Ha meritatamente vinto
il Goden Globe come miglior commedia nell’ultima edizione del premio la serie The Marvelous Mrs. Maisel (Amazon), la
più recente creazione di Amy Sherman-Paladino (Gilmore Girls, Bunheads),
che porta molti dei segni distintivi della sua sceneggiatura.
Siamo nel 1958, a
Manhattan, New York. Miriam “Midge” Maisel (una sfolgorante Rachel Brosnahan, House of Cards) è una giovane casalinga
di estrazione privilegiata, sposata con due figli, che sostiene le aspirazioni
del marito Joel (Michael Zegen, Boardwalk
Empire) a diventare un cabarettista. Quella con il talento per la stand-up comedy
però è lei e, quando lui la tradisce con la sua segretaria, lei finisce per
sfogarsi sul palco del Gaslight Cafè e per attirare l’attenzione di Susie (Alex
Bornstein, Gilmore Girls) che lavora
lì e che vuole lanciarne la carriera diventando la sua manager. Separata dal
marito, Midge, che si confida con la migliore amica Imogene (Bailey De Young, Bunheads), torna a vivere con i suoi
genitori, Rose (Marin Hinkle, Speechless)
ed Abe Weissman (Tony Shalhoub, Monk), dispiaciuti per i guai
sentimentali della figlia.
Impeccabile dei costumi
e nell’ambientazione, questo dramedy offre, come è tradizione per questa
autrice, un dialogo veloce, spumeggiante e scoppiettante, ricco di riferimenti,
anche se in questo caso forse più arcani del solito perché sono riferiti a un'epoca ormai distante, e più difficili da cogliere per l’italiano medio perché
fortemente intrisi di cultura ebraica. Protagonista è una giovane donna
volitiva, entusiasta, piena di energia, con un complicato rapporto con una
madre molto più inserita in società e attenta a quello che la gente dice e
pensa (come era per Gilmore Girls).
I punti di riferimento narrativi
qui sono essenzialmente due, e si contendono la scena a pari merito. Uno è la
quello della comicità, di come sia un’arte che richiede talento, ma anche tanto
studio, sacrificio e dedizione per affinarsi, per capire che cosa funzioni e
che cosa no, per comprendere il tipo di “persona” (se è necessaria) che
funziona sul palco, per saper leggere il pubblico che si ha dinanzi, il
contenuto che colpisce meglio nel segno e il ritmo da usare. Si incrocia anche
Lenny Bruce (qui interpretato da Luke Kirby). L’umorismo è sottile e vivace e i
due binari della comicità della serie e di quella della protagonista che cerca
di essere tale si mantengono in un equilibrio ben riuscito.
Un’altra colonna
portante è l’essere donne - le situazioni della vita quotidiana riverberano
nelle routine comiche proposte - e in particolare la denuncia del fatto che
alle donne è richiesto sempre di essere diverse da quelle che sono. La
protagonista è iperconsapevole, per non dire ossessiva, del suo look (la
vediamo prendesi quotidianamente le misure delle gambe: caviglia, polpaccio,
coscia…), le mogli non si mostrano mai al naturale nemmeno davanti ai loro
mariti (e vale tanto per Midge quanto per sua madre), nemmeno all’interno del
proprio matrimonio possono essere se stesse. Sul palco, nel corso di un
monologo scritto da Daniel Palladino in 1.07 (“Put that on your plate / Mettilo
sul piatto”), criticando la famosa comica Sophie Lennon (Jane Lynch, Glee) che ha incontrato poco prima, si
esprime in modo esplicito questa misoginia sociale
Perché le donne devono fingere di essere qualcosa che non
sono? Perché dobbiamo fingere di essere stupide quando non siamo stupide? Perché
dobbiamo fingere di essere inermi, quando non siamo inermi? Perché dobbiamo
fingere di essere dispiaciute, quando non abbiamo nulla di cui dover essere
dispiaciute? Perché dobbiamo fingere di non avere fame, quando abbiamo
fame.
C’è disillusione
rispetto alle aspettative (nel matrimonio anche). E, con il personaggio di
Susie, molto arrabbiata e un po’ “butch”, si presenta anche
un modello alternativo di essere donna negli anni ’50, un modo che raramente
viene messo sotto i riflettori. Le canzoni vintage fanno da perfetta colonna
sonora e la serie cresce con il passare degli episodi. È
benvenuta una confermata seconda stagione.
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