martedì 24 febbraio 2015

SATISFACTION: mi ha soddisfatta

 
“Il sesso non è il vero barometro di un matrimonio, la conversazione lo è.” (1.06); “Siamo soli nella vita: l’amore, il matrimonio…è solo una distrazione” (1.06). Questo paio di citazioni, tratte dalla serie Satisfaction, rendono bene qual è il fulcro di interesse della serie: il senso e il ruolo delle relazioni sentimentali nella propria realizzazione personale, la comprensione di che cosa ci dà soddisfazione nella vita e nei rapporti umani, e la ricerca di che cosa realmente vogliamo. Come esplicitano sul sito ufficiale della serie, la domanda che si pongono è: che cosa fai quando avere tutto non è abbastanza? La canzone della sigla d’apertura è la notissima “(I Can Get No) Satisfaction”.  Si risponde attraverso gli accadimenti, attraverso espliciti scambi verbali in proposito, e attraverso conversazioni che il protagonista principale ha con un monaco buddista con cui si confida per avere una guida spirituale.
Neil Truman (Matt Passmore) scopre un giorno per caso che la moglie Grace (Stephanie Szostak) paga uno gigolò, Simon (Blair Redford, Switched at Birth, The Lying Game), per andare a letto con lei. Va in crisi, e all’insaputa della moglie, lo diventa lui stesso, lavorando part-time per Adrianna (Katherine LaNasa), una madame che gestisce un giro di escort maschi.  Neil in questo modo cerca di capire sia se stesso che le esigenze della moglie, perché ci tiene a mantenere e preservare il matrimonio, rendendolo felice. La figlia adolescente della coppia intanto, Anika (Michelle DeShon), sogna una carriera come cantautrice, e certe volte trova più facile confidarsi con la zia Stephanie (Deanna Russo) che con la madre.
Ad eccezione del pilot, la titolazione delle singole puntate comincia regolarmente con tre puntini di sospensione. Idealmente seguono il titolo del programma per poi continuarlo. Soddisfazione… attraverso l’ammissione (1.02), attraverso la competizione (1.03) attraverso la scoperta di sé (1.04), attraverso la partnership (1.05), e via dicendo.
Difficilmente vedremo questo drama ideato da Sean Jablonski sulle passerelle delle premiazioni – potrebbero esserci più chiaroscuri, la recitazione pur buona potrebbe essere più memorabile, le ambiguità relazionali potrebbero essere più marcate, i dialoghi più pregnanti… - ma nondimeno ha una sua dignitosa solidità e una certa schietta onestà nel trattare l’argomento del titolo. E le 10 puntate che hanno debuttato lo scorso luglio sull’americana USA Network affrontano un tema poco battuto, portando una cerca ventata di novità.
Posso dirlo, mi ha soddisfatta, e a sufficienza da proseguire a seguirlo nella seconda stagione. 

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