mercoledì 26 ottobre 2022

HOUSE OF THE DRAGON: degno erede di GoT

È un sequel che è un prequel, House of the Dragon, che segue Il Trono di Spade, ma è ambientato 200 anni prima di quelle vicende e si concentra su Casa Targaryen. La prima stagione mi ha fatto riscoprire quelle atmosfere che non mi ero resa conto mi fossero mancate. A idearla sono stati Ryan Condal e George R. R. Martin, ed è in parte tratta dal romanzo di quest’ultimo, Fuoco e Sangue. E non si può negare che fuoco e sangue non manchino, anzi in prima battuta sembrava quasi che si spingesse l’acceleratore sulla violenza, come a dire che non si era da meno della serie madre. Piuttosto rapidamente però, si è subito chiarita un’identità autonoma, che cerca anche di fare tesoro delle critiche rivolte alla genitrice.

Viserys I Targaryen (Paddy Considine, già in odore di Emmy per un’interpretazione spettacolosa, in particolare in 1.08 – “Il Lord delle Maree”) regna in modo pacifico e incontrastato sui Sette Regni. Alla morte dei suoi figli maschi di primo letto, Viserys convoca un Gran Concilio per annunciare come erede al trono la figlia femmina Rhaenyra (Milly Alcock da giovane, Emma D'Arcy da adulta). Stabilisce la successione perché vuole evitare una guerra civile, quella che sarà poi conosciuta con il nome de la "Danza dei Draghi". Tuttavia non sono pochi quelli che sono scontenti di questa scelta, trattandosi di una donna. Già la cugina del re, Rhaenys (Eve Best), conosciuta come la "Regina che non fu", avrebbe dovuto avere il trono, secondo alcuni, ed ha tutt’ora sostenitori, anche se lei pare aver accettato la cosa. Non così il marito di lei, Lord Corlys Velaryon (Steve Toussaint), conosciuto come il "Serpente di Mare". Il fratello di Viserys, e zio di Rhaenyra, Daemon (Matt Smith, Doctor Who), pure avanza delle pretese. Viserys poi, rimasto vedovo, si è sposato in seconde nozze con Alicent Hightower (Emily Carey da giovane, Olivia Cooke da adulta), cara amica d’infanzia di Rhaenyra e figlia del suo consigliere, quello che ha il ruolo di “mano del re”, Ser Otto Hightower (Rhys Ifans). Dalla seconda moglie, Viserys ha avuto un figlio, Aegon II (Ty Tennant da giovane, Tom Glynn-Carney da adulto), che tanti vedono invece come l’erede legittimo, in quanto primo discendente maschio in vita. Lui non ne vuole sapere, mentre ben più interessato sarebbe il secondogenito Aemond (Ewan Mitchell) che uno scontro coi cugini e nipoti ha lasciato privo di un occhio (1.05). Gli interessi in gioco sono molti, tante le mutevoli lealtà e i satelliti che seguono la partita. Ser Criston Cole (Fabien Frankel), ad esempio, in origine membro della Guardia Reale dalla principessa Rhaenyra, diventa poi guardia giurata della regina Alicent. Larys Strong (Matthew Needham), conosciuto come "Piededuro" a causa di una deformità che lo fa zoppicare, pure sembra fedele ad Alicent. Lord comandante della Guardia Reale è Ser Harrold Westerling (Graham McTavish, Outlander).

House of the Dragon è appagante nella stessa maniera in cui lo era Game of Thrones: delinea giochi di potere senza esclusione di colpi, a meno che non si tratti di colpi di scena, in quel caso ce ne sono a profusione. Qui, quello che si nota da subito è che ci sono importanti salti temporali fra una puntata e l’altra, di anni, e già a metà stagione, alcuni dei personaggi più di spicco, soprattutto Rhaenyra e Alicent, crescono notevolmente e cambiano le attrici che le interpretano. Non mi dispiace, ma è stato anche spiazzante. Avrei probabilmente preferito che si andasse più lentamente, perché mi ero appena affezionata e avevo appena cominciato a riconoscere i personaggi quando sono stati cambiati. A posteriori non lo rimpiango in ogni caso. E hanno promesso che grandi elisioni temporali in seguito non ce ne saranno più.

