come segretamente abbiano
paura che sia”. Il tipo di atmosfera e di visione della natura umana sono più
alla Boss
e alla Damages, i titoli che vi sono
più affini, a partire dalla concezione della sigla. In questo senso non c’è niente che non si sia
già visto, e per questo forse la critica non si è lanciata in lodi sperticate,
ma l’eccellenza della recitazione, della regia, della sceneggiatura e della
messa in scena in genere e l’attenzione al dettaglio lo rendono comunque un
programma d’alto livello.
Protagonista è Francis Underwood (Kevin Specey),
un onorevole del South Carolina a cui non viene data la poltrona di Segretario
di Stato che gli era stata promessa e che per questo intende mettere in atto la
sua personale vendetta. Della sua scalata al potere, senza scrupoli, ci rende
partecipi rompendo le tre dimensioni e parlando direttamente in camera, novello
Riccardo III. Non è la prima volta che si vede uno stratagemma del genere, ma
grazie alla bravura dell’attore, queste confessioni a latere non sono dirette a un ascoltatore altro che non vediamo,
ma hanno il potere di far sentire lo spettatore un personaggio stesso della
narrazione. Nelle sue ambizioni Francis – che manipola la stampa a suo vantaggio,
passando informazioni a una ambiziosa giovane reporter, Zoe (Kate Mara) che si
porta a letto; che usa per i propri fini un padre aspirante governatore con
problemi di alcol e droga alle spalle, Peter Russo (Cory Stoll); che mente e
macchina perché la riforma sull’educazione lo conduca lì dove vuole arrivare - è
sostenuto da una moglie, Claire (Robin Wright, in un ruolo che le è meritatamente
valso il Golden Globe) che gli è anima gemella e complice, una sorta di Lady
Macbeth.
La serie è la storia di un matrimonio, di
ambizione, di rapporti sociali, di rapporti di lavoro, di che cosa si è
disposti a sacrificare per ottenere ciò che si vuole, di equilibri fra
interessi, di confini fra verità e menzogna, di mass media, di social media, di
politica, di ripicche, di sesso, di amore, di piccinerie, di rimpianti, di
immagine e sopra ogni cosa, di potere, la vera “ossessione” dello show, per usare la parola utilizzata da Adam
Sternbergh sul sopracitato articolo del NYTimes. È una serie oscura che è “una
sorta di manifesto artistico, uno che riconosce la politica come un palco su
cui più profonde verità umane vengono costantemente rivelate”. E un luogo dove “‘Tutte
le relazioni sono transazionali” (…) Anche l’amore. L’amore potrebbe essere la
relazione più transazionale di tutte”.
Come thriller la serie funziona alla perfezione,
e la nota dominante di spietato cinismo – che pure avevo trovato invece
eccessiva in Boss - non dispiace,
forse anche perché è contemperata dal fatto che, sebbene i personaggi
principali siano freddi e impassibili nel perseguire i propri obiettivi, si
intende bene che non tutti sono così e molti vengono annientati da questo modo
di fare. La serie riesce a brillare anche in alcuni dettagli narrativi
apparentemente senza seguito: penso a Claire che ha a fare jogging in cimitero
e viene rimproverata da una donna lì per rendere omaggio ai defunti, o nella
scena in cui un senza tetto le getta a terra del denaro, o ancora in quella in
cui fa visita in ospedale ad un poliziotto sul letto di morte che le dichiara
il suo inconfessato amore. Momenti intensi.
Lo scorso 14 febbraio è uscita la seconda
stagione della serie, già rinnovata per una terza.
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