Non intendo fare un commento o una recensione sulla seconda stagione della “Fondazione” (AppleTV+), che in generale è stata appagante ed epica — memorabile la 2.09, con le rivelazioni su Derzemel e con il destino finale di Terminus, e a seguire una chiusura ricchissima di colpi di scena — ma ci tengo a buttare giù a flash qualche spunto di riflessione.
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Gli
intrecci sono davvero complessi e sono molte le vicende che vengono palleggiate
dagli abili giocolieri della sceneggiatura. Si vede che la narrazione è di
ampio respiro e non si presta a una visione casuale e rilassata: è chiaro che bisogna
davvero prestare attenzione per non perdersi, avendo la pazienza di attendere
per eventuali risposte. La Trilogia della Fondazione di Asimov su cui la serie
è basata era stata ispirata da Declino e
Caduta dell’Impero Romano di Edward Gibson, e in questa stagione appare
particolarmente evidente, dai militari, ad esempio — e un applauso va al fatto
che fra questi ne abbiano fatto una magnifica coppia gay —, ai clerici, ai costumi,
allo spirito tutto.
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Sarà
che nel writing team è arrivata anche Jane Espenson, che non c’era nella prima
stagione, ma si sente l’eredità di Joss Whedon (Buffy, Angel, Firefly), con cui in passato ha
estesamente lavorato. In particolare questa sensazione c’è dalla concezione
etica di fondo per cui alla fine non sono i grandi nomi, i grandi scienziati o
governanti o intellettuali che cambiano la storia del mondo, ma le persone
comuni, e i più coraggiosi e coinvolti a volte sono dei poveri scalcagnati
armati di coraggio e buona volontà. E ci sono eroine molto combattive. Certo,
rimane legittimo domandarsi se quella che qui vedo come l’impronta di Joss, non
fosse in Buffy in realtà l’impronta
di Jane, solo non attribuita (almeno da me) a lei, ma a lui: forse sono vere un
po’ entrambe le cose. Così come è un piacere notare, qui e lì, piccoli
riferimenti ai lavori di Asimov estranei al Ciclo delle Fondazioni
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Hari
Seldon (Jared Harris), sempre di più è stato presentato in un parallelismo con
la figura di Cristo: attorno alla sua figura si crea un movimento religioso,
muore e risorge, si sdoppia, incarna sè stesso nel corpo di una donna, non
verrà crocifisso ma la sorte che gli capita legato con le braccia a dei pali
certo non si distanziano molto da quel genere di iconografia…e piccoli accenni
vanno in quella direzione, anche nella diegesi, e alla critica a quelle
credenze.
· In questa stagione vengono introdotti i Vedenti (Mentalics in originale), sul pianeta Ignis, un gruppo di persone che ha il potere di percepire quello che gli altri pensano e provano e sono fortemente empatici. La storyline che li riguarda per me ha avuto forti echi dello Star Trek originale, anche se non riesco a motivarlo in modo specifico. Sono guidati da Tellem Bond (Rachel House), che da subito si presenta come una villainess manipolatrice, una cattiva della situazione insomma. In “Una morte necessaria” (2.07) si esplora attraverso di loro un concetto molto interessante. Gaal (Lou Llobell) e Salvor (Leah Harvey) vengono invitate ad un banchetto, e per l’occasione vengono cucinati dei molluschi che, bolliti, emettono grida di dolore che pure loro, influenzate dalla comunità in cui si trovano, percepiscono in modo molto forte e disturbante. Chiedono se non sia possibile optare per dei vegetali. Tellem risponde loro che le piante non soffrono meno degli animali, hanno solo un modo di manifestarlo differente che noi non percepiamo con la stessa intensità solo perché apparteniamo ad un genere diverso. Questa è un’idea con cui io sono molto in accordo. Aggiunge poi che sopravvivere comporta il provocare dolore, e sofferenza e morte ad altri esseri viventi, ma che gli esseri umani scelgono di illudersi che non sia così. Loro ne sono consapevoli, vegetale o animale non fa differenza, e scelgono di accettare questa verità ed essere riconoscenti, perché quella sofferenza non vada sprecata, per così dire, perché non sia non riconosciuta. Tendo, almeno in parte, a ritrovarmi anche in questa linea di pensiero. Il fatto che queste parole siano in bocca a una cattiva, e funzionali alla storia che si narra in seguito, non le rende meno vere, eventualmente. Non di meno fanno fare una pausa di riflessione, se il dare per scontato che l’inevitabilità di essere artefici di sofferenza per gli altri non possa rischiare di rendere ciechi ai dolori altrui e anche crudeli lì dove non è necessario. In ogni caso è stato un buon spunto di riflessione per una puntata scritta da David Kob e Eric Carrasco.
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