Un’accusa che è stata rivolta al programma è di avere nei confronti del parto lo stesso atteggiamento che la serie ammiraglia aveva nei confronti dello stupro. Kathryn VanArendonk su Vulture titola: “L'ossessione per le nascite brutali di House of the Dragon non è realismo. È crudeltà”. Scrive “Nel primo episodio, il bambino della regina Aemma è posizionato male e sia lei che il bambino muoiono dopo un cesareo senza anestesia. La sequenza è straordinariamente e orgogliosamente violenta: ci sono inquadrature di un letto intriso di sangue e immagini del volto agonizzante di Aemma. La macchina da presa si sofferma sulle sue mani e sulla sua espressione facciale mentre si rende conto di ciò che sta per accadere, assicurandosi che il pubblico abbia il tempo di registrare il suo panico e il suo terrore prima che venga aperta contro la sua volontà”. Un secondo brutale tentativo di parto c’è stato (1.06) con la moglie di Daemon, Laena, e quando Rhaenyra partorisce, e Alicent pretende di vedere subito il bebè, lei si trascina per il palazzo che a mala pena si regge in piedi. Pure il parto nella season finale (1.10) è stato decisamente crudo. Questo è realistico purtroppo, specie in un mondo di tipo medievale come quello evocato da queste ambientazioni (o forse no?). Gli showrunner lo hanno scelto con consapevolezza con l’intento di mostrare anche l’orrore di un momento della vita che spesso era molto violento nella vita femminile. Apertis verbis viene fatto dire ad Aemma anche che questo è il campo di battaglia delle donne, quello a cui sono destinate, e come tale porta sangue e morte. La sensazione secondo chi critica questa scelta è che se ne vada un po’ troppo fieri, come se fosse coraggio narrativo, quando “è solo un modo diverso di dire che le donne valgono soprattutto come corpi e che le persone che possono partorire possono essere ridotte al fatto che i loro corpi si comportino bene o meno”.  Conclude: “In uno show in cui il suo valore è definito da qualsiasi altra cosa che non sia il suo destino corporeo, forse la sua vita avrebbe potuto avere un significato che andasse oltre la perdita di un combattimento impossibile da vincere. E forse House of the Dragon sarebbe uno show migliore se sapesse come misurare il valore di una donna al di là di una cervice dilatata a dieci centimetri.” Anche Rebecca Onion su Slate, in un pezzo molto ben ragionato e documentato, è di questo avviso. Io concordo che la realtà che viene mostrata fosse proprio quella: donne come incubatrici. Ma per me sta proprio lì il punto: nel mostrarlo e nel far intendere quanto deumanizzante sia. L’orrore di Aemma è il nostro orrore. Sono in ogni caso riflessioni pertinenti e significative.

Che si veda però un riposizionamento e una discontinuità sulle questioni di genere rispetto al passato di questo universo narrativo è indubitabile, ed è partito anche attraverso il dietro le quinte e dalle maestranze utilizzate, più inclusive. Su questo tema specificatamente, ma anche su altre, invito ad ascoltare il podcast di Sara Mazzoni, Attraverso lo schermo, che fa analisi puntata per puntata e offre numerosi spunti di riflessione.

La sigla d’apertura stessa, sia sul piano sonoro che su quello visuale veicola la forte connessione con Game of Thrones. Anche se lo scope qui è più ristretto, la portata narrativa cioè ha una portata meno ampia, e c’è meno ironia, comunque ancora una volta i valori produttivi sono superbi, a partire dai gloriosi draghi, e il coinvolgimento è assicurato. Che l’ultima puntata della stagione sia “leaked”, sia riuscita ad essere piratata in streaming sul web prima dell’uscita ufficiale, per quanto possa ragionevolmente dispiacere a chi lo mette in onda, è anche segno del fervore della fanbase.    

martedì 18 ottobre 2022

STRANGE NEW WORLDS: è davvero STAR TREK

Da adolescente per me Star Trek, l’originale, era praticamente una religione. Sono cresciuta con gli ideali della Federazione dei Pianeti Uniti: armonia, diversità, ricerca, scienza, esplorazione, senso del dovere, rispetto, humanism (nel senso in cui lo intende l’American Humanist Association)… Le più recenti incarnazioni del franchise non sono riuscite a cogliere l’autentico spirito di partenza, per me. ST: Discovery ha proposto intrecci interessanti, ma era proprio un’altra cosa, a dispetto del rispetto per il canone, e Picard, che pure ha avuto una solida affascinante prima stagione ha fatto uno scivolone con la seconda e, alla fine, ha avuto una sensibilità molto diversa. The Orville era più nello spirito di Star Trek di dare nuova vita alla creazione di Gene Roddenberry dei vari tentativi che ne portavano il nome. Con il nuovo arrivato, Star Trek: Strage New Worlds (Paramount+) è tutta un’altra storia. Si è forse narrativamente meno ambiziosi, affidandosi a puntate autoconclusive, ma si coglie la filosofia che animava la creazione originaria. Se la ruota funziona non è necessario reinventarla. Era l’epoca della fioritura delle Nazioni Unite e la Federazione dei Pianeti Uniti rappresentava un ideale di umanità e di civiltà. L’obiettivo primario era la ricerca scientifica, l’esplorazione di nuove civiltà, e questo finalmente ce lo si è ricordati.

