Sperimentale e surreale, e
venata di umorismo, mi ha convinta di più la seconda stagione di Dickinson
(Apple TV+), in cui il personaggio del titolo è una sorta di avatar culturale
della nota scrittrice per noi contemporanei, come la definisce l’autrice
stessa, Alena Smith, in una rivelatoria intervista per TV’s Top 5 (5
gennaio 2021): “Per una poetessa come Emily con una mente tanto selvaggia,
e tuttavia una vita esteriore così contenuta, può essere che il modo migliore
per accedere alla verità della sua esperienza, la sentita verità emozionalmente
vissuta, sia attraverso il lavoro creativo e la fantasia piuttosto che
attraverso i fatti”. Questo è sicuramente l’approccio di quella che definivo
alla fine della prima stagione (qui)
un’anacronistica poetica follia.
Il nucleo di questo
secondo arco indaga un quesito principale: perché quella che è in assoluto una
delle autrici poetiche americane più importanti non abbia pubblicato mentre era
in vita. Sono migliaia le liriche da lei scritte, viveva in un ambiente
culturale tale, anche in contatto con altri autori, che le avrebbe reso facile
farlo.
Nella serie, grazie alla
sua amata (e amante) cognata Sue (Ella Hunt) viene un contatto con il direttore
dello Springfield Rupublican, Samuel Bowles (Finn Jones), che le dà
proprio questo: la possibilità di pubblicare. E in varie forme e soluzioni nel
costo delle diverse puntate combatte con l’idea della fama, i suoi pro ed i suoi
contro. Vince un concorso per la torna migliore (2.02), ma è quello il genere di
notorietà a cui aspira? Ora evoca gli spiriti in una seduta perché possano
darle guida (2.03), ora si immagina persa in un labirinto (2.04), o teme che il
suo editore voglia pubblicarla perché interessato a lei sul piano personale
(2.05). Si confronta con una notissima cantante d’opera, Adelaide May (2.06),
che la fa riflettere sul fatto che aspiriamo a significato, bellezza, amore, ma
tutto passa e si dimentica, la moda cambia e essere visti significa essere
esposti, e quello che è portato al vertice un giorno il giorno dopo viene
distrutto o diventa stantio. Che importa che cosa pensano gli altri? Si
spaventa ad essere letteralmente invisibile (2.08), ma si rende conto che è anche
un potere. E la notorietà è una droga.
E se l’attrazione
rappresentata dalla fama, incarnata nell’editore, la seduce finché lei non gli
chiede indietro i propri lavori, per tutta la stagione viene perseguitata da
una visione, quella di Nessuno (Will Pullen), un soldato morto in guerra (a cui
riuscirà a dare un’identità solo in 2.09) che le appare come uno spettro
premonitorio, quasi intimidatorio nel suo essere inerme ma presente,
parenetico.
Con puntate leggere e
godibili la serie fa un bel lavoro di scavo su questo tema. Riesce nell’intento
di mostrare l’autrice non come una vittima, ma come agente consapevole della
propria vita, in una serie che usa il linguaggio dell’epoca per
rappresentare lo status quo, e mette in bocca un modo di esprimersi più vicino
ai nostri giorni a chi vuole qualcosa di nuovo (e in questo caso viene in mente
la sorella Lavinia). La musica, contemporanea, è proprio la coscienza di Emily
che pulsa attraverso lo show, così come i personaggi famosi che lei incontra
(in questa stagione Edgar Allan Poe ad esempio), sono ritratti caricaturali
funzionali a quello che il personaggio sta vivendo in uno specifico momento. (TV’s
Top 5)
La chiusura brucia, arde
della passione di Emily per la propria arte – che la rinuncia alla fama le
consente di preservare intatta – e per il suo amore per Sue che viene consumato
in uno scambio scritto e girato con grande coinvolgimento, anche se ammetto che
la recitazione di Ella Hunt mi è sembrata un po’ rigida.
Dopo questa seconda stagione, già girata immediatamente dopo la prima e completata pre-pandemia, ne è prevista una terza.