Bastano in primi tre
minuti di Legion, in cui in flash
successivi che ne ripercorrono la vita - sublime la staffetta fra le scene -, si
vede il protagonista passare da un bellissimo sdentato bebè sorridente a un
giovane uomo ricoverato in un ospedale psichiatrico, per decidere che questa è
una serie che vale la pena vedere: inventiva, sperimentale e con una regia da
capogiro. È mozzafiato nell’essere cervellotica e allucinatoria (sebbene
non ermetica come il remake de Il
Progioniero), e con un pizzico di giocosità, ma con una visione precisa.
Ideata da Noah Howley (Fargo) per FX sulla base di un
personaggio dei fumetti della Marvel creato da Chris Claremont e Bill
Sienkiewicz, la serie è ambientata in un universo parallelo a quello dei film
degli X-Men. David Haller (uno Dan
Stevens che sembra fortemente ringiovanito rispetto al ruolo di Downton Abbey che lo ha reso famoso) è
un mutante con poteri mentali, fra cui la telecinesi e la telepatia, a cui è
stata diagnostica una schizofrenia paranoide sin da bambino. Spesso per lui il
confine fa realtà e illusione è molto labile. Nell’ospedale psichiatrico in cui
è ricoverato, il Clockworks, diventa amico di Lenny (Audrey Plaza, Parks and Recreation), un’eterna
ottimista nonostante i problemi di alcol e droga, ma la sua vita cambia
completamente quando lì conosce Syd Barrett (Rachel Keller) - il suo nome è un omaggio al musicista dei
Pink Floyd la cui musica è stata anche di ispirazione per la serie – che diventa
la sua “fidanzata” e che non vuole in alcun modo essere toccata (quando accade
si capisce il perché). In realtà, anche se ancora non se ne rende conto, ha dei
superpoteri, ed è per questo che viene sottoposto a intensivi colloqui da parte
dall’Interrogatore (Hamish Linklater, The
New Adventures of Old Christine). Alla fine del pilot, aiutato a scappare,
conosce una terapeuta che diventerà importante per il suo futuro, Melanie Bird
(Jean Smart). Lo scienziato Cary Loudermilk (Bill Irwin), la savant Kerry
Loudermilk (Amber Midthunder) e Amy Haller (Katie Aselton), la sorella maggiore
di David, completano il cast che circonda il protagonista.
Se un simile personaggio
in TV forse non sarebbe stato possibile prima di Mr Robot, un giovane uomo che scopre che quella che credeva la sua
debolezza è in realtà ciò che lo rende unico e speciale è ormai un classico
nella genesi dei supereroi. Non c’è niente di veramente nuovo su questo fronte
perciò. Stevens è abile nel precipitare il suo personaggio in momenti di cupa
disperazione seguiti da altri di sorridente equilibrio. Ma anche qui, c’è un
certo spassoso distacco da quello che nel mondo reale sarebbe un doloroso vissuto
le cui cicatrici sarebbero ben più radicate dell’eyeliner sotto gli occhi di
Lenny e gli psichiatri beni più competenti e meno supponenti – almeno si spera –
di quello fa la lezioncina a Syd su come tutti gli animali abbisognino di
contatto fisico per sentirsi amati. La normalità denigrata come qualcosa a cui
uno viene costretto – citando Einstein e Picasso come esempi di persone che
normali non erano – suona abbastanza trita. Non è in questo che la serie
sorprende a abbaglia.
Quello che qui è
straordinario è come si è scelto di raccontare la diversità del personaggio. La
narrazione si affida alla scomposizione e alla distorsione, e diventa
disorientante, un trip fantasmagorico nelle allucinazioni visive e uditive del
personaggio che prendono forma anche per lo spettatore in una giostra delirante
che nel suo vorticare mescola pensieri, immagini, e suoni, va avanti e
indietro, dentro e fuori la mente del protagonista. La regia imprime un moto ad
una trottola di tagli e movimenti di camera e scenografia e uso delle luci e
dei costumi, ora moderni ora retrò, da vertigine. Matt Zoller Seitz (Vulture)
ci vede gli influssi di Wes Anderson e Bob Fosse. Quello che è certo è che
questo è il punto di forza. Se le otto puntate previste per la prima stagione
si mantengono sul tracciato del pilot sarà una autentica goduria.
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