Aiuta sapere che The Good Doctor, la nuova serie dell’americana
ABC appena confermata per un’intera stagione, è stata sviluppata, sulla base di
un successo della TV sudcoreana firmato da Park Jae-bum, da David Shore, già
ideatore di House. Questo perché, intuendone
il potenziale, si è più ben disposti a chiudere un occhio su alcune ingenuità
del pilot.
Shaun Murphy (un eccelente
Freddie Highmore, Bates Motel) è un
giovanissimo chirurgo che soffre di autismo e con la sindrome del savant.
Nell’infanzia è stato oggetto di bullismo da parte dei coetanei, incompreso e
oggetto d’abuso in famiglia, in particolare da parte del padre. Solo il
fratello minore, finché ha potuto, lo ha difeso e protetto. Suo mentore da
quando aveva 14 anni, il dottor Aaron Glassman (Richard Schiff, The West Wing), presidente del San Jose
St. Bonaventure Hospital, si batte perché possa essere assunto come residente
nel suo ospedale, e, nonostante all’inizio abbia solo il sostegno di Jessica
Preston (Beau Garrett, Girlfriend’s Guide
to Divorce), alla fine la spunta. Non
tutto lo staff è convinto però perché i colleghi temono che i suoi problemi possano
essere un ostacolo maggiore di quanto non sia d’aiuto la sua brillantezza. Lo
sostiene con veemenza il primario di chirurgia Marcus Andrews (Hill Harper) e
lo fa capire al diretto interessato in sala operatoria il dottor Neal Melendez
(Nicholas Gonzales). Chi lo prende in simpatia è la dottoressa Claire Browne (Antonia
Thomas, Lovesick), che ha una storia di sesso con il collega Jared Hulu (Chuku
Modu).
Dal pilot, che introduce
parecchi personaggi (e relazioni fra i residenti declinati un po’ alla Grey’s Anatomy), è chiaro che ci sono
temi cari a Shore, come la presenza di una persona particolarmente dotata
intellettualmente che si trova sotto altri aspetti in difficoltà, che deve
imparare a convivere con gli altri; i problemi di non essere neurotipici e l’importanza
di vedere questa diversità come un potenziale piuttosto che un ostacolo; l’interrogarsi
su quanto contino per un medico non solo l’abilità tecnico-professionale, ma
anche l’empatia e la capacità di rapportarsi con i propri pazienti sul piano
umano; la sinergia e le frizioni fra la parte burocratico-amministrativa e
quella clinico-medica di un ospedale… Qui poi, la visione si arricchisce di una
sorta di “realtà aumentata” alla CSI poiché
i ragionamenti spazio-visuali sul corpo umano (e non solo) che fa il
protagonista vendono illustrati per noi con dei disegni in sovrimpressione, con
le indicazioni mediche, così come certi termini e procedure vengono spiegate con
delle scritte che appaiono sullo schermo: notevole, anche se concretamente un
po’ faticoso da seguire per la velocità con cui avviene.
Un punto debole sono
stati i flashback del protagonista, ma solo perché un po’ troppo lacrimevoli e “manipolatori”
da un punto di vista emozionale, scontati nelle loro conclusioni (la sorte del
fratello e il discorso che tiene Shaun che convince tutti a dargli una possibilità)
– forse è dovuto alla matrice sudcoreana? E nella narrazione non si sono state
molte sottigliezze, per cui si è rimasti tiepidi. Una critica sensata è venuta
da Crippled Scholar, che ha le credenziali di un vero esperto (si veda qui), secondo cui il personaggio è troppo
stereotipato, un’incarnazione troppo smaccata dei criteri diagnostici del DSM,
con capacità al limite della credibilità e solo inteso come “ispirazione”, infantilizzato
e interessato più a vivere per gli altri che per se stesso, cosa che viene rimproverata
ad Hollywood per essere il modo standard di ritrarre le disabilità (Crippled
Scholar). Osservazioni pregnanti. Comunque,
appunto, il pedigree di Shore permette di trascurare questi aspetti, almeno per
ora, e di dare alla serie una possibilità.
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