Mi ha lasciato la
sensazione che trasmettevano i vecchi film sulla principessa Sissi, la prima
stagione della serie britannica Victoria (ITV,
su LaEffe in Italia), sulla regina inglese che ha definito un’epoca regnando
per quasi 64 anni. Alla stessa maniera infatti, si è storicamente accurati (pur
con qualche licenza poetica) – la serie di avvale della consulenza storica di
AN Wilson che ne ha scritto una biografia e l’ideatrice Daisy Goodwin si è basata
sui numerosi diari autografi della regina -, ma allo stesso tempo il tono della
narrazione ha un che di favolistico e romantico. È un mescolanza di Downton Abbey e The Crown.
Le vicende prendono il
via dal momento in cui la diciottenne Alexandrina Victoria (Drina per i
familiari), che sarà incoronata con il nome di Vittoria (Jenna Coleman, Doctor Who), diventa erede al trono a
seguito del decesso dello zio paterno re William e, nelle 8 puntate del primo
arco, la si vede imparare i rudimenti del nuovo ruolo guidata da Lord
Melbourne (un sottile, magistrale Rufus Sewell, The Man in the High Castle), per cui ha un’infatuazione (esagerata
nella finzione, si dice), e innamorasi del cugino coetaneo il principe Albert
(Tom Hughes), fino alla nascita della sua prima figlia.
Quello che rende
affascinante la serie è che si mostra la crescita di una giovane donna che era
sicuramente impreparata a fare da monarca
- come in The Crown, si
sottolinea la sua ignoranza rispetto a molti aspetti della vita, il distacco
dalla realtà dei suoi sudditi, il peso metaforico della corona, pur nella
preparazione costituzionale (le fanno studiare i commentari di Blackstone, ben
noti tuttora agli studenti di giurisprudenza che fanno studi transnazionali);
allo stesso tempo si fa capire che non è solo fortuna a farla sedere su quel
seggio regale, ma anche determinazione, diplomazia e scaltrezza, di fronte ai
molti tentativi di sminuirla (fosse anche solo deridendo la sua bassa statura),
di metterla di parte, di farla passare per folle anche, se necessario.
Davvero notevole, e
inusuale da vedere, quando invece della vita l’ho incontrato molte volte, è il
reiterato sottolineare la sua paura per il parto. Se è ragionevole tuttora
quel genere di timore, quanto più doveva esserlo in un’epoca in cui la morte
per parto era all’ordine del giorno. La cugina, è stato ripetuto da più parti e
dai lei stessa, è morta proprio in circostanze simili e lei manifesta in più di
una occasione i suoi timori, tanto più che molti altri non aspettano altro. Si
sviscera questa possibilità nelle sue implicazioni politiche, con le
discussioni anche in parlamento della necessità di un reggente che sostituisca
il neonato fino alla maggiore età, nel caso di scomparsa di Sua Maestà; e si
esamina la questione da un punto di vista personale: lei è giovane, sana,
innamorata, da poco regina e non ha nessun desiderio di morire, ma è costretta
a tenere a bada gli avvoltoi che girano a corte e a prendere comunque in
considerazione la propria eventuale scomparsa in modo pragmatico.
La serie si fonda
appunto su effettivi dati storici – il difficile rapporto con la madre; l’aver
costretto ad una visita ginecologica Lady Flora, una delle dame di compagnia
della madre, accusandola di una relazione con Sir John Conroy (Paul Rhys), da
lei odiato, e di esserne rimasta incinta, quando lei aveva in realtà un tumore;
la sua riluttanza a rinunciare alle dame di compagnia da lei volute invece di
quelle suggerite da sir Robert Peel, del partito Tory, nel momento in cui gli
era stata proposta la carica di primo ministro; l’atteggiamento nei confronti
del principe Albert visto con sospetto perché tedesco; l’attentato alla sua
vita mentre era incinta…- ed è visivamente molto curata e sensuale. C’è ampio
spazio comunque per quotidianità immaginate della vita a Buckingham Palace,
compresa una storia secondaria dell’attrazione fra la sua guardarobiera e il
pasticcere di corte.
Confermata per una seconda stagione, la serie, leggera e appagante, è
previsto che ne abbia sei, anche se non è chiaro se sarà sempre la stessa interprete
a dare il volto alla regina Vittoria.