lunedì 26 marzo 2018

LIFE SENTENCE: blanda e stucchevole


In Life Sentence, Stella Abbott (Lucy Hale, Pretty Little Liars) ha trascorso gli ultimi otto anni della propria vita a credere che sarebbe morta di cancro. Ha vissuto ogni momento come se fosse l’ultimo, trovando l’amore della sua vita a Parigi, e il supporto di tutta la sua famiglia. L’idea era che la morte le sarebbe sembrata solo la prossima grande avventura.

Quando la dottoressa Helena Chang (Anna Enger), l’oncologa che l’ha in cura, le comunica che inaspettatamente è guarita, accanto alla gioia di sapere che le rimangono presumibilmente ancora molti anni di vita si trova davanti la disillusione di scoprire che tutti quelli che la circondavano hanno mentito per proteggerla: il padre Paul (Dylan Walsh, Nip/Tuck) e la madre Ida (Gillian Vigman) si stanno separando, anche perché lei si è resa conto di essere bisessuale e ha un’amante nella vecchia amica di famiglia, Poppy (Claudia Rocaford). Il fratello maggiore, Aiden (Jayson Blair), ha usato la sua malattia per portarsi a letto le donne, e la sorella maggiore Elizabeth (Brooke Lyons), sposata con Diego (Carlos PenaVega), ha rinunciato ai suoi sogni professionali per prendersi cura della sorella. Perfino il marito Wes Charles (Elliot Knight), che ha sposato immediatamente aspettandosi di avere con lui al massimo sei o otto mesi, le ha tenuti nascosti i suoi gusti e desideri per accomodare quelli di lei, e non si conoscono davvero. Lei stessa deve capire che cosa fare della sua vita.

Questo dramedy adolescenzial-melodrammatico ideato da Erin Cardillo e Richard Keith per la CW è evidentemente favolistico in partenza. Poteva uscirne una cosa alla Hart of Dixie incontra Colpa delle Stelle, ma il problema è che è troppo infantile e stucchevole. Non è sgradevole, anzi cerca fin troppo di esser adorabile. L’attrice protagonista è una bambolina perfetta per  la parte ma, verrebbe da dire, troppo perfetta: suona falso. La realtà di una malattia terminale non è che poi semplicemente muori. Su di lei non sembrano esserci stati segni fisici.
E la realtà che di fatto la protagonista si trova a dover vivere ora non è facile – “life sentence” in fondo è “ergastolo” in inglese. Però il programma è troppo blando e generico. Non è disposto a bilanciare il lieve intento umoristico guardando in faccia allo stesso modo gli aspetti scomodi e difficili e complicati della situazione, le emozioni che si trascina dietro. Se avesse questo coraggio sarebbe stata una premessa affascinate da esplorare.

Si direbbe anche una critica ai numerosi film che romanticizzano le malattie mortali. Peccato solo che, giudicando dalla partenza, non riesca ad affrancarsene non riuscendo a scavare sotto la confettosa e innocua superficie.   

venerdì 16 marzo 2018

IMMATURI - LA SERIE: nostalgia, amicizia, amore


Nostalgia, amicizia e amore: sono state queste le colonne portanti di quella favola italiana a lieto fine che è stata la serie Immaturi (Canale5), diretta da Rolando Ravello,  degna rivisitazione per la TV dell’omonimo successo cinematografico di Paolo Genovese, qui sceneggiatore insieme a Paola Mammini e Giovanna Guidoni (a cui si aggiunge anche Marco Alessi fra i soggettisti).