Strange New Worlds ha anche tenuto alcune ingenuità dell’antenato: qualche battaglia, ma non troppe, e l’equipaggio della nave che, colpita, si aggrappa alle rispettive sedie inclinandosi a destra o a sinistra, qualche scazzottata di cui si potrebbe fare anche a meno… ma ci stanno bene anche quelle, non fosse per altro che per l’effetto nostalgia. C’è stato un momento in cui la divisa dell’ufficiale medico, pur diversa, mi ha fatto l’effetto della madeleine proustiana. È anche uno Star Trek più umano questo, meno militare e più di rilassato. Le relazioni interpersonali hanno più peso.

Visivamente c’è un upgrade notevole: ci sono un ottimo production design e una eccellente illuminazione, ma la tecnologia è giustamente coerente con il mondo che conoscevamo. Questa è l’Enterprise del capitano Christopher Pike (Anson Mount), meno una testa calda del suo successore Kirk, più posato e desideroso di creare consenso, dove possibile. Si è ben saputo recuperare le vicende che a lui erano capitate in Discovery, di cui questa serie è uno spin-off e dove lui ha avuto modo di vedere il proprio futuro, in cui sarà sfigurato e su una sedia a rotelle, con quelle della nave di Kirk, di cui questa serie è de facto un prequel. E parte della riflessione è proprio sul futuro, su quanto sia già stato scritto, su quanto le nostre azioni possono impattarlo. Primo ufficiale è Una Chin-Riley (Rebecca Romijn), che nasconde un segreto. Ritroviamo Spock (Ethan Peck), e si menziona anche la sorella che abbiamo conosciuto in Discovery. È ufficiale scientifico, ed è promesso sposo della vulcaniana T’Pring (Gia Sandhu). Nyota Uhura (Celia Rose Gooding) qui è solo una cadetta, specializzata in linguistica, e ne si costruisce e ne impariamo la backstory. Dei personaggi storici, chi risulta trasformata in qualcuna di più peperina e dinamica - e va benissimo così - è Christine Chapel (Jess Bush), l’infermiera del dottor Bones. Quest’ultimo è sempre stato il mio preferito, e non c’è, ma ha senso. Al suo posto un ufficiale medico originario del Kenya, Joseph M’Bega (Babs Olusanmokun), che pure faceva parte del canone. Compare anche un Kirk, ma non il James T. che abbiamo imparato a conoscere, ma un certo Samuel, antropologo. Il popolare capitano però è comparso in chiusura e lo rivedremo nella seconda stagione, con il volo di Paul Wesley (The Vampire Diaries). Per il poco che lo abbiamo visto, mi ha convinto. 

Ci sono anche personaggi nuovi di zecca, in questa creazione di  Akiva Goldsman, Alex Kurtzman, and Jenny Lumet, e in particolare: La’an Noonien-Sing (Christina Chong), addetta alla sicurezza e discendente del “cattivo” Kahn; Erica Ortega (Melissa Navia), timoniera; e come ingegnere capo, Hemmer (Bruce Horak), un Aenar, ovvero una Andoriano albino quasi cieco e con capacità telepatiche. Insomma, alla fine c’è un giusto mix fra nuovo e vecchio: si omaggia il passato e ne si onora la tradizione valoriale aggiornandola.

Un applauso va al casting, su più livelli. Ha fatto un re-casting dei personaggi noti molto oculato e riuscito probabilmente il più difficile di tutti era l’iconico Spock e quest’attore ereditato da Discovery ha fatto suo il ruolo senza tradire quello portato al successo da Leonard Nimoy. Strage New Worlds ha saputo essere inclusivo nel vero spirito della serie, anche nei personaggi minori. Sono rimasta favorevolmente impressionata che per interpretare Aspen, una pirata nella puntata “The Serene Squall” (1.07), abbiano scelto Jesse James Keitel (Queer As Folk). Che bella idea scegliere un’attrice non binaria per dire a Spock, in crisi fra l’essere umano e vulcaniano, che si tratta di un falso dilemma, che non importa che cosa sei, importa chi sei. Con una simile interprete il messaggio è passato due volte: tanto di cappello alla serie perché così mette in pratica quello che predica.  

