Le varie puntate di Mr. Corman (Apple TV+) prese
singolarmente mi hanno convinto tutte e 10, dalla prima all’ultima, ma nel
complesso è sembrata disorganizzata e incerta su dove volesse andare, e non
dispiace sentire che questa serie sulle angosce esistenziali di un trentenne
non sia stata rinnovata per una seconda stagione.
Josh Corman, interpretato
da Joseph Gordon-Levitt (3rd Rock from
the Sun), anche autore di alcune puntate e regista della maggior parte, è
un insegnante delle elementari nella San Fernando Valley, a Los Angeles. Ama il
suo lavoro, ma sta avendo un periodo di crisi: ha attacchi di panico e di
ansia, ha smesso di suonare mentre in passato sognava una carriera di
musicista, che la sua ex Megan (Juno Temple, Ted Lasso) ha invece perseguito senza di lui; vorrebbe fare
qualcosa per essere di nuovo elettrizzato dalla propria vita. Co-abita con
l’amico Josh (Arturo Castro), ma quando scoppia la pandemia (che copre gli
ultimi episodi della serie – che sono stati girati in Nuova Zelanda perché la
produzione si sarebbe altrimenti interrotta proprio per questa ragione), si
trasferisce e sta in quarantena dalla madre Ruth (Debra Winger). Con il padre
Artie (Hugo Weaving), che non vede da anni, ha un pessimo rapporto.
Che cosa importa nella
vita? Che cosa le dà senso? Come creiamo connessioni umane? Questi sono
interrogativi che si rincorrono negli episodi, che adottano uno stile di
realismo magico: il protagonista sente periodicamente una sorta di rintocco di
pendolo, un gong, o vede un meteorite precipitare dal cielo, o ancora vive
fantasie – un musical fra madre e figlio (1.03), vite alternative in
scenografie surreali (1.07), con palazzi a forma di telecomando o di grattugia…È restio ad uscire per un
appuntamento, nel pilot, perché ritiene che la maggior parte delle persone non
abbiano cose interessanti da dire, e anche se si lascia convincere poi le cose,
inizialmente promettenti, non vanno come vorrebbe. In chiusura, bloccati dal
COVID, ognuno a casa propria e costretti a parlare, ha una buona sintonia con
una ragazza in “The Big Picture” (1.10), dove a dispetto dei fraintendimenti,
si crea un bel rapporto e il musicista e paroliere che è in lui cerca di
ricordarsi “now, here, this” (ora, qui, questo), come un mantra. Si medita
sulla solitudine (1.02), su Dio (1.3), sulla felicità - quando si trova a
partecipare a un funerale (1.04), ad esempio -, sull’essere genitori - nel
rapporto con la sorella Beth (Shannon Woodward) o con la madre, in 1.03; o, come nell’intenso monologo del padre, in fondo solo
mascherato da dialogo, con un trascinante spettacoloso Weaving (1.09) che dà
un’interpretazione che rivela un uomo molto complesso, si riflette su
quanto di noi possiamo attribuire a noi stessi e quanto ai nostri genitori e anche
sul valore dei ricordi nella nostra esperienza presente.
Gordon-Levitt si è sempre
dichiarato femminista, e che la tematica gli stia a cuore emerge, e
specificatamente proprio in apertura e chiusura, da elementi minimi trasversali
che comunque si notano. È consapevole del suo privilegio di giovane uomo bianco etero e
cis, ma questo non gli impedisce di essere insoddisfatto. In “Mr Morales”
(1.04) il focus si sposta su Victor, l’amico autista dell'UPS divorziato che fa
del suo meglio per mantenere un buon rapporto con la figlia adolescente durante
il breve tempo che trascorrono insieme nei fine settimana. Nel contrasto Josh
appare autocentrato. Le nevrosi e l’angoscia esistenziale del protagonista rendono
tutto un po’ tetro. E a volte il personaggio è insopportabile nella maniera in
cui sono insopportabili persone altrimenti gradevoli che hanno una giornata no.
Ha un generico risentimento nei confronti di tutto e niente, e non sa come
uscirne.
La serie forse è un po’ come il suo protagonista: ha cose intelligenti da dire, e per questo può valere la pena trascorrere quel tempo in sua compagnia, ma è imbronciata e sotto tono e priva di direzione, e alla lunga quella compagnia può risultare pesante.
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