Ha debuttato oltre 10 anni
fa, nel 2010, ma non risente del peso del tempo Borgen – Il Potere la serie danese in passato trasmessa in Italia
da LaEffe, ora disponibile su Netflix, che intende produrne una quarta stagione il cui debutto è previsto nel 2022. Si ha giusto il tempo di mettersi in pari
con le tre passate stagioni disponibili.
Il titolo originale,
Borgen (“Il castello”), fa riferimento al nomignolo con cui è conosciuto il Palazzo di
Christiansborg, a Copenaghen, dove hanno ora sede il Parlamento danese, gli
Uffici del Ministro di Stato e la Corte Suprema.
La serie è un’investigazione
sull’argomento del sottotitolo italiano, ed in particolare sull’esecutivo e il
legislativo e sulla politica, con i suoi dietro le quinte, e nei sui rapporti
con il giornalismo e nel suo impatto sulla vita privata delle persone. Si
tratta di una produzione via via più complessa che riecheggia The West Wing e The Newsroom, ma con meno retorica e più small-scale, e che ha echi di Commander-in-Chief.
Birgitte Nyborg (Sidse
Babett Knudsen, doppiata da Alessandra Korompay), una quarantenne idealista, è
a capo del partito moderato centrista. Alle più recenti elezioni risulta
vincente e, dopo aver negoziato con i rivali, diventa Prima Ministra – prima
donna a rivestire questo ruolo in Danimarca - e perché il suo governo possa
rimanere al potere e portare avanti il proprio programma deve gestire le
alleanze e gli scontri con gli altri partiti, quello laburista e quello liberale
in primis. A sostenerla, con il ruolo di suo spin doctor, ma anche come speech
writer e consulente politico in senso ampio, c’è Kasper Juul (Pilou Asbæk, l’Euron Greyjoy del Trono di Spade). Nella vita privata è
felicemente sposata con Philip Christensen (Mikael Birkkjær), un professore
universitario alla Copenhagen Business School che ha messo da parte la sua
carriera di uomo d’affari per permettere alla moglie di seguire le proprie
ambizioni politiche e per seguire lui i figli, Laura di 12 anni e Magnus di 8.
A registrare con interesse l’attualità c’è una determinata e brillante giornalista
trentenne, Katrine Fønsmark (Birgitte Hjort Sørensen), che lavora come
mezzobusto per il canale TV1, che ha un rapporto spesso conflittuale con il suo
capo Torben Friis (Søren Malling) e ha un passato sentimentale con Kasper.
La protagonista principale
si dice sia modellata su quella che è diventata la prima Prima Ministra danese,
Helle Thorning Schmidt, anche se questa
ha avuto lo stesso ruolo solo dopo che la produzione aveva terminato di
registrare la seconda stagione (si legga qui
in proposito). Il partito di cui lei è segretaria, così come gli altri rappresentati,
sono di finzione, cosa che giustifica la mia perplessità mentre guardavo le
puntate nel sentirlo definire moderato, ma contemporaneamente progressista e
radicale. Non mi sembravano avere le idee molto chiare, di primo acchito, su
chi volessero essere. La pagina di Wikipedia in inglese sulla serie (qui) chiarisce che
si tratta di un partito di centro-sinistra basato sul partito social-liberale
danese, il Radikale Venstre.
Ideato da Adam Price, che
la ha scritta insieme a Jeppe Gjervig Gram e Tobias Lindholm, e prodotta da DR,
l’emittente pubblica danese che già aveva portato al successo The Killing, questo political drama
riesce ad avvincere facendosi via via sempre più complesso in un riuscitissimo
equilibrio fra narrazione verticale delle puntate simil-autoconclusive, e
quella orizzontale di stagione, e allo stesso modo nell’intrecciarsi degli
aspetti professionali a quelli personali, affrontando anche tematiche molto
toste, come l’abuso sessuale su minore (1.08) o come l’aborto (1.03). In
quest’ultimo caso, ho trovato davvero notevole e inusitato l’approccio verso il
tema. ATTENZIONE SPOILER. Katrine si ritrova incinta di un uomo sposato con cui
aveva una relazione e che amava e che è morto dopo essere stato con lei.
Vorrebbe tenere il bambino ma sua madre, la vedova del defunto e il suo ex spingono
tutti perché lei abortisca. È una decisione difficile, ponderata, matura,
dolorosa, ma senza troppi sentimentalismi.
C’è qualche raro momento
in cui si rimane indispettiti - l’iniziale fissa di Birgitte per il proprio
peso, che sembrava voler essere un mal riuscito tentativo di umanizzarla; la
segretaria incompetente che faceva la riverenza in cui si è visto un infelice esperimento di creare comic relief… Qualche volta
non si è risultati credibili – come si può essere convinti che non è
politicamente rilevante il fatto che una segretaria di partito abbia fatto
delle dichiarazioni, registrate sei anni prima, in cui sosteneva che si sarebbe
dovuto organizzare il rapimento dei figli dell’allora primo ministro? Sei anni
prima insistono che è molto tempo prima, quando è un nulla, e fanno passare
come attenuante il fatto che fosse ubriaca a una festa. Io non sarei
sicuramente di questo avviso. Queste critiche sono pecche minori.
Ogni puntata si apre con
una citazione – “La storia è un incubo da cui sto cercando di svegliarmi” di Joyce,
ad esempio, fa da cappello introduttivo alla 1.08. Parte del fascino, da
italiana, è vedere trattate questioni di cui non sono a conoscenza, o quanto
meno inusitate. L’episodio 1.04, “I Primi cento giorni”, è emblematico: c’è un
atterraggio non autorizzato in Groenlandia di aerei della CIA che trasportano
prigionieri. Questo mette in crisi i rapporti diplomatici USA-Danimarca, e di mezzo
ci sono anche i servizi segreti, ma anche Danimarca-Groenlandia, fra cui c’è una
ruggine di 300 anni dovuta all’invasione danese. Birgitte si reca in territorio
groenlandese, nazione che definisce “maestosa, deprimente, detestabile, il
luogo più bello che abbia mai visto in vita mia, piena di contrasti”. Nello
svolgersi delle scene si viene a conoscenza di una realtà molto specifica,
dando anche informazioni come il fatto che il 20% degli Inuit adolescenti ha
tentato il suicidio, ma al contempo si vedono le ramificazioni e i delicati equilibri
politici in gioco, anche nel rapporto con la stampa. Tutto è svolto in modo semplice,
ma non ipersemplificando le questioni, e in modo cristallino, e ha echi al di
là del possibile caso specifico.
Lo stesso sul piano
personale, dosando molto attentamente gli eventi, si è visto come gli impegni
professionali della protagonista hanno eroso il suo tempo con la sua famiglia, rendendola
spesso assente alle esigenze di figli e marito e portando al collasso del suo
matrimonio. Il bambino che si fa la pipì addosso, il marito che deve rinunciare
a investimenti che ha fatto indipendentemente, ma che potrebbero ugualmente gettare
cattiva luce sul governo, o altre rinunce, anche della semplice presenza nella vita
dei familiari amati, sono umanamente credibili e ben calibrati.
Si tratta in conclusione di una serie sufficientemente lineare e asciutta, anche perché limita il cast a pochi personaggi essenziali, ma molto seria e adulta. Molto avvincente anche. Da recuperare.
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