È un sequel che è un
prequel, House of the Dragon, che
segue Il Trono di Spade, ma è
ambientato 200 anni prima di quelle vicende e si concentra su Casa Targaryen.
La prima stagione mi ha fatto riscoprire quelle atmosfere che non mi ero resa
conto mi fossero mancate. A idearla sono stati Ryan Condal e George R. R.
Martin, ed è in parte tratta dal romanzo di quest’ultimo, Fuoco e Sangue. E non si può negare che fuoco e sangue non manchino,
anzi in prima battuta sembrava quasi che si spingesse l’acceleratore sulla
violenza, come a dire che non si era da meno della serie madre. Piuttosto
rapidamente però, si è subito chiarita un’identità autonoma, che cerca anche di
fare tesoro delle critiche rivolte alla genitrice.
Viserys I Targaryen (Paddy
Considine, già in odore di Emmy per un’interpretazione spettacolosa, in
particolare in 1.08 – “Il Lord delle Maree”) regna in modo pacifico e
incontrastato sui Sette Regni. Alla morte dei suoi figli maschi di primo letto,
Viserys convoca un Gran Concilio per annunciare come erede al trono la figlia
femmina Rhaenyra (Milly Alcock da giovane, Emma D'Arcy da adulta). Stabilisce
la successione perché vuole evitare una guerra civile, quella che sarà poi
conosciuta con il nome de la "Danza dei Draghi". Tuttavia non sono
pochi quelli che sono scontenti di questa scelta, trattandosi di una donna. Già
la cugina del re, Rhaenys (Eve Best), conosciuta come la "Regina che non
fu", avrebbe dovuto avere il trono, secondo alcuni, ed ha tutt’ora
sostenitori, anche se lei pare aver accettato la cosa. Non così il marito di
lei, Lord Corlys Velaryon (Steve Toussaint), conosciuto come il "Serpente
di Mare". Il fratello di Viserys, e zio di Rhaenyra, Daemon (Matt Smith, Doctor Who), pure avanza delle pretese.
Viserys poi, rimasto vedovo, si è sposato in seconde nozze con Alicent
Hightower (Emily Carey da giovane, Olivia Cooke da adulta), cara amica
d’infanzia di Rhaenyra e figlia del suo consigliere, quello che ha il ruolo di
“mano del re”, Ser Otto Hightower (Rhys Ifans). Dalla seconda moglie, Viserys
ha avuto un figlio, Aegon II (Ty Tennant da giovane, Tom Glynn-Carney da adulto),
che tanti vedono invece come l’erede legittimo, in quanto primo discendente maschio
in vita. Lui non ne vuole sapere, mentre ben più interessato sarebbe il
secondogenito Aemond (Ewan Mitchell) che uno scontro coi cugini e nipoti ha
lasciato privo di un occhio (1.05). Gli interessi in gioco sono molti, tante le
mutevoli lealtà e i satelliti che seguono la partita. Ser Criston Cole (Fabien
Frankel), ad esempio, in origine membro della Guardia Reale dalla principessa
Rhaenyra, diventa poi guardia giurata della regina Alicent. Larys Strong
(Matthew Needham), conosciuto come "Piededuro" a causa di una
deformità che lo fa zoppicare, pure sembra fedele ad Alicent. Lord comandante
della Guardia Reale è Ser Harrold Westerling (Graham McTavish, Outlander).
House of the Dragon è appagante nella stessa maniera in cui lo era Game of Thrones: delinea giochi di
potere senza esclusione di colpi, a meno che non si tratti di colpi di scena,
in quel caso ce ne sono a profusione. Qui, quello che si nota da subito è che
ci sono importanti salti temporali fra una puntata e l’altra, di anni, e già a
metà stagione, alcuni dei personaggi più di spicco, soprattutto Rhaenyra e
Alicent, crescono notevolmente e cambiano le attrici che le interpretano. Non
mi dispiace, ma è stato anche spiazzante. Avrei probabilmente preferito che si
andasse più lentamente, perché mi ero appena affezionata e avevo appena
cominciato a riconoscere i personaggi quando sono stati cambiati. A posteriori non
lo rimpiango in ogni caso. E hanno promesso che grandi elisioni temporali in
seguito non ce ne saranno più.
