Nato da
un adattamento del romanzo After Dark di Jayne Cowie, diventato Curfew.
L’alibi perfetto in italiano per Fanucci editore, il Curfew
(Paramount+) portato sullo schermo in 6 puntate da Lydia Yeoman, Jess Green e Sumerah
Srivastav nel 2024 (c’era una precedente omonima serie che non ha nulla a che
vedere con questa) è decisamente deludente. La premessa era molto interessante,
ma lo svolgimento ha lasciato molto a desiderare.
Siano in
Gran Bretagna e la situazione la riassumono i titoli di testa: agli uomini è
imposto un coprifuoco dalle 19 alle 7 come misura per evitare molestie e
femminicidi. A ognuno di loro è applicata una cavigliera elettronica per
monitorare eventuali spostamenti e vengono arrestati se violano il coprifuoco.
I due diritti messi in contrapposizione fra loro sono la libertà maschile vs la
sicurezza femminile; questa drastica soluzione è stata pensata dando priorità a
quest’ultima per vedere se si riescono a scardinare una situazione che è
diventata insostenibile. Se questo ha messo le donne al riparo da aggressioni,
in realtà ha fatto anche accrescere la misoginia, creando gruppi di uomini che
si fanno chiamare Alfa (una manosfera più dichiaratamente schierata e alla luce
del sole).
Le
vicende hanno il via quando viene uccisa una donna che viene proprio lasciata
davanti al Centro per la Sicurezza delle Donne, dove lavora Sarah (Mandip
Gill), madre single che ha l’ex-partner in carcere per aver violato il
coprifuoco e che lavora proprio per applicare i tag agli uomini. Viene chiamata
ad investigare l’ufficiale di polizia Pamela Green (Sarah Parish), insieme al
suo nuovo collega Eddie (Mitchell Robertson). Lei, che ha perso una figlia
proprio il giorno prima che la nuova legge che impone restrizioni agli uomini,
è convinta che solo una persona di sesso maschile possa essersi macchiato di un
simile crimine, nonostante i limiti imposti ai loro spostamenti. Ci sono vari
sospettati e quando viene segnalata la scomparsa di una macchina per la
rimozione dei tag, si comprende che è così che ha agito la persona accusata. Il
vero colpevole viene rivelato alla fine. Non lo sospettavo e non so se sono poi
così contenta, anche se sono sollevata non sia andata nella direzione che
sembrava lasciar intuire in “Choose Me” (1.04), un voluto depistaggio, in
occasione delle molestie subite dall’insegnante Helen (Alexandra Burke) che ha
un doppio lavoro online.
Mi
intrigava la premessa della serie, volta a indagare un’ipotesi di soluzione
alla violenza contro le donne. Mi incuriosiva anche aver letto alcuni commenti
maschili che accusavano la serie di odio nei confronti degli uomini: non credo
che se anche si mostrasse una realtà in cui quello è la norma sarebbe un gran
problema. Capisco che non ci sono abituati, ma ci sono continuamente distopie
(e realità) in cui avviene per le donne, tutto sta a come la questione viene
affrontata. Ho visto qui una serie distopica, in cui non è vero che le donne
hanno raggiunto la sicurezza, che ci sarebbe se gli uomini fossero maturi a
sufficienza da autoregolarsi, ma si vede una realtà in cui domina la paura e metà della
popolazione è trattata da criminale, a prescindere dai propri comportamenti in
virtù dell’appartenenza a un genere sessuale, quello maschile. È terribile ad esempio vedere il poliziotto
Eddie, che è dispensato dal coprifuoco quando è in servizio, non potere
accorrere alla richiesta della madre che sta male per non violare le regole.
In questo
senso non posso condividere quanto ha scritto Ilaria
Solari su Esquire per cui “se per il pubblico maschile, anche il più
illuminato, lo scenario che propone è a tutti gli effetti una deriva distopica,
agli occhi delle spettatrici, l’immagine che apre la serie - ragazze che
passeggiano festose e indisturbate nella notte, infischiandone degli sguardi
degli uomini, chiusi dietro le loro finestre - suona piuttosto come un’eutopia,
un assaggio di come sarebbe il mondo senza la minaccia costante di essere
molestate, aggredite, uccise. Almeno la notte”. Certo poter girare di notte senza
l’aspettativa di essere aggredite è un’eutopia, ma non lo è certo il modo in
cui qui è stata realizzata. Distopia è un mondo in cui gli uomini sono trattati
come delinquenti solo in virtù dell’appartenenza a un genere sessuale, anche ai
miei occhi femminili. E fa paura.
Una
grande carenza è che non c’è un world building convincente. Gli uomini
aggrediscono e uccidono le donne solo di notte? Certo che no. Solo fuori casa?
Ovviamente non è così. Se si mostra una società in cui gli uomini devono
sostenere dei colloqui psicologici prima di essere considerati adatti ad andare
coabitare con una donna – e per i gay? Si
mostra che a scuola si insegna il perché il governo ha ritenuto necessaria una
simile misura, ma quali altri tentativi sono stati fatti per risolvere il
problema? E come sono classificati i gender fluid e i trans? Il “Women’s Safety
Act” avrebbe rivoluzionato il Paese, a loro dire, ma si vede ben poco in quella
direzione. A ridosso di un’aggressione c’è il rischio di vedere tutti come
possibili carnefici, ma è terribile pensare ad un mondo in cui tutti sono
aggressori potenziali. Forse è vero, potenzialmente lo sono, ma non sono tutti criminali.
Sebbene sia apprezzabile che abbia cercato di trattare determinati temi, diversamente da The Power - Ragazze Elettriche, che si colloca nello stesso “territorio narrativo” con molta più efficacia, e nonostante abbia vinto nel il National Film Award come miglior serie televisiva drammatica agli 11esimi Annual National Film Awards UK nel 2025, Curfew per me non ha sviluppato adeguatamente il proprio potenziale, mancando di sottigliezza e non mettendo in discussione a sufficienza la propria premessa se non i termini di rabbia e ulteriore aggressività.

Nessun commento:
Posta un commento