mercoledì 14 febbraio 2024

FELLOW TRAVELERS: sull'amore e i condizionamenti sociali

È stata pregnante, toccante, romantica e sexy la miniserie Fellow Travelers – Compagni di Viaggio (Showtime – Paramount+) ed è riuscita anche a dare una prospettiva inusuale ad argomenti che già si sono visti trattati. Al centro delle vicende ci sono due uomini innamorati, fra gli anni ’50 del maccartismo più bieco e la fine degli anni ’80 che mostra il lato crudo dell’epidemia di AIDS, con continui passaggi fra presente (il 1986) e il passato, che per la gran parte viene seguito secondo un filo cronologico. Ad adattare per la televisione l’omonimo romanzo di Thomas Mallon è stato Ronald L. Nyswaner, già candidato al premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale di Philadelphia. La sigla mi ha richiamato musicalmente quella de L’Amica Geniale, e si compone di foto vintage di uomini gay che amoreggiano.

ATTENZIONE SPOILER

La lezione di fondo è che l’omofobia ha costretto generazioni di uomini (e donne, anche se qui hanno un ruolo molto marginale) a vivere nella paura; a mentire per sopravvivere, cosa che diventa perfino troppo facile se non hai altra scelta; a nascondere chi erano, a vergognarsene e a sentirsi in colpa, negando la verità del proprio io; a subire la condanna di una società che sindacava non tanto su con chi andassero a letto ma su chi amavano e chi frequentavano come amici e a negare per questo a se stessi l’amore, forza vitale ed essenziale. Quale tormento sia e a che conseguenze porti lo si vede e si dimostra.   

Nel 1952, Hawkins “Hawk” Fuller (Matt Bomer), in quegli anni con un look molto alla “Mad Men”, lavora per il governo, e più specificatamente per il senatore Wesley Smith (interpretato da Linus Roache e basato in parte su una persona reale, Lester C. Hunt), la cui figlia Lucy (Allison Williams) finirà per sposare. Crede della “completa libertà personale”, ma nasconde di essere omosessuale, perchè siamo in un’epoca in l’FBI ha un’Unità di Investigazione sui Devianti Sessuali e la polizia di Washington ha un programma di eliminazione delle perversioni sessuali perché, senza mezzi termini, gay e lesbiche vengono considerati tristi, malati e patetici. Incontra per caso Tim Laughlin (Jonathan Bailey, Bridgerton), che lui chiamerà “Skippy”, idealista, un po’ ingenuo, maccartista convinto, fedele cattolico. Si piacciono da subito e Hawk lo prende sotto la sua ala protettrice, trovandogli un lavoro e iniziandolo ai piaceri sessuali. Loro amico è Marcus Gaines (Gelani Alladin), un veterano di guerra ora giornalista, per cui alla discriminazione legata all’orientamento si aggiunge quella dell’essere nero in un paese razzista e uscito a malapena dalla segregazione. È innamorato di Frankie Hines (Noah J. Ricketts), drag queen apertamente gay, in un’epoca in cui questa espressione, “apertamente gay” cioè, aveva ancora senso – e sì, è un riferimento al commento di Andrew Scott il mio, che in una recente tavola rotonda con l’Hollywood Reporter ha dichiarato, in modo assai divertente, che è ora di mandare in pensione quella dicitura e sicuramente è spesso il caso di aderire alla sua osservazione.  

Attraverso l’excursus storico, si è dato uno spaccato notevole su come siano cambiati la società e i mores nel tempo:  è agghiacciante vedere i funzionari statali indagati e licenziati per anche solo un sospetto di omosessualità – Mary Johnson (Erin Neufer) segretaria di Hawk, lesbica, si vede costretta dalle circostanze a denunciare la donna di cui è innamorata per non perdere il lavoro e vive in una situazione d’ansia come già in questo caso recentemente ce l’ha mostrata “For All Mankind”; ci sono suicidi; c’è elettroshock (1.05)…Hawk stesso viene sottoposto a un vergognoso “test di mascolinità” e addirittura alla macchina della verità, con un vero e proprio interrogatorio intimo, su sesso, sodomia, su se mai sia stato innamorato di un uomo…. La mentalità cambia, arrivano le proteste per la guerra del Vietnam negli anni ’60, gli anni ’70 di edonismo e liberazione sessuale, macchiati dal noto omicidio di Harvey Milk e George Moscone, la crisi dell’HIV e dell’AIDS negli anni ’80, che vede un Tim morente che dichiara “non stiamo morendo di AIDS, stiamo morendo di indifferenza”.

È il percorso individuale di due uomini profondamente diversi fra loro. Hawk è più libero da sensi di colpa nei propri desideri, ma è in vista e più condizionato dall’immagine sociale che vuole mantenere. Si costruisce una vita più tradizionale, come gli è richiesto: si sposa e ha dei figli, che pure ama, ma quando gli muore di overdose il più piccolo si dà a una vita di eccessi, di sesso, droga e alcool. Alla fine la moglie lo lascia. Tim, profondamente religioso, teme la dannazione eterna eppure ammette di essersi sentito “puro” (1.01) nel commettere quello che la sua chiesa reputa peccato mortale, ed è all’inquieta ricerca di se stesso, ma riesce ad essere onesto nel senso di aperto su chi è piuttosto in fretta, si appassiona alla causa di McCarthy nonostante tutto, si arruola, finisce in carcere, va in seminario con l’intenzione di farsi prete, diventa un assistente sociale che si batte per il finanziamento alla ricerca contro l’AIDS, quando già ci sta morendo. 

E fra questi due piani che si intersecano così bene, quello individuale e quello collettivo, c’è una romantica storia d’amore di due persone che si desiderano e amano autenticamente – con una buona dose di sesso che viene mostrato piuttosto liberamente (spinto, ma attento ad essere sempre al di qua della pornografia). Si prendono e di lasciano, con tante volte molti anni che si inframmezzano fra un incontro e l’altro, ma sempre con la mente l’uno per l’altro. Tragico, magnetico, seducente, crudele, dolce, commovente…Nella storia d’amore Hawk è in partenza il più smaliziato: se Skippy va in chiesa a confessarsi, Hawk è invece quello che con una strizzatina d’occhio gli dice “passerò il pomeriggio a immaginarti in ginocchio in preghiera”; è Hawk quello che gli ordina di spogliarsi guardandolo negli occhi e si sente ripetere “a te” alla domanda “a chi appartieni”? (O forse “tu” alla domanda “di chi sei tu?” – avendo visto il programma in originale non so che cosa abbia scelto la traduzione italiana) – raramente si vede il sesso trattato in termini di potere, e qui è stato fatto in modo notevole. Da donna a cui piacciono gli uomini devo ammettere che mi piace vederli fare sesso, e quando ci sono due interpreti che oltre ad essere bravi sono anche così esteticamente attraenti, non è difficile lasciarsi trasportare. I rapporti di forza fra loro nel tempo cambiano, ma l’attrazione e i sentimenti rimangono, anche se nel tempo si sono feriti.

Tim ormai morente confessa ad Hawk che ha aspettato tutta la vita che Dio lo amasse e poi si era reso conto che la cosa importante era che era lui ad amare Dio, e la stessa cosa era con Hawk, il suo grande amore che lo consumava. Hawk solo davanti all’AIDS Memorial Quilt a Washington, davanti a quel fazzoletto di stoffa che porta il nome del suo Skippy, ha finalmente il coraggio di ammettere, alla figlia, “Non era ‘il mio amico’, era l’uomo che amavo”. Frigno a scriverlo come quando l’ho visto. Una miniserie sull’amore autentico e sui condizionamenti sociali.

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