In conclusione, Strange New Worlds è una visione facile, e poco serializzata per cui ci si può saltar dentro in ogni momento senza timore di non capire. Non è probabilmente quella che uno oggi chiamerebbe televisione imperdibile, ma è davvero Star Trek.

sabato 8 ottobre 2022

THE FIRST LADY: di scarso impatto

Eleanor Roosevelt (Gillian Anderson, e da giovane Eliza Scanlen). Betty Ford (Michelle Pfeiffer, e da giovane Kristine Froseth). Michelle Obama (Viola Davis, e da giovane Jayme Lawson). Sono queste le tre protagoniste della prima mandata della serie antologica The First Lady (Showtime, Paramout+ in Italia). Le loro storie si segmentano e si alternano mostrando parallelismo, con continui passaggi temporali e occasionali flashback: cambiano i tempi, ma il potere di quel ruolo non codificato ma innegabile, e di certe sfide, non cambia.

Non è stata di grande impatto questa serie di Aaron Cooley, con una sigla che a me ricorda quella di True Blood per il modo in cui è costruita, sia visivamente che musicalmente. C’è una ricerca accurata dei personaggi e delle epoche storiche, ma non riesce a essere veramente incisiva. Tutto è assai blando, anche quando le questioni affrontate sono di fatto scottanti. C’è giusto una patina femminista, anche se a volte è sembrata più di maniera che altro. Ci sono donne viste sia dal punto di vista personale, anche di percorso di crescita che le ha portate a essere chi sono, ma ho storto un po’ il naso quando in partenza è stato ribadito in più di una occasione che dovevano essere delle persone eccezionali per rivestire il ruolo che hanno avuto. Quello che è vero è che sono riusciti almeno in parte a mostrare la condizione delle donne attraverso una “prima donna” che le ha vissute in prima persona e ha aiutato, attraverso le proprie doti, ad avere un impatto sulla realtà che le circondava. “Le First Lady e i loro team sono spesso le avanguardie del progresso sociale in questo Paese" è quello che vogliono far credere, sia vero o meno come regola, attraverso le parole di Betty a Michelle in una lettera personale.

Se all’epoca di Eleanor alle persone di sesso femminile veniva chiesto solo di parlare di ricette e di pulizia della casa, lei ha saputo combattere diventando una voce (anche in senso letterale, con un programma radiofonico) in cui l’interna nazione potesse riconoscersi. La si vede sempre impegnatissima: tiene discorsi con la stampa, si oppone alla segregazione raziale, tontona chiunque pur di assicurare asilo a decine di ebrei in fuga dalla Germania nazista, ha un ruolo nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Betty, ammalatasi di cancro al seno (1.05), sceglie di rivelarlo a tutti, spingendo così molte persone a fare controlli medici che hanno salvato loro la vita. Lo stesso fa rispetto all’abuso di sostanze. Nello stabilire che cosa tenere privato e che cosa rendere pubblico, ha agito contro i suggerimenti anche pressanti dei consiglieri politici, cambiando in meglio la vita del Paese. Michelle, che dalla consulente scolastica era stata spinta a puntare più in basso nel proseguimento degli studi in quanto nera, nonostante i voti brillanti, decide di parlare a una cerimonia di diploma per fare la differenza una volta che può dire la sua, anche se questo è un rischio (1.08), si preoccupa di cibo ai poveri e violenza delle armi, di salute pubblica, e cerca di elevare il livello dello scontro… Seppur carismatiche possono usare la propria personalità per avere un impatto grazie al proprio ruolo, ma non possono agire a  piacimento perché i propri pensieri, il proprio modo di comportarsi e le proprie scelte, hanno un effetto amplificato sulla vita dei propri rispettivi mariti Franklin (Kiefer Sutherland, e da giovane Charlie Plummer), Gerald (Aaron Eckhartm, e da giovane Jake Picking), Barack (O-T Fagbenle, e da giovane Julian De Niro).

