domenica 7 ottobre 2018

THE GOOD DOCTOR (2.02): mutilazione genitale, consenso, menzogna


È cominciata molto sottotono la seconda stagione di The Good Doctor, ma si è subito ripresa con una memorabile, potente seconda puntata scritta da David Shore (House).

Continuo a ripensare a quell’episodio che ha toccato temi importanti e ha dimostrato come questa serie, non eccelsa ma significativa come tavola rotonda sullo Zeitgeist contemporaneo, riesca ad avere momenti che si elevano dall’ordinario.

Nella puntata in questione, “Middle Ground” (2.02), una delle storie principali riguardava la mutilazione genitale femminile.
ATTENZIONE SPOILER. Una ragazza minorenne, Asha/Mara (Camille Hyde) si rivolge al pronto soccorso per chiedere la ricostruzione vaginale, dopo che una mutilazione genitale che i genitori le hanno fatto fare all’età di due anni, l’ha lasciata piena di cicatrici. Lei si vergogna e non accetta quello che le stato perpetrato e chiede aiuto. Pur sapendo che la ragazza è minorenne e ha dato un nome finto, la dottoressa Audrey Lim (Christina Chang) finge di non accorgersene per poterla aiutare senza dover allertare i genitori. Fatta l’operazione, la ragazza si sveglia con fortissimi dolori e risulta chiaro che il motivo è che la mutilazione non è stata completa e rimane del tessuto nervoso sensibile. A questo punto i genitori devono necessariamente essere coinvolti. Le soluzioni, da un punto di vista medico, sono due: o si ricostruisce salvando i nervi che ci sono, con la possibilità di recuperare la sensibilità al piacere; o, cosa chirurgicamente più semplice, si finisce quello che è stato cominciato e si rimuovono tutti i nervi. La dottoressa spinge per la prima opzione. La ragazza, sedata perché sopporti i dolori, svegliata appositamente, di fronte ai genitori dice di volere la seconda. Non convinta, Audrey chiede di sentire la ragazza da sola, e lei ribadisce che non se la sente di tradire la sua cultura e la tradizione. La chirurga, a dispetto di quello che le ha detto la ragazza, mente e dice che lei è favorevole per la prima opzione. Quindi viene fatta una ricostruzione. Al risveglio, tutto è andato bene. I genitori di lei non vengono messi al corrente, ma la Mara si accorge di quale operazione sia stata fatta: le era stato spiegato che per la ricostruzione avrebbero preso del tessuto dall’interno della sua guancia, e toccandosi la guancia con la lingua ha capito. Sorride e ringrazia la dottoressa.

Questa vicenda, è stata significativa in sé e per sé nel contenuto, perché affronta un tema importante e poco dibattuto e fin troppo presente, denunciandone la barbarie e la criminalità. Ma, per quanto sia significativo esplorare diritti umani, si è andati al di là del trattare un social issue importante. Altre questioni sono emerse, anche con l’eco della storia parallela. Il dottor Shaun Murphy (Freddie Highmore) si accorge che un inserviente dell’ospedale soffre di cancro al pancreas. Vogliono fargli dei test, ma senza spiegargli la vera ragione per non spaventarlo. Il giovane medico, nonostante le buone intenzioni, non riesce a mentire - ma nella sua parabola di apprendimento alla fine della puntata invece ce la fa  - e glielo rivela. L’uomo in questione viene spinto ad operarsi, pur non volendolo, dai familiari che vogliono per lui una vita più lunga che l’alternativa consentirebbe, solo pochi mesi di vita. Sebbene l’operazione vada bene, ci sono delle complicazioni e lui muore. La famiglia si colpevolizza, ma Shaun mente dicendo che l’uomo in realtà l’operazione la voleva.

Attraverso entrambe queste storie, si esamina un concetto molto attuale nel dibattito sociale, trasversalmente presente nella società odierna (penso all’ambito del sesso, ma non solo), e molto più labile di quanto normalmente possa sembrare: quello del consenso. Qui, si mostra come il consenso non sia così lineare e apparentemente scontato, ma si presti a delle aree grigie più significative di quanto normalmente non si ammetta, e di come talvolta un sì non sia del tutto convinto. Qui si affronta una tematica morale importante, e si ammette che non ci sia una risposta bianca o nera.

Il secondo grande tema affrontato, che in questo caso si intreccia al primo, e che è un grande favorito dell’autore già dai tempi del dottor House, è quello della menzogna. È sempre la cosa giusta dire la verità? Quando è lecito mentire e quando è bene dire la verità? Che cosa ci fa decidere per l’una o per l’altra cosa? Qui, da entrambe le storie, alla fine si giunge alla conclusione che non è rilevante dire la verità se questa non aiuta. Va bene mentire. Devo dire che non sono del tutto a mio agio con questa conclusione. Non so se la condivido. Tuttavia, non posso negare che qui io abbia trovato corretta moralmente la soluzione dei personaggi. Indipendentemente dalla mia posizione in proposito penso che sia fantastico che la serie riesca porci davanti a questioni etiche così quotidiane e rilevanti.

Penso che sia stata una puntata coraggiosa su più livelli, e rispetto al tema della menzogna in particolare, penso che si sia adottata una prospettiva di fatto abbastanza impopolare. È più comune sentire difesa la verità sempre e comunque. Qui i personaggi optano per la soluzione opposta, con delle implicazioni anche deontologiche importanti. Mi è tornata in mente una citazione di Brian Kinney in Queer As Folk, a cui ho ripensato più volte negli ultimi mesi, ovvero che, parafrasando, non è mentire se la sola verità che riescono ad accettare è la loro. Mi ha sempre fatto pensare molto, e qui penso che si adatti alla prima delle due storie raccontate. 

Di fatto io non sono sicura che avrei agito con i personaggi, ma mi piace essere messa nella posizione di interrogarmi su che cosa avrei fatto io e essere lasciata in sospeso a riflettere su quale sia il comportamento morale più giusto. Penso che questo sia uno dei grandi poteri della televisione e della narrazione in generale. Qui, la serie ha davvero dimostrato un potenziale realizzato, mostrando come anche serie di fatto qualitativamente meno ambiziose di molte altre possano offrire intrattenimento pregnante.

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