È
terminata con due colpi di scena potenti la prima stagione di How to get away with murder, Le regole
del delitto perfetto in italiano, una serie la cui poetica si può
probabilmente riassumere in una delle frasi pronunciate dalla protagonista nell’ultima
puntata (1.15) a circa dieci-quindici minuti dalla fine: “Non c’è verità in un’aula di tribunale, c’è
solo la vostra versione della verità contro la loro; è così che funziona la
giustizia: non è che cosa è giusto o equo, ma è chi racconta la storia più
convincente”. Nei casi di tribunale che discutono, nelle loro vite private, e
in modo meta-testuale nel racconto che guarda lo spettatore, la filosofia è che
si deve raccontare la storia che ha più senso e che ci permette di andare
avanti, e a ripeterla a sufficienza diventerà realtà.
La serie ha come protagonista
Annalise Keating (Viola Davies), brillante avvocato difensore pronta a tutto
per i suoi clienti. Insegna anche all’università, e ogni anno seleziona gli
studenti più dotati per seguire con lei i suoi casi. Si tratta di Connor Walsh
(Jack Falehee), ragazzo gay pronto a usare la propria sessualità per ottenere
quello che vuole; Michaela Pratt (Aja Naomi King), ambiziosa sul lato
professionale e prossima alle nozze; Laurel Castillo (Karla Souza), ragazza
quieta che ha un rapporto conflittuale con la famiglia; Asher Millstone (Matt McGorry, Orange is the New Black), figlio di un
rinomato giudice; e Wes Gibbins (Alfred Enoch), che la docente prende sotto la
sua ala protettrice. Con Annalise, che nella vita personale ha una storia extramatrimoniale
con il detective Nate Lahey (Billy Brown), lavorano Frank Delfino (Charlie
Weber) , pronto a fare il lavoro sporco, e Bonnie Winterbottom (Liza Weil,
Gilmore Girls), altro avvocato, ma non brava quanto Annalise.
Tutta la prima stagione,
nella sua storia orizzontale, ruota intorno all’omicidio di una studentessa
universitaria, Lila, della cui morte viene accusata Rebecca (Katie Findlay),
vicina di casa di Wes e presto sua fidanzata. È nel cercare di
proteggere lei che Wes e tutti i ragazzi tranne Asher, che ne resta all’oscuro,
uccidono accidentalmente il marito di Annalise, Sam Keating (Tom Verica, American Dreams), che lei sa aver avuto
una storia con la ragazza uccisa, che aveva messo incinta. I ragazzi si
liberano del cadavere e comincia per loro la paura di essere scoperti. Il resto
della stagione, al di là della storia verticale della singola puntata, cerca di
ricostruire che cosa sia realmente accaduto e chi sia il vero colpevole (si
scopre nell’ultima puntata), con una narrazione che per la prima parte della
stagione (le prime nove puntate andate in onda nel 2014) ha presentato gli eventi
solo in modo frammentario, procedendo a
ritroso con progressive rivelazioni che sono partite dal momento in cui hanno
cercato di sbarazzarsi del cadavere. Una ricostruzione unitaria è avvenuta solo
prima della pausa invernale.
Ci sono molti aspetti
che questo progetto di ShondaLand (la compagnia di Shonda Rhimes che è qui produttrice
esecutiva) ideato da Peter Nowalk che funzionano a dovere: l’uso de tempo, con
scarti che rendono le vicende dinamiche a sufficienza senza essere confuse; la sensazione
di tensione e urgenza costanti; la diversità nel cast; l’idea che la realtà spesso
non è così come sembra; le magnifiche
scene di sesso (e penso a Connor in particolare); il profondo senso di
infelicità che attanaglia tutti i personaggi, Annalise e Bonnie in primis; la
costruzione narrativa in sé e per sé che è chiaro essere timonata con destrezza
e senza incertezze.
Eppure, non mi è piaciuto.
E forse per me le ragioni sono solo l’irruente leggerezza con cui di fatto
vengono trattate questioni complesse, accennate ma mai davvero approfondite, l’aggressività
dell’atmosfera, e l’etica che sta a fondo del programma, che impila menzogna su
menzogna, come modalità di sopravvivenza, ma alla fine come stile di vita. Annalise
è un avvocato feroce almeno quanto How to
Get Away with Murder è una serie feroce. Forse è un pregio, ma non posso
dire mi piaccia.
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