Il matrimonio degli Obama è stato mostrato come il più “idilliaco”, e viene da chiedersi se non sia perché ci sono contemporanei e non c’è altrettanto distacco e obiettività, o perché sia effettivamente così. Con le figlie Malia (Lexi Underwood) e Sasha (Saniyya Sidney) e anche con la madre Marian (Regina Taylor) hanno sempre mostrato una famiglia ideale. Voglio credere nella seconda ipotesi, dopotutto dubito che ci sarebbero problemi a ritrarre i Clinton come una coppia conflittuale, però viene naturale domandarselo. Non ci si fa troppi problemi ha mostrare la relazione saffica di Eleanor con la giornalista Lorena Hickok (Lily Rabe) in un’epoca in cui appariva contemporaneamente meno e più problematico di ora. La storia effettiva ci lascia un punto interrogativo in proposito, al di là delle ipotesi.  I problemi da farmaci e alcol di Betty Ford sono ben noti, ma c’è stato un che di intimo nel vedere la figlia Susan (Dakota Fanning) organizzare un’intervention perché andasse in una clinica a disintossicarsi.   

Guidati da una regia interamente affidata a Susanne Bier, abbiamo visto tutti attori di primordine, e tutti hanno fatto un lavoro più che dignitoso, quasi sbalorditivo per come hanno colto gli aspetti delle movenze o perfino dei tratti prosodici, si direbbe. Allo stesso tempo sono sembrati ingabbiati dal dover interpretare personaggi veramente esistiti e ben noti. Michelle Pfeiffer è quella che meno è caduta in questa trappola, dando una forza sorprendente ad una first lady forse meno conosciuta delle altre due. I corrispettivi maschili, i presidenti, sono stati relegati a ruoli di supporto come solitamente accade all’opposto. Non vi ho visto demascolinizzazione, ironica o meno, come hanno fatto altri, ma certo sono stati mostrati “sotto tono” o in momenti più tranquilli, meno leader, più compagni di vita.

Hilary Clinton, Jaqueline Kennedy, Laura Bush (per quest’ultima mi viene in mente il bellissimo libro American Wife, di Curtis Sittenfeld)… sono sicuramente diverse altre le first lady di cui si si sarebbe potuto parlare. La serie però non è stata rinnovata. In ogni caso già la prima stagione da sé può essere una visione gradevoe, ma più per fare una sorta di ripasso leggero su chi è chi e ha fatto che cosa, che non per grandi prospettive o rivelazioni o riflessioni. 

martedì 4 ottobre 2022

THE GOOD FIGHT: finirà con un'esplosione?

L’ultima puntata dell’ultima stagione di The Good Fight terminerà con un’esplosione, o almeno questa è la mia ipotesi. "Sarà un episodio catastrofico che vedrà molta violenza", ha dichiarato Robert King, co-ideatore e produttore esecutivo della serie in un’intervista a TV Line, aggiungendo che anche se si toccheranno dei punti chiave necessari a un’ultima puntata, non sarà trattata come se lo fosse. La moglie che con lui ha co-ideato la serie e la serie “compagna” The Good Wife, e che pure come lui ha il ruolo di EP, ha aggiunto: “L'intera stagione vuole essere il culmine dell'universo di [Good], più che solo l'ultimo episodio”. Finire tutto con un’esplosione sarebbe sensato.

SPOILER. Dall’incipit della sesta stagione (6.01 intitolata “L’inizio della fine”), fuori dalla sede della Reddick & Associates ci sono manifestanti, proteste, esplosioni, boati, gas lacrimogeni, spari, che fanno da sottofondo a tutte le attività di questi avvocati. Una granata viene lanciata dentro un ascensore – poi si rivela finta, ma il messaggio è chiaro: la prossima volta non lo sarà. Alla fine di “The End of Football” (6.03) c’è un’enorme deflagrazione che distrugge una vetrata dietro a Diane Lockhart (Christine Baranski) e il nuovo personaggio Lyle Bettencourt (John Slattery). La puntata successiva (6.04) si apre con la dicitura che vedete in alto nella foto: “Questo episodio include contenuti che possono essere sensibili per alcuni spettatori…soprattutto spettatori che sono disturbati da materiale cerebrale che esplode”. Quando il contenuto in questione prende forma nella puntata, io già non ci pensavo più, ed è stato scioccante e doloroso, con un superlativo – come sempre - Alan Cumming nel ruolo di Eli Gold. Lì per lì però, quando ho visto il trigger warning ho ridacchiato, anche per la sua specificità, pensando che difficilmente chi segue questa serie si fa turbare da un’esplosione, anche in considerazione della sigla, che è partita subito dopo e che da sempre è una serie di oggetti che esplodono.

È stato allora che ho pensato: ce lo hanno sempre detto e di continuo. Non possiamo essere cechi ai warning signs, i segnali d’avvertimento: esploderà tutto. Suppongo che scopriremo se ho ragione il 10 novembre, data di messa in onda della series finale.