Non è la peggiore
produzione che io abbia visto in vita, ma ci sia avvicina molto. Little Birds (Sky Atlantic, NOW TV),
serie in 6 puntate del 2020 basata sull’omonima raccolta di racconti erotici di Anaïs Nin, comincia
con la protagonista Lucy (una sempre deliziosa Juno Temple, Ted Lasso) dallo psichiatra. Siamo nel
1955, a Tangeri in Marocco – anche se le riprese sono state fatte fra l’Andalucia
in Spagna e l’Inghilterra -, e su richiesta del padre di lei le vengono date
delle pillole tranquillanti e stabilizzanti dell’umore per tenere a bada quello
che definiscono un comportamento problematico, e voglie che la distraggono. È
presto chiaro che l’effetto cercato è in realtà di frenare qualunque
entusiasmo. Si sente allegra e vuole ascoltare un po’ di musica alla radio?
Ecco pronta una pilloletta da ingerire. Quelle stesse pillole devono averle
ingerite Sophia Al Maria, che lo ha sviluppato per la TV, e le altre
co-sceneggiatrici Stacey Gregg e Ruth McCance, e anche la regista Stacie Passon,
perché se c’è un aggettivo che si attanaglia bene a questo programma è “dull”:
spento, soffocato, sbiadito, piatto. C’è qualche guizzo di potenziale, ma non si va oltre al potenziale.
L’ingenua Lucy si sposa
con un nobile inglese, Hugo Cavendish-Smyth (Hugh Skinner), e spera così di
cominciare una nuova vita piena di feste e di stimoli nella Zona internazionale
di Tangeri. Ancora non sa che lui l’ha sposata perché il padre l’ha pagato per
farlo, lui è gay ed innamorato di Adham Abaza (Raphael Acloque) un avvenente principe
egiziano che con lei fa pure amicizia. Se lei è annoiata e affamata di vita,
lui non la aiuta di certo, anzi, è un inetto perfino nello svolgere
riluttantemente il compito che il suocero gli ha affidato, ovvero vendere le
armi di cui è produttore al Segretario francese in Marocco, Pierre Vaney
(Jean-Marc Barr). La sua vita si incrocia a quella degli altri in occasione di
una festa a casa della Contessa Mandrax (Rossi De Palma), e fra i tanti
incontra anche una prostituta molto nota e richiesta, Cherifa Lamour (Yumna
Marwan), particolarmente prona a sottomettere e maltrattare i clienti che lo
desiderano.
Quello che dovrebbe essere
un ambiente affascinante di intrighi internazionali, giochi di potere e
seduzioni, con uno specifico sottofondo politico di colonialismo e risentimenti,
in realtà è un incrocio di scenografie di ricostruzioni che appaiono finte, claustrofobiche,
rese oppressive da colori saturi, a fare da sfondo ad abusi di potere di grande
piccineria. Due ragazze ad esempio umiliano un lavorante presso di loro, Leo (Kamel
Labroudi), l’innamorato di Cherifa, per divertirsi, gettandolo a ripetizione
una loro collana in piscina e obbligandolo a tufferai a riprenderla, mentre
loro se ne stanno pacifiche a prendere il sole. Poi Leo viene pestato a sangue
da Pierre? Senza senso.
E se si voleva mettere in
scena l’edonismo frenato si è fallito miseramente. Con la dominatrix Cherifa ci sono buone dosi di scene sado-maso più
squallide che minimamente erotiche, come immagino avrebbero voluto essere. Lucy
e Bill (Matt Lauria), una spia che indaga sulle attività del padre di lei, ad
un certo punto si spalmano vernice l’uno sull’altra? Con due attori così
affascinanti poteva uscirne qualcosa di effettivamente seducente, come poteva
esserlo la scena di un pranzo fra Lucy e Pierre che è uno dei momenti
memorabili, ma proprio non ci si riesce. E Cherifa che intrattiene gli ospiti
ballando sul bolero di Ravel durante una cena che altro non si può definire se
non folle? Ha qualche senso qualcuna di queste scene oltre a provocare un forte
senso di noia mista a disgusto in chi le guarda? Terrificante proprio.
Quello che viene reso bene, quasi per errore, è il senso di morte interiore e di disperazione dei personaggi, ma perché sembrano smorti loro, ad eccezione forse di Adham, che mostra un po’ di grinta e vitalità. Se lo schifo per la vita è quello che si voleva trasmettere, e il tedio, allora indubbiamente si è riusciti a trasmetterlo. I dialoghi sono terribili – c’è uno scambio in cui Lucy dice a Bill di voler usare il bagno in cui non sapevo se piangere o scoppiare a ridere -, le scene proprio non stanno in piedi narrativamente, e la messa in scena è desolante e senza lustro. L’uso della luce soffusa vagamente sognante, con tutto bluastro o rosso da occhialini 3D, ha tramesso ancora di più una sensazione di finzione e di falsità. Forse aspirava ad essere artistico, con qualche tocco alla Wes Anderson, voglio credere, perché si nota lo sforzo di creare una realtà surreale sensuale e di commentare sui rapporti di potere. Questi elementi ci sono, peccato che sia stata reso in modo così inguardabile, almeno per me. Non ho letto il materiale originale, ma certo così me ne è passata la voglia.
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