Un gruppo di trenta-quarantenni riceve dal Ministero della Pubblica Istruzione una lettera che li informa che, poiché uno degli esaminatori alla loro maturità non aveva il titolo per rivestire quel ruolo, il loro esame è stato annullato e devono sostenerlo di nuovo. La gran parte di loro decide di ri-frequentare l’ultimo anno del liceo classico in modo da arrivare preparati. Lorenzo Romanini (Ricky Memphis), che rischierebbe di perdere la propria attività come agente immobiliare senza il diploma e che vive ancora con mamma Iole (Paola Tiziana Cruciani) e papà Maurizio (Maurizio Mattioli), ritrova da adulto la donna di cui era innamorato al liceo e che non ha spesso di amare, ricambiato, Luisa (Irene Ferri), single ma con una figlia piccola. Piero Mistico (Luca Bizzarri) è un conduttore radiofonico che finge di essere sposato con prole per poter scaricare con facilità la ragazza di turno con cui esce nel momento in cui si stanca, ma che finisce per innamorarsi della severa professoressa di filosofia, Claudia Russo (Ilaria Spada). Il suo migliore amico Virgilio Montesi (Paolo Kessisoglu), che ha una sua videoteca,  è in crisi con la moglie che lo ha tradito, e flirta con una sua giovanissima ora neo-compagna di classe. Francesca Coppetti (Nicole Grimaudo), apprezzata cuoca con un suo ristorante, nasconde a tutti di essere sesso-dipendente, ed è in seria difficoltà per  l’attrazione con Daniele di Giulio, (Daniele Liotti), uno dei professori, affetto da ludopatia.  Serena Serafini (Sabrina Impacciatore) è sposata a un uomo ricchissimo ed ha la puzza sotto il naso finché la scomparsa del consorte che la molla senza dirle nulla per fuggire ad accuse varie, le fa scoprire la vita da una nuova prospettiva, e l’amore con il conducente di autobus, Gigi Ferone (Paolo Calabresi), padre di Savino (Andrea Carpenzano) che è il fidanzato che lei inizialmente disapprova di sua figlia  Lucrezia (Carlotta Antonelli).

Ogni puntata si apre con Mistico che alla radio invita un ascoltatore a tornare indietro nel tempo con la memoria ad una data che vorrebbe rivivere; dell’anno scelto racconta gli eventi essenziali lanciando una canzone significativa di quel momento. E loro, da “immaturi”, quel viaggio possono farlo concretamente nell’opportunità unica di rivivere le esperienze di quell’età della vita che segna l’inizio dell’età adulta, con ancora illusioni sul futuro e sogni da realizzare. Si sa in partenza dove si arriverà, con una seconda possibilità per i protagonisti di ripercorrere le proprie scelte. È un’allegoria, in fondo, che rilette sui rimpianti che si hanno e sulle cose che si farebbero in modo diverso col senno di poi. E acutamente si vedono i personaggi allo stesso tempo adulti,  ma ancora inevitabilmente non per forza più saggi. Se non si è scoperto prima chi si è e che cosa si vuole dalla vita, è il momento di farlo ora.  

Una solida interpretazione da parte di tutti (con forse il solo Kessisoglu un po’ più debole degli altri, ma nemmeno troppo) e una sceneggiatura vagamente favolistica piena di humor e leggerezza, ma con un ritmo serrato, hanno confezionato una prima stagione che ha funzionato d’incanto. C’è molto di inverosimile e ci sono tanti stereotipi, ma poco importa. Tutti sono stati ben caratterizzati nelle loro motivazioni e sono risultati autenticamente simpatici a modo loro. Nel corso delle 8 puntate della prima stagione si è volentieri sospesa l’incredulità per farsi trasportare in una Roma dove si può sognare una seconda occasione. Ce l’avrà anche la serie, che è già stata confermata per una benvenuta seconda stagione. 

giovedì 8 marzo 2018

THE MARVELOUS MRS. MAISEL: una scoppiettante commedia



Ha meritatamente vinto il Goden Globe come miglior commedia nell’ultima edizione del premio la serie The Marvelous Mrs. Maisel (Amazon), la più recente creazione di Amy Sherman-Paladino (Gilmore Girls, Bunheads), che porta molti dei segni distintivi della sua sceneggiatura.

