Trial and Error (NBC) è la parodia di un documentario che segue
le vicissitudini legali di un eccentrico poeta con un cane di nome Shakespeare
e una passione per il pattinaggio a rotelle, di East Peck nel South Carolina,
Larry Handerson (John Lithgow, Third Rock
form the Sun, recentemente The Crown),
accusato della morte della moglie Margaret (Andy MacDowel). Da un importante studio legale di
New York, arriva a difenderlo, assunto dal fratello della vittima, Jeremiah (Jefferson
Davis) un avvocato al suo primo caso di omicidio, Josh Segal (Nicholas
D’Agosto, Masters of Sex). Si ritrova
a dover lavorare in un piccolo ufficio adiacente a un laboratorio di
tassidermia, e con un team risicato a due elementi: uno scalcagnato e non
brillantissimo investigatore, Dwayne (Steven Boyer), e Anne (Sherrie Shepherd),
una segretaria che soffre di prosopagnosia (quindi non distingue i volti delle
persone, ma a distinguere gli uomini dal pene non ha problemi, rassicura) e una
sfilza di altri disturbi (sindrome di Stendhal, FAS - sindrome dell’accento
straniero, dislessia…), anche se ad aiutarlo c’è anche la figlia dell’accusato,
Summer (Krysta Rodriguez). Come pubblico ministero agisce la determinata Carol
Anne Keane (Jayma Mays, Glee) che per
un avanzamento di carriera ha assoluta necessità di mandare alla sedia
elettrica Larry – beh, in realtà la pena prevedrebbe che venisse sbranato da un
orso, ma sono dettagli.
Sebbene
non riesca mai a convincere del tutto, questo mockumentary ha momenti davvero
esilaranti ed è interpretato da un cast tutto molto forte che senza difficoltà
spreme ogni possibile grammo di umorismo da ogni situazione. Lithgow poi coinvolge anche solo con la mimica facciale,
e le sue apparenti miserie sono fonte di grande ilarità. Oltre al motore
congenito della ricerca investigativa e delle udienze in tribunale, che portano
avanti il caso di omicidio, terreni fertili nella narrazione sono le uscite
inappropriate di Larry che, nel dire la verità per difendersi dichiarando la
sua innocenza sembra affossarsi sempre più – non è colpa sua se il suo
programma tv preferito è “How to get away with murder – Le regole del delitto
perfetto”! -, nell’imbranataggine collettiva del team, nella negata
frustrazione sessuale di Carol, nella ferocità dei media che già nei fatti condannano
un accusato, nelle bizzarrie dei piccoli centri cittadini – un’intera puntata (1.05)
riprende più volte e in modo sempre diverso ed efficace l’idea che a East Peck
la terza causa di morte sono le palle di cannone, dato che c’è una cerimonia
che le spara due volte al giorno a ricordo di un atto di codardia che ha fatto
sì che si salvassero molte vite. In quest’ultimo aspetto la sit-com è stata
accostata a Parks and Recreation, ma
senza l’umanità di quest’ultima. I personaggi qui peraltro sono in gran parte
poco più che macchiette.
Questo spoof ideato Jeff
Astrof e Matt Miller arriva in un momento in cui i documentari sui crimini (Making a Murderer, The Jinx, o The Staircase,
che è stata di ispirazione per la prima stagione…) hanno molto successo. Di
fatto il programma non riesce a decostruire il genere e le tecniche narrative
che lo reggono, o a offrire una chiave di lettura pregnante sui motivi di
questo successo o sul sistema legale ma, col suo setting inusuale, riesce a
conciliare bene le battute visuali e verbali (che mette in primo piano come pure
di sfondo) con una tematica cupa, senza che si qualifichi poi come humor nero. Nella
sua stravaganza Trial & Error è
alla fine seducente e non si riesce a non avere un debole per le storie e i
personaggi tornando puntata dopo puntata con grande piacevolezza. Perfetta anche la conclusione.
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