venerdì 21 febbraio 2014

HOUSE OF CARDS: serie politica post-speranza

 

È probabilmente il cinismo la nota distintiva di House of Cards, la serie politica che lo scorso hanno ha segnato il debutto di Netflix (il colosso di video on demand e DVD spediti per posta) nel campo della produzione seriale, con le puntate della stagione (13) lanciate contemporaneamente nello stesso momento, ideale per gli amanti del binge watching, pratica che ha i suoi punti di forza.
House of Cards, basata sull’omonima apprezzata serie britannica, che ammetto di non aver visto, è sviluppata da Beau Willimon, che nel 2003 ha lavorato alla campagna per le presidenziali di Howard Dean e ha avuto una nomination all’Oscar per l’adattamento de “Le idi di marzo” sulla base di una sua opera teatrale. Si lascia alle spalle l’idealismo alla Aaron Sorkin di The West Wing, di funzionari colti e coinvolti, guidati da un presidente- pater familias di un’era post-Clintoniana liberale, e in questo senso ha scritto bene il New York Times, quando ha detto che il programma “non è un cri de coeur, ma una fredda dissezione del panorama post-Obama (o post-l’Obama-che-molti-speravano-di-aver-votato), post-speranza. È una visione del governo americano non come vorremmo che fosse, ma come segretamente abbiano paura che sia”. Il tipo di atmosfera e di visione della natura umana sono più alla Boss e alla Damages, i titoli che vi sono più affini, a partire dalla concezione della sigla.  In questo senso non c’è niente che non si sia già visto, e per questo forse la critica non si è lanciata in lodi sperticate, ma l’eccellenza della recitazione, della regia, della sceneggiatura e della messa in scena in genere e l’attenzione al dettaglio lo rendono comunque un programma d’alto livello.     
Protagonista è Francis Underwood (Kevin Specey), un onorevole del South Carolina a cui non viene data la poltrona di Segretario di Stato che gli era stata promessa e che per questo intende mettere in atto la sua personale vendetta. Della sua scalata al potere, senza scrupoli, ci rende partecipi rompendo le tre dimensioni e parlando direttamente in camera, novello Riccardo III. Non è la prima volta che si vede uno stratagemma del genere, ma grazie alla bravura dell’attore, queste confessioni a latere non sono dirette a un ascoltatore altro che non vediamo, ma hanno il potere di far sentire lo spettatore un personaggio stesso della narrazione. Nelle sue ambizioni Francis – che manipola la stampa a suo vantaggio, passando informazioni a una ambiziosa giovane reporter, Zoe (Kate Mara) che si porta a letto; che usa per i propri fini un padre aspirante governatore con problemi di alcol e droga alle spalle, Peter Russo (Cory Stoll); che mente e macchina perché la riforma sull’educazione lo conduca lì dove vuole arrivare - è sostenuto da una moglie, Claire (Robin Wright, in un ruolo che le è meritatamente valso il Golden Globe) che gli è anima gemella e complice, una sorta di Lady Macbeth.
La serie è la storia di un matrimonio, di ambizione, di rapporti sociali, di rapporti di lavoro, di che cosa si è disposti a sacrificare per ottenere ciò che si vuole, di equilibri fra interessi, di confini fra verità e menzogna, di mass media, di social media, di politica, di ripicche, di sesso, di amore, di piccinerie, di rimpianti, di immagine e sopra ogni cosa, di potere, la vera “ossessione” dello show,  per usare la parola utilizzata da Adam Sternbergh sul sopracitato articolo del NYTimes. È una serie oscura che è “una sorta di manifesto artistico, uno che riconosce la politica come un palco su cui più profonde verità umane vengono costantemente rivelate”. E un luogo dove “‘Tutte le relazioni sono transazionali” (…) Anche l’amore. L’amore potrebbe essere la relazione più transazionale di tutte”.
Come thriller la serie funziona alla perfezione, e la nota dominante di spietato cinismo – che pure avevo trovato invece eccessiva in Boss - non dispiace, forse anche perché è contemperata dal fatto che, sebbene i personaggi principali siano freddi e impassibili nel perseguire i propri obiettivi, si intende bene che non tutti sono così e molti vengono annientati da questo modo di fare. La serie riesce a brillare anche in alcuni dettagli narrativi apparentemente senza seguito: penso a Claire che ha a fare jogging in cimitero e viene rimproverata da una donna lì per rendere omaggio ai defunti, o nella scena in cui un senza tetto le getta a terra del denaro, o ancora in quella in cui fa visita in ospedale ad un poliziotto sul letto di morte che le dichiara il suo inconfessato amore. Momenti intensi.
Lo scorso 14 febbraio è uscita la seconda stagione della serie, già rinnovata per una terza.

Nessun commento:

Posta un commento