Siamo nel 1958, a Manhattan, New York. Miriam “Midge” Maisel (una sfolgorante Rachel Brosnahan, House of Cards) è una giovane casalinga di estrazione privilegiata, sposata con due figli, che sostiene le aspirazioni del marito Joel (Michael Zegen, Boardwalk Empire) a diventare un cabarettista. Quella con il talento per la stand-up comedy però è lei e, quando lui la tradisce con la sua segretaria, lei finisce per sfogarsi sul palco del Gaslight Cafè e per attirare l’attenzione di Susie (Alex Bornstein, Gilmore Girls) che lavora lì e che vuole lanciarne la carriera diventando la sua manager. Separata dal marito, Midge, che si confida con la migliore amica Imogene (Bailey De Young, Bunheads), torna a vivere con i suoi genitori, Rose (Marin Hinkle, Speechless) ed Abe  Weissman (Tony Shalhoub, Monk), dispiaciuti per i guai sentimentali della figlia.

Impeccabile dei costumi e nell’ambientazione, questo dramedy offre, come è tradizione per questa autrice, un dialogo veloce, spumeggiante e scoppiettante, ricco di riferimenti, anche se in questo caso forse più arcani del solito perché sono riferiti a un'epoca ormai distante, e più difficili da cogliere per l’italiano medio perché fortemente intrisi di cultura ebraica. Protagonista è una giovane donna volitiva, entusiasta, piena di energia, con un complicato rapporto con una madre molto più inserita in società e attenta a quello che la gente dice e pensa (come era per Gilmore Girls).

I punti di riferimento narrativi qui sono essenzialmente due, e si contendono la scena a pari merito. Uno è la quello della comicità, di come sia un’arte che richiede talento, ma anche tanto studio, sacrificio e dedizione per affinarsi, per capire che cosa funzioni e che cosa no, per comprendere il tipo di “persona” (se è necessaria) che funziona sul palco, per saper leggere il pubblico che si ha dinanzi, il contenuto che colpisce meglio nel segno e il ritmo da usare. Si incrocia anche Lenny Bruce (qui interpretato da Luke Kirby). L’umorismo è sottile e vivace e i due binari della comicità della serie e di quella della protagonista che cerca di essere tale si mantengono in un equilibrio ben riuscito.

Un’altra colonna portante è l’essere donne - le situazioni della vita quotidiana riverberano nelle routine comiche proposte - e in particolare la denuncia del fatto che alle donne è richiesto sempre di essere diverse da quelle che sono. La protagonista è iperconsapevole, per non dire ossessiva, del suo look (la vediamo prendesi quotidianamente le misure delle gambe: caviglia, polpaccio, coscia…), le mogli non si mostrano mai al naturale nemmeno davanti ai loro mariti (e vale tanto per Midge quanto per sua madre), nemmeno all’interno del proprio matrimonio possono essere se stesse. Sul palco, nel corso di un monologo scritto da Daniel Palladino in 1.07 (“Put that on your plate / Mettilo sul piatto”), criticando la famosa comica Sophie Lennon (Jane Lynch, Glee) che ha incontrato poco prima, si esprime in modo esplicito questa misoginia sociale

Perché le donne devono fingere di essere qualcosa che non sono? Perché dobbiamo fingere di essere stupide quando non siamo stupide? Perché dobbiamo fingere di essere inermi, quando non siamo inermi? Perché dobbiamo fingere di essere dispiaciute, quando non abbiamo nulla di cui dover essere dispiaciute? Perché dobbiamo fingere di non avere fame, quando abbiamo fame. 

C’è disillusione rispetto alle aspettative (nel matrimonio anche). E, con il personaggio di Susie, molto arrabbiata e un po’ “butch”, si presenta anche un modello alternativo di essere donna negli anni ’50, un modo che raramente viene messo sotto i riflettori. Le canzoni vintage fanno da perfetta colonna sonora e la serie cresce con il passare degli episodi. È benvenuta una confermata seconda stagione.