Sono rimasta
altalenante nella mia soddisfazione durante tutto il corso della prima stagione
di Girlfriends’ Guide to Divorce,
sviluppata da Marti Noxon (una delle più note sceneggiatrici di Buffy) sulla base di una serie di libri
di Vicki Iovine, e già rinnovata per una seconda.
Un po’ Sex and the City, un po’ un Girls adulto con un leggerissimo tocco
di reality show nello stile della rete Bravo che la ha mandata in onda come suo
primo esempio di scripted show, la
serie ha come protagonista principale Abby McCarthy (Lisa Edelstein, House), autrice di successo di libri di
consigli su matrimonio e famiglia, che vede crollare il suo prestigio e la conseguente
possibilità di monetarizzarlo e mantenere così sè e famiglia, quando si scopre
che sta divorziando dal marito Jake Novak (Paul Adelstein, Scandal), regista di
scarso successo che ha presto una relazione con la giovane e popolare attrice Becca
Reilly (Julianna Guill) - che non può
non far pensare sia stata modellata come una ipotetica Sarah Michelle Gellar di
Buffy. Abby deve cercare di rilanciare
la sua vita professionale e personale e prendersi cura dei figli, trovando una
nuova dimensione nel gestire il suo rapporto con il suo ex.
A starle
vicino e a condividere i suoi successi e i suoi rovesci di fortuna sono le
amiche: Lyla (Janeane Garofalo), un’avvocato piena di rabbia nei confronti dell’ex
marito che spende i soldi che lei guadagna con una dominatrix, e un personaggio
che esce di scena a metà stagione; Phoebe (Beau Garrett), ex-modella da poco divorziata
e spirito libero; Delia (Necar Zedegan), il suo avvocato divorzista, una donna
di origini iraniane che ha un difficile rapporto col padre e cerca di tenere in
equilibrio vita personale e professionale che spesso si intersecano; e Jo
(Alanna Ubach), vecchia compagna di liceo che si trasferisce a Los Angeles dopo
la separazione, e che compare a metà della stagione, prendendo idealmente il
testimone, come personaggio, da Lyla. Accanto a lei ci sono anche il fratello
Max (Patrick Heusinger) e suo marito Ford (J. August Richards, Angel).
Lisa
Edelstein è assolutamente eccezionale in questo ruolo (ma a dire il vero anche
negli altri in cui l’abbiamo vista in passato): determinata senza essere astiosa,
vulnerabile ma non piagnona, competente ma anche insicura, disillusa ma aperta…
in una parola, adulta e credibile. E la serie riesce davvero a interessarci alla
sua vita. Molto meno rispetto alle amiche (con forse la sola eccezione di
Delia). O quanto meno bisognerebbe fare un distinguo. Queste donne non sono
nate per farsi piacere, e almeno in questo ci riescono benissimo: Lyla è
rabbiosa, Phoebe superficiale, Jo sbandata. Si fatica a capirne la multidimensionalità,
e sono fastidiose al punto che si desidererebbe solo tenerle a distanza perché
ti danno la fin troppo realistica impressione di avvelenarti un po’ la vita e
che staresti meglio senza di loro. Hanno atteggiamenti tali per cui ti viene da
credere che, se sono infelici come sembrano, se la vadano anche a cercare e
dovrebbero farsi un serio esame di coscienza. Non si guardano con piacere.
Forse è il vero intendimento e sono io
che non sono in grado di apprezzarlo. È davvero originale e pregevole
però che fra loro alcuni personaggi non si vedano di buon occhio, perché accade
così di rado nella finzione.
Le
dinamiche di un matrimonio che si rompe,
il cercare di salvaguardare le esigenze di tutti, le fratture che si creano (in
questo caso tanto fisiche quanto non troppo sottilmente metaforiche – in seguito
ad un terremoto, la casa coniugale ha una profonda crepa che la spacca), il
ricostruirsi di rapporti nuovi, le ammaccature che la vita ti procura, il
tradimento, i figli che crescono in un mondo che la tecnologia rende una sfida poco
conosciuta, le difficoltà economiche, le dinamiche sociali nei rapporti di
coppia e di amicizia sono un campo di battaglia in cui ci si muove agevolmente,
riuscendo in un buon equilibrio fra il lieve tono umoristico che si cerca di
mantenere e trovare anche nelle situazioni
più dolorose e una seriosa ponderazione di tematiche di quotidianità domestica
e sociale. Si è consapevoli delle aree grigie nelle scelte di vita. Non si è
mai stucchevoli nei buoni sentimenti. Si decolla nelle molte situazioni, sempre
quando è coinvolta la Edelstein, in cui senti la verità del momento e la sua
pregnanza. Nel disastro e nell’umiliazione, così come nella gioia e appagamento
del momento. Un buon esempio è la cena di Thanksgiving in “Rule No. 46: Keep
The Holidays Low Key” (1.11) nel momento in cui c’è una discussione sul senso
della festa e sull’opportunità di affrontare conversazioni e tematiche serie in
un’occasione conviviale come quella. Azzeccata e notevole. Altre volte però,
troppe per me, la serie sembra una relazione che non funziona, ma che non è
completamente cattiva: vai avanti per inerzia, e diverse situazioni ti
infastidiscono, ma sei comunque legato, non c’è niente di così
catastroficamente negativo da fartici allontanare, ma niente che ti risvegli
passione e desiderio di essere lì sul serio.
Prima del
debutto, c’è stata controversia sulla locandina che fotografa la protagonista
che mostra l’anulare alzato con la scritta “Go Find Yourself” (Va a trovare te
stesso), con evidente riferimento al dito medio alzato e alla frase “Go Fuck
Yourself” (Va a farti fottere). Personalmente trovo pretestuose le polemiche e
brillante l’idea che peraltro trasmette bene, anche nella lettura in parallelo,
lo spirito di fondo del programma.
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