Dopo un’estate trascorsa
a lavorare per l’azienda di costruzione del padre Fred (Luke Perry, Beverly Hills, 90210) per “costruirsi il
carattere”, periodo durante il quale ha avuto una relazione sessual-sentimentale
con la sua insegnante Geraldine (Sarah Habel), l’adolescente Archie Andrews (KJ
Apa) ricomincia la scuola. Viene incoraggiato a giocare a football, ma il suo
cuore lo spinge a dedicarsi alla musica, nonostante non abbia fortuna nel cercare
di far cantare i suoi testi alla band più popolare della scuola, Josie and the
Pussicats, di cui leader è Josie (Ashleigh Murray). Betty Cooper (Lili
Reinhart), che si sforza di essere una persona perfetta e che ha da tempo una
cotta per lui, è spinta dal suo migliore amico gay Kevin (Casey Cott) a
dichiarasi, e lei è incerta se farlo o meno, specie ora che in città è arrivata
la bellissima e abbiente Veronica (Camilla Mendes), proveniente da New York insieme
alla madre Hermione (Marisol Nichols), dopo che si è lasciata alle spalle uno
scandalo che riguarda il padre. Le due ragazze diventano subito amiche, sebbene
la madre di Betty, Alice (Mädchen Amick, Twin Peaks), cerchi di metterla in guardia. Come racconta il
narratore della serie Jughead (Cole Sprouse), amico di Archie, quella appena
passata non è stata un’estate come le altre. La comunità si è appena ripresa
dalla tragica morte, il 4 luglio, in circostanze mai del tutto chiarite, di un
ragazzo il cui corpo non è stato ritrovato, Jason Blossom. Gli è sopravvissuta
la sorella gemella, Cheryl (Madelaine Petsch), ricca e maleducata, che non è la
sola in città a mantenere dei segreti su che cosa sia veramente successo il
giorno della scomparsa del fratello. Siano a Riverdale.
La nota principale del
nuovo teen drama della CW (di cui
Netflix ha acquisito i diritti di distribuzione internazionale) è quanti echi
rimanda. Già i personaggi non sono degli originali, ma sono basati esplicitamente
su quelli dei classici fumetti della casa editrice Archie Comics - gli stessi nomi di Archie, Betty e Veronica,
coinvolti in un triangolo amoroso, sono forse familiari a tutti, anche a quelli
che i fumetti non li hanno mai letti; il personaggio di Archie ha debuttato nel
1941. Nel DNA della serie però si riconoscono facilmente, anche senza citazioni
dirette (pur visibili nel casting adulto, ad esempio), ma solo per le
formulazioni dei dialoghi e per le pure sensazioni evocate, i molti
progenitori, da Berverly Hills, 90210
(basterebbe la giacca indossata dal protagonista), a Dawson’s Creek (la storia d’amore con l’insegnante), The OC (la ragazza arrivata da fuori), Gossip Girl (il narratore, la mean girl),
Pretty Little Liars (il compagno di
scuola scomparso), Twin Peaks (il
cadavere, l’epoca evocata), Peyton Place
(i segreti), Happy Days (il locale
dove si ritrovano i ragazzi), Mad Men
(a Betty si nomina Batty Draper)… Fra parentesi ho indicato un piccolo
aggancio, ma l’homage va più a fondo
di un unico elemento. Ogni puntata poi rende ossequio
a un diverso film: River’s Edge, The Last Picture Show, Body Double,
Touch of Evil… (EW) E i riferimenti
espliciti al’immaginario culturale high
e low brow sono innumerevoli.
Siamo indubbiamente nella
seconda decade degli anni 2000, e si è più dark, ma l’estetica (nella
scenografia e nei costumi ad esempio) e una qualche sensibilità emozionale riportano
a galla il periodo a cavallo fra la fine degli anni ‘40 e gli inizi degli anni ‘50.
Il retrogusto pure è quello che si associa a quegli anni, una sorta di
innocenza che è anche perfezione apparente che maschera inconfessate pulsioni e
verità di cui ci si vergogna. Imbevuta com’è di passato, la serie fatica a
dimostrarsi originale, ma riesce ad esserlo a sufficienza da avere qualcosa da
dire. Non ha il sapore di un pastiche, se non nella misura in cui nel volto di
un bimbo si vedono i tratti dei genitori. Ha detto bene Entertainment Weekly (link sopra) dichiarandola una serie
post-tutto e “la somma di tutti i trend: estensione del franchise, adattamento
di un fumetto, cripto serial adesca-teorie, audace storia d’amore YA, e
decostruzione densamente ironica. Riverdale
è acutamente consapevole di ciò: codificata entro il suo essere un pulp
giovanile solidamente soddisfacente c’è una astuta parodia di se stessa e del
lavoro di reinvenzione”.
Portata sullo schermo da Roberto Aguirre-Sacasa (anche direttore
creativo per la Archie Comics) e con l’instancabile Greg Berlanti come produttore
esecutivo, è
una storia di scoperta di se stessi in primo luogo, con in questo l’adolescenza
come luogo biografico principe, e di disvelamento. Una critica interessante è
venuta da parte di chi ha lamentato il fatto che si sia deciso, almeno nel
corso della prima stagione, di considerare il personaggio di Jughead come eterosessuale,
quando secondo il canone è asessuale, cosa di cui tutti, dagli autori agli
attori, sono di fatto consapevoli. La comunità asessuale, fortemente sottorappresentata,
è ragionevolmente rimasta delusa da quella che poteva essere un’occasione importante
di visibilità. (Si legga in proposito l’interessante articolo su Polygon).
Ci dovrebbe però essere un margine per cambiare traiettoria in futuro.
È
difficile valutare se questa serie diventerà un culto per le nuove generazioni,
ma le premesse ne garantiscono quantomeno il potenziale. Della prima stagione
di questo mistery a tinte soap sono previste 13 puntate.
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