Basata su una serie
turca, Suskunlar, a sua volta basata
su una storia vera, Game of Silence
parla di un gruppo di ragazzini preadolescenti che vengono messi in
riformatorio per aver causato gravi lesioni a una donna in seguito a un
incidente con un auto che evidentemente non potevano ancora guidare, ma che
avevano sottratto per salvare la fidanzatina di uno di loro dalla madre
alcolista, salvo poi far scappare la ragazzina per evitare almeno a lei le
conseguenze dell’acaduto. Sbattuti nella
Quitman Youth Detention Facility, in Texas, subiscono violenze e abusi di ogni
tipo da parte dei secondini, con il benestare del direttore della prigione che,
se gradiva qualche fanciullo in particolare, se lo faceva portare ai suoi party
(con conseguenze di violenza sessuale che lasciano immaginare).
A 25 anni di distanza ormai
i giovani amici si sono fatti una loro vita. Boots (Derek Phillips), che è
stato uno di questi “favoriti” del direttore del carcere, un giorno incrocia
uno dei secondini, prende una mazza da golf e quasi lo ammazza. È
così che gli altri del gruppo, Shawn (Larenz Tate) e Gil (Michael
Raymond-James), decidono di contattare Jackson Brooks (David Lyons), che è ora
uno stimato avvocato che sta per sposarsi con la collega Marina (Claire Van Der
Boom). Lui rivede tutti, compresa quella che un tempo era la sua ragazza, Jessie
(Bre Blair), che ora sta con Gil, e si fa convincere prima a difendere Boots,
poi comunque a vendicarsi del direttore Roy Carroll (Conor O’Farrell) che nel
frattempo si è dato alla politica. Fra flashback e ulteriori sottotrame che
comprendono il traffico di droga e una sollevazione al penitenziario, la vicenda
si fa ulteriormente complicata, fra segreti e appunto i silenzi del titolo.
Sviluppata per la NBC da
David Hudgins, nonostante la buona recitazione, la storia non convince. Si
pecca sicuramente di overplotting,
ovvero di un inutile “eccesso di trama” che appesantisce senza ragione una costruzione
narrativa che non lascia peraltro alcuno spazio a un minimo di approfondimento
psicologico. I cattivi della situazione sono perfino ridicolmente privi di
spessore, sottigliezze o sfumature non esistono, ogni passaggio è rimarcato in
modo molto pesante per essere sicuri che capiamo bene che sono successe cose
davvero terribili che meritano una vendetta altrettanto terribile, ma i crimini
sono pure di un orribile molto generico e “di circostanza” su cui si insiste
quasi con gusto sadico. Le donne sembrano più un “segnaposto” che altro. Di suo comunque non è inguardabile, ma è un thriller spedito e pieno di colpi di
scena - anche se chi ha continuato la visione oltre al pilot suggerisce che spesso
sono scontati o poco verosimili - per cui è perfetto per chi non ha troppe
pretese e si accontenta di una trama avvincente.
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