martedì 9 febbraio 2016

MERCY STREET: la medicina ai tempi della Guerra di Secessione americana

 
Siamo nel 1862, durante la guerra di Secessione americana in Mercy Street, la nuova serie con una prima stagione di 6 puntate in onda sull’americana PBS. E siamo ad Alexandria, in Virgina, in una cittadina della Confederazione (quindi degli Stati sudisti e schiavisti) occupata dall’Unione (quindi dagli Stati nordisti abolizionisti).
Mary Phinney (una Mary Elizabeth Winstead che interpreta un personaggio realmente esistito che ha lasciato documentazione di sé in forma di diari) è una giovane vedova antischiavista che decide di prestarsi come infermiera. La sovrintendente Dorothea Dix (Cherry Jones), le ricorda che loro sono solo “strumenti di misericordia e speranza”, nient’altro, e la manda al Mansion House Hospital, un ex-albergo convertito in ospedale dove lavorano il dottor Jedediah Foster (Josh Radnor, How I Met Your Mother), che ha problemi di dipendenza da morfina, e il più sbrigativo medico militare James Green (Norbert Leo Butz, Bloodline), mentre a prendersi cura delle anime c’è il cappellano Henry Hopkins (Luke MacFarrlane, Brothers and Sisters).
 Essendo stata nominata capo-infermiera, si trova in conflitto con una delusa Anne Hastings (Tara Summers), che aveva lavorato un Florence Nightingale nella Guerra di Crimea, ma viene sostenuta da Samuel Diggs (McKinley Belcher III) un giovane nero libero, esperto in medicina perché cresciuto nella casa di un medico. Quest’ultimo è attratto da Aurelia (Shalita Grant, NCIS: New Orleans), che scappata dalla schiavitù cerca di costruirsi una vita da donna libera, ma viene molestata e violentata dall’uomo per cui lavora, Silas Bullen (Wade Williams). L’hotel ora convertito in nosocomio militare  è di proprietà della famiglia Green. James Green (Gary Cole), cerca di temporeggiare per tenere a galla gli affari e si ricicla come venditore di bare, mentre il figlio maggiore soffre al sentirsi un codardo per non essere andato in guerra, la figlia minore ha il suo promesso fra i feriti e la figlia maggiore Emma (Hannah James), innamorata di Frank Stringfellow, (Jack Falahee, How to Get Away with Murder),  si reca come volontaria per dare sollievo in particolare ai soldati della Confederazione, che vengono trascurati a favore di quelli dell’Unione. Sarà Mary a guidare Emma.
Ideata da Lisa Wolfinger e David Zabel, inzialmente questa serie voleva essere un docudrama sulla medicina durante la Guerra Civile americana, ma poi è stato trasformato in una fiction che è una mescolanza di The Knick (e condividono come consulente medico storico il dottor Stanley Burns), di Via Col Vento e dei prodotto cultural-filosofici dell’intellighenzia dell’epoca – la Winstead si è preparata leggendo fra l’altro Hospital Sketches di Louisa May Alcott, Radnor immergendosi nella Confessioni di un mangiatore d’oppio di Thomas De Quincey.  (Washington Post).
Le vicende si mantengono in un buon equilibrio fra accessibilità e accuratezza storica, con venature sentimentali, ma l’ambizione narrativa non raggiunge il livello a cui la si vede tendere. Le grandi tematiche su cui fa leva la storia, in particolare la condizione delle donne, quella dei neri, la rudimentalità della medicina, l’abuso di sostanze da parte della classe medica e l’aborto (1.02) sono le stesse affrontate dalla ben superiore The Knick, ambientata circa mezzo secolo più tardi, di cui sembra essere una fotocopia sbiadita.  Nondimeno si affronta intanto un periodo storico in fondo poco visitato dalla serialità americana –sorprendentemente visto che non manca generalmente oltreoceano una spiccata tendenza auto-celebrativa – e poi l’affrontare tematiche come gli echi della guerra e il costo psicologico che ha su chi la combatte; il suicidio (1.04); l’importanza dell’alimentazione , la scarsità e i criteri di allocazione delle risorse; le alleanze in tempo di guerra e i compromessi; la moralità e le priorità che si danno nelle cure in riferimento alla posizione ideologica o affettiva dei coinvolti;  la mascolinità; la schiavitù e quanto il passaggio alla libertà sia, pure agognato, tanto individualmente quanto socialmente difficile e a maturazione progressiva; il rapporto fra le donne e la modalità in cui gestiscono “sorellanza” e conflitti; tradizioni intellettuali e culturali.   
Per ora non è dato sapere se ci sarà una seconda stagione.

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