Un’accusa che è stata
rivolta al programma è di avere nei confronti del parto lo stesso atteggiamento
che la serie ammiraglia aveva nei confronti dello stupro. Kathryn
VanArendonk su Vulture titola: “L'ossessione
per le nascite brutali di House of the
Dragon non è realismo. È crudeltà”. Scrive “Nel primo episodio, il bambino
della regina Aemma è posizionato male e sia lei che il bambino muoiono dopo un
cesareo senza anestesia. La sequenza è straordinariamente e orgogliosamente
violenta: ci sono inquadrature di un letto intriso di sangue e immagini del
volto agonizzante di Aemma. La macchina da presa si sofferma sulle sue mani e
sulla sua espressione facciale mentre si rende conto di ciò che sta per
accadere, assicurandosi che il pubblico abbia il tempo di registrare il suo
panico e il suo terrore prima che venga aperta contro la sua volontà”. Un
secondo brutale tentativo di parto c’è stato (1.06) con la moglie di Daemon,
Laena, e quando Rhaenyra partorisce, e Alicent pretende di vedere subito il
bebè, lei si trascina per il palazzo che a mala pena si regge in piedi. Pure il
parto nella season finale (1.10) è
stato decisamente crudo. Questo è realistico purtroppo, specie in un mondo di
tipo medievale come quello evocato da queste ambientazioni (o forse no?). Gli showrunner lo
hanno scelto con consapevolezza con l’intento di mostrare anche l’orrore di un
momento della vita che spesso era molto violento nella vita femminile. Apertis
verbis viene fatto dire ad Aemma anche che questo è il campo di battaglia delle
donne, quello a cui sono destinate, e come tale porta sangue e morte. La
sensazione secondo chi critica questa scelta è che se ne vada un po’ troppo
fieri, come se fosse coraggio narrativo, quando “è solo un modo diverso di dire
che le donne valgono soprattutto come corpi e che le persone che possono
partorire possono essere ridotte al fatto che i loro corpi si comportino bene o
meno”. Conclude: “In uno show in cui il
suo valore è definito da qualsiasi altra cosa che non sia il suo destino
corporeo, forse la sua vita avrebbe potuto avere un significato che andasse
oltre la perdita di un combattimento impossibile da vincere. E forse House of the Dragon sarebbe uno show
migliore se sapesse come misurare il valore di una donna al di là di una
cervice dilatata a dieci centimetri.” Anche Rebecca
Onion su Slate, in un pezzo molto
ben ragionato e documentato, è di questo avviso. Io concordo che la realtà che
viene mostrata fosse proprio quella: donne come incubatrici. Ma per me sta
proprio lì il punto: nel mostrarlo e nel far intendere quanto deumanizzante sia.
L’orrore di Aemma è il nostro orrore. Sono in ogni caso riflessioni pertinenti
e significative.
Che si veda però un
riposizionamento e una discontinuità sulle questioni di genere rispetto al passato
di questo universo narrativo è indubitabile, ed è partito anche attraverso il
dietro le quinte e dalle maestranze utilizzate, più inclusive. Su questo tema
specificatamente, ma anche su altre, invito ad ascoltare il podcast di Sara
Mazzoni, Attraverso lo schermo,
che fa analisi puntata per puntata e offre numerosi spunti di riflessione.
La sigla d’apertura stessa, sia sul piano sonoro che su quello visuale veicola la forte connessione con Game of Thrones. Anche se lo scope qui è più ristretto, la portata narrativa cioè ha una portata meno ampia, e c’è meno ironia, comunque ancora una volta i valori produttivi sono superbi, a partire dai gloriosi draghi, e il coinvolgimento è assicurato. Che l’ultima puntata della stagione sia “leaked”, sia riuscita ad essere piratata in streaming sul web prima dell’uscita ufficiale, per quanto possa ragionevolmente dispiacere a chi lo mette in onda, è anche segno del fervore